XI capitolo

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Ogni giorno come un nuovo giorno, come un unico giorno.
È davvero l'unico modo di godersi davvero la vita: viverla come se finisse domani.
No, non credo sia un modo per giustificare le scelte sbagliate, ma solamente una visione differente di ogni momento, non ci sono errori, ci sono evoluzioni, è un modo per imparare e, come dice Erikson, passare alla fase successiva della vita.
Con questo pensiero osservavo da lontano Valeria che mi veniva incontro, si sbracciava per farsi notare, come se la sua presenza con quei pantaloni fluo non fosse già abbastanza evidente.
Era cambiata notevolmente in due settimane, avevamo legato tanto e mai avrei pensato di provare per una persona così differente da me un tale affetto.
"Che improvviso cambio di look" Le dissi prendendola in giro quando mi raggiunse, non stava male, ma era insolito rispetto al suo quotidiano stile.
"Dai Smettila, sto provando ad aprirmi un po' di più" abbassò la testa, quasi questo la imbarazzasse, per un momento mi sembrò priva di difese, più vicina a me.
"Sei bellissima" Le dissi sincera, quel complimento non parlava solo del suo aspetto esteriore e lei lo comprese.
Valeria era un insieme di personalità  contrastanti, di emozioni e sentimenti completamente opposti tra di loro: a volte sprigionava una parte solare e riusciva ad illuminare tutto attorno a lei, altre era così chiusa in se stessa da non permettere a nessuno di avvicinarsi.
Avevamo qualcosa che ci accumunava ed io già sapevo di cosa si trattava, perché per quanto possa odiarlo, è sempre il dolore ad unire maggiormente due persone, sono gli stessi traumi a sviluppare determinate tipologie di intelligenza ed io e lei, su quella emotiva, eravamo un unico fronte.
Valeria era diventata la mia ancora, la mia salvezza, quella scuola dal suo arrivo non mi era più così sconosciuta, non ero più sola, avevo un'alleata.
La presi per mano ed entrammo a scuola, iniziava a fare davvero freddo fuori ed io, nonostante amassi il periodo invernale, gestivo davvero male il cambio stagione.
Avevo bisogno di un the prima di iniziare un'ora di inglese, al solo pensiero di dover tradurre una frase in venti minuti, come mio solito, mi fece rimpiangere di non essere rimasta a letto.
"Valeria credi che la prof mi odi?" Non volevo farle questa domanda, ero stancante, pensavo sempre a lei, ma da quando l'aveva trattata in quel modo due settimane prima non avevo fatto altro che sentirmi inferiore.
Anche lei aveva paura di mostrarsi agli altri, anche lei celava i suoi sentimenti dietro una maschera, allora perché era così spontanea anche quando fingeva? Perché solo io sembravo chiusa in me stessa e lei invece riusciva ad esercitare tutta quell'attenzione su di sé? A volte quasi mi sembrava di avere due persone differenti davanti, una così empatica, riflessiva, premurosa nei miei confronti; l'altra così menefreghista, amabile, scontrosa. Ne ero gelosa, avrei voluto saperlo fare anche io.
Lei mi osservò per un lungo tempo, quasi si aspettasse di trovare la sua risposta all'interno dei miei occhi, poi mi chiese soltanto:"perché pensi questo?" Non avevo motivazioni a sufficienza per portare avanti la mia tesi; non ero nemmeno sicura dei miei pensieri, figurati riuscire ad esporli a qualcun altro.
Scossi le spalle, "Non fa nulla, era una cavolata" guardai il pavimento e continuai a camminare, lei non mi chiese altro.
È sempre quando credi che tutto stia andando nel verso giusto che qualcosa si rivolta, il destino ti metterà sempre alla prova per vedere se sei in grado di affrontare anche l'ignoto e così fu.
Entrai in classe e non feci il tempo di arrivare al banco che una voce mi percorse lungo tutto il corpo, causandomi una scossa.
"Non si saluta più, Elettra?" Presi un respiro profondo e mi voltai. Lei, seduta alla cattedra, si spinse più avanti con la schiena, appoggiando la testa su entrambe le mani, in una posizione tanto innocente quanto provocatoria.
Non risposi, ma accennai un sorriso, in segno di resa, non avevo proprio voglia.
Non dissi nulla, anche se la mia mente aveva iniziato a porsi tante domande, troppe, a cui non trovavo una risposta, perché era lì? Perché tra tutte le supplenti possibili proprio lei?
Lei mi lesse nella mente, come suo solito, "Contenta di vedermi?", anche sta volta non risposi, ma lei non si fece nessun problema a continuare il suo monologo:"Ho saputo che la tua classe vuole parlarmi, mi aspetto perciò che questo mutismo finisca almeno in terza ora, sono fuori orario, perciò apprezza che rimarrò qui solo per sentire cos'hanno da dire, ovviamente sarai tu il loro tramite." Rimasi a bocca aperta, come sapeva lei ciò che avevano detto Sasha e Laura, eravamo da sole in aula. Sole tranne...Valeria.
Mi voltai e lei, cogliendo il mio sguardo, abbassò la testa, rossa in viso. Era la prima volta che mi accorgevo di lei da quando eravamo entrate in classe, era rimasta zitta ad osservarci, seduta al suo banco con il telefono in mano.
Sapevo non le avesse parlato per infastidirmi, c'era ancora qualcosa che non mi aveva detto sulla mia assenza ed era finalmente risolto l'arcano, era riuscita ad estorglierle l'informazione senza che se ne accorgesse in tempo, pura com'era, avrebbe parlato solo per il mio bene. Non ero arrabbiata, forse un po' delusa, sapeva qualcosa su di me ora e poteva sfruttarlo; forse, una parte di me, ne era anche un po' gelosa, ma questo, la mia razionalità, finse di non notarlo.
Feci un piccolo cenno di assenso con la testa, alla fine lei era la mia coordinatrice ed io, da buona rappresentante, avevo il compito di fare da tramite, perciò mi sarei impegnata.
Sperai con tutto il cuore che capisse quell'idea non centrasse affatto con me, per quanto potessi odiarla, trovavo stupefacente la sua grinta, non l'avrei mai criticata da un punto di vista scolastico.
Suonò la campanella e tutti rimasero in giro per altri dieci minuti, non coscienti del fatto che in classe non si trovasse il buon docente che si aspettavano, ma il tiranno che meno avrebbero voluto vedere.
Rientrati impallidirono, dirigendosi a capo chino ognuno verso il proprio banco, in assoluto silenzio.
Lei sorrise, quella situazione la faceva sentire ancora più potente e ormai avevo capito quanto amasse il controllo.
"Vi perdonerò, ma solamente perché non potevate sapere della mia presenza" disse con ancora un ghigno stampato in faccia, poi sparì improvvisamente, fissandoli uno ad uno, continuò categorica:"Non succederà di nuovo".
Eravamo tutti consapevoli avrebbe utilizzato quella supplenza come sua; infatti iniziò a spiegare un nuovo argomento di latino, preannunciando con una certa soddisfazione che, l'ora dopo, siccome aveva già anticipato la sua lezione, avrebbe interrogato.
Le due ore più lunge della mia vita, il tempo sembrava essersi fermato dal momento in cui aveva pronunciato le prime parole nei miei confronti ed io, per due ore, rimasi pietrificata ad attendere succedesse ancora.
Non mi accorsi nemmeno del suono della campanella, finché non vidi Valeria alzarsi e dirigersi verso la prof; non avevo bisogno di un'altra dimostrazione di quanto si stimassero, presi il mio telefono ed uscii dalla classe.
Iniziai a camminare in modo mnemonico, sapevo dove andare quando qualcosa non andava, così raggiunsi subito quell'aula che, essendo quasi sempre vuota, mi lasciava il tempo di riflettere su me stessa.
La cosiddetta:"Aula magna" era un'aula comune, dove classi della stessa annata si trovavano durante le presentazioni di varie associazioni o progetti, ma negli ultimi anni, a causa di un affollamento sull'indirizzo delle scienze umane, appunto il mio, veniva utilizzata anche per fare lezione.
Fortunatamente quel giorno era libera, affianco ad una schiera di sedie troviamo una tenda con dietro i tavoli che, da quell'anno, vennero utilizzati per l'alternativa alla religione, era proprio quello l'angolo migliore, nascosto da tutti.
Presi una sedia e mi sedetti a fissare il soffitto, prendendo un respiro profondo: non sopportavo vederla così tanto, ma forse ancora di più non sopportavo le sue preferenze, erano scorrette.
Ero sempre stata la più brava nella sua materia,  eppure ero comunque l'unica che non guardava durante l'ora, a cui non faceva domande e che nemmeno sgridava se non seguivo; non esistevo per lei.
"Persa nei tuoi pensieri?" Quasi pensavo fosse un'allucinazione, come aveva fatto a trovarmi? La sua voce suadente inebriò la stanza e tutte le mie preoccupazioni svanirono in quelle poche parole. Non risposi.
Non la cercai con lo sguardo, sapevo si stesse avvicinando a me e questo mi irrigidii, lo stesso non mi mossi.
"Prenderai un brutto voto in condotta se ti isoli così tanto dalla classe", poi, appoggiò le mani sulla mia sedia e avvicinò il suo viso al mio, scandendo lentamente:"l'alunna fatica ad integrarsi nelle dinamiche relazionali del contesto classe" mi alzai in piedi di scatto, girandomi verso di lei. Quella vicinanza mi destabilizzò ancora di più nel momento in cui quegli occhi si legarono ai miei; lei sorrise, si aspettava una mia reazione.
"Perché ce l'ha con me?", le parole uscirono da sole e non riuscii a controllarle, quel ghigno sparì dal suo volto, guardandomi con una profondità che non le apparteneva, che non avevo mai visto.
"Perché conosco le tue potenzialità e so che le stai sprecando", Rimasi immobile, cercando di comprendere quando sarebbe arrivata la critica, la presa in giro; ma non successe, lei abbassò lo sguardo, per una volta accettava la resa.
Non sapevo neanche cosa rispondere, accennai un sorriso che lei subito smorzò, "Questo non significa che tu mi stia simpatica", non l'aveva detto con la solita grinta, con il suo solito disprezzo, ora pareva solo una giustificazione.
"Grazie per l'appunto, me ne ricorderò", le sorrisi, non potevo nascondere la gioia di quelle parole, per una volta quello sguardo non nascondeva apatia, ma puro interesse: mi aveva cercata, aveva parlato con me, aveva abbassato le difese.
Provai a spostarmi, ma ottenendo l'effetto opposto, mi dovetti schiacciare contro il tavolo dietro di me per non caderle in braccio e lei fece un passo avanti non permettendo più nessun mio movimento.
"Non abbiamo ancora finito io e te"

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⏰ Ultimo aggiornamento: 6 days ago ⏰

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