II capitolo

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Entrò subito dopo la professoressa di storia, che ci sorrise, un sorriso sincero a cui ricambiai con la stessa dolcezza, ci conosceva ormai da tre anni, questo il quarto.

Continuavo a pensare come fosse nettamente superiore alla prof vista prima, decisamente più dolce, con i suoi occhi azzurri e i capelli neri e il suo sorriso che la faceva sembrare ancora più piccola.

Piccola di statura, mi arrivava alla spalla, sì, era totalmente diversa dalla prof precedente, ma di carattere nulla da invidiare, anzi, viceversa, era la prof più giovane della scuola, presumo proprio per questo motivo ancora più vicina a noi.

Eppure nonostante sembrasse una bambolina, la prof di italiano continuava ad avere qualcosa che mi incuriosiva di più, un passato dietro, qualcosa che la rendeva diversa, anche se più antipatica.
L'ora passò in fretta e se non fosse stato per le costanti prese in giro verso i nuovi professori, anche le altre lezioni lo sarebbero state.
Ancora mi chiedevo cosa avessero pensato i docenti creando una classe di 19 ragazze più due maschi, si sapeva già come sarebbe andata a finire.
I due ragazzi sin dal primo attimo erano stati accalappiati come cani e messi al guinzaglio, pronti per essere sfoggiati come trofeo.
Dopo una serie di drammi degni di una serie TV erano stati assegnati uno alla bionda spumeggiante, chiamata banalmente Laura e l'altro alla riccia che poteva benissimo essere figlia di una divinità, chiamata Sasha.
Anche la divisione della classe si basava su quello, a destra il gruppo della riccia, con le sue divette sempre pronte a seguirla come un cagnolino e alla sua sinistra il gruppo della bionda, altrettanto numeroso.
Si fiancheggiavano, occupando entrambe i due banchi centrali nelle file davanti, con accanto a loro due scagnozze per rimarcare il territorio.
Io restavo da parte, nel mio angolo a sinistra, fissavo il cielo, le nuvole, cercavo quelle piccole sfumature finché gli occhi alla vista di quel bianco non mi lacrimavano.
Allora, solo a quel punto, riprendevo a fissare gli alberi del cortile, di quel piccolo cortile che ci divideva dall'altro plesso, finché l'ora non passava, le critiche terminavano e i dieci minuti dell'intervallo mi salvavano da ulteriori commenti.
Neanche un professore era riuscito a salvarsi, ognuno assegnato ad un gruppo, ad un'alunna, ognuno vittima di oggettivazione, ognuno colpevole della guerra che nasceva.
Iniziò in terza ora il dramma:
"È mio." Si sentì urlare da una voce indefinita a sinistra, "E chi lo dice?" Controbattè Martina dal posto avanti al mio, l'inizio delle risse per il possesso di un professore.
Quella volta il prof a riguardo era quello di matematica, un nuovo prof appena arrivato, che, sentendo quelle affermazioni, abbassò la testa cambiando una serie di colori dal rosso al pallido.
Non mostrargli di aver paura! Alza la testa! Cercai di dirgli con gli occhi, ma lui non mi guardò, non guardò nessuno.
Provò a parlare, un sibilio debole, soffocato, spento dal contrasto del vociare di chi invece cercava di vincerlo in palio.
L'ora terminò, lui uscì, non lo avremmo più visto.
Giunse successivamente il prof di chimica, un prof di età più avanzata, all'incirca sui trent'anni, entrò a passo sicuro, convinto di trovarsi in una classe come le altre, convinto che il suo ruolo venisse rispettato come una divinità.
"Allora lui è mio" Alzò la voce la mora al fianco di Laura, Sabrina, pronta per un nuovo litigio, un nuovo dibattito a cui non avrebbe mollato fino alla fine, come sempre.
Il brusio passò da due che parlavano sottovoce dal lato opposto, arrivando fino a Sasha, probabilmente anche trasformato come funziona nel solito gioco del telefono senza fili, lei così decise di esporre le sue regole, i suoi patti: il docente precedente era stato conquistato da Martina, che si era fatta beffa della sua arte da manipolatrice per convincere tutti, così, di diritto, questo prof doveva essere scelto da una del gruppo di sinistra.
La causa di una nuova crisi, tutti si lamentarono, Laura zittì le sue due cagnoline al fianco, le sue consigliere Sabrina e Martina, accettò i patti, l'insegnante viene assegnato a Claudia, assistente della riccia dal lato opposto, che, con un piccolo sorriso, riprese a parlare del posto in cui aveva fatto le unghie l'ultima volta.
Le acque si placarono, l'insegnante sconcertato finì la sua ora, o meglio, i suoi ultimi dieci minuti, seduto senza dir nulla, l'ora suonò, l'intervallo ci liberò da quella gabbia.
Rimanevo sempre sconcertata da come le ragazze di quella scuola potevano trattarti, ma soprattutto da quanto fossero capaci di cambiarti.
Al suono della campanella decisi che era meglio uscire da lì dentro, per non assistere almeno nei miei dieci minuti ad altri litigi.
Ero già sulla porta quando una chioma bionda si posizionò proprio davanti a me: "E tu? Che prof scegli?" Mi chiese pacatamente Laura, ero dal suo lato, aveva ragione, si aspettava io seguissi le sue regole.
Ero in imbarazzo, cosa avrei dovuto dire? Bofonchiai un: "preferisco lasciarli a voi" prima di scappare fuori.
Non era un'opzione ammettere la mia tendenza alle ragazze, non era un'opzione diventare 'quella diversa'.
L'avevo sempre nascosto, avrei continuato a farlo.
Decisi di prendere un caffè lungo, l'idea di dover tornare già in quelle mura mi annientava, aspettai il suono pregando che non arrivasse più, parlai con i collaboratori, o meglio, la mia amica Francesca, l'unica collaboratrice che riusciva sempre a salvarmi dalla solitudine.
Rimasi con lei finché il corridoio non si svuotò e fui obbligata a rientrare, la professoressa di latino era già dentro, le sorrisi e mi sedetti, la mia materia preferita.
L'ora passò così in fretta che quasi non mi accorsi che già dovevamo uscire, mi avvicinai alla cattedra per chiedere ulteriori spiegazioni dell'ultimo argomento, una traduzione di un testo latino da lei scelto, che mi aveva particolarmente appassionata per il suo contenuto molto...anticonformisto.
Aspettai che tutti uscissero, per poi salutare la docente e uscire a mia volta, era un buon modo per non dover seguire quell'ammasso di persone che si spinge contro la stessa porta pur di uscire.
Presi un altro the, poi scesi le scale, dove incrociai di nuovo la professoressa di italiano, che, probabilmente, stava di nuovo per entrare in un'altra classe in ritardo.
Stava diventando scocciante vederla per le scale, era già la seconda volta.
Decisi di guardare il mio the e fingere di non averla notata, anche lei guardò il suo, finii poi di bere e rimisi le mie cuffie, pronta per tornare a casa.
Con Due vite di Mengoni di sottofondo e le mani in tasca presi un respiro, avevo superato il primo giorno.
Il pomeriggio passò ancora più in fretta con Orgoglio e pregiudizio tra le dita, assaporando il profumo della carta e sentendo ogni piccolo angolo che poteva tagliarmi, ci misi circa mezz'ora prima di tuffarmi nel suo contenuto.
Mi rallegrai per Mr Bingley e Miss Bennet, confidai nell'amore di Elizabeth per superare le difficoltà e nel suo orgoglio per mascherare il pregio precedente, sfidai Mr Darcy a fare di più, fantasticai su una Mrs Darcy per me, da portare al ballo, a cui chiedere di ballare e passare dall'odio all'amore, famtasticai fino ad arrivare all'ultima pagina, fino a chiudere il libro, fino a sentirmi vuota.
Con le lacrime agli occhi fissai il soffitto, ecco com'ero io, vuota.
Non avevo uno scopo, non avevo nessuno di cui fidarmi, nessuno di cui sentissi particolarmente la mancanza, nessuno.
Una lacrima scese lungo il mio viso, la nascosi imprigionandola sul cuscino e premendo forte per eliminare ogni sua traccia, chiusi le tapparelle, mi misi a dormire.
Mi svegliai solo alle undici di sera, avevo saltato cena, non importava, un mal di testa mi rimbombava nelle orecchie a tal punto che fui obbligata ad alzarmi per prendere un Moment, nonostante il mio odio per i farmaci.
Bevvi un bicchiere di latte e tornai a dormire.

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