𝐕𝐈. Le luci che lasciano ombre

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Se la perfezione fosse una legge io dovrei scontare almeno undici ergastoli e se la vita fosse un carcere io avrei la cella del manicomio

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Se la perfezione fosse una legge io dovrei scontare almeno undici ergastoli e se la vita fosse un carcere io avrei la cella del manicomio. Me ne fosse andata una nel verso giusto!

Se penso a quella groupie di Cristo di mia nonna che diceva: «Saruzza bedda, Dio ha una missione segnata pe' tutti, si fai a brava iddu ti ricompenserà!» mi viene da bestemmiare. Se è qui in giro anche lei, magari stavolta mi darà ragione sul fatto che io abbia una sfiga esorbitante.

Mi sento arieggiare, respiro a stento e tengo gli occhi socchiusi. Per favore, qualcuno mi faccia risvegliare nel mio letto, non voglio aprirli. Non voglio svegliarmi ora se non sto realmente sognando!

«Sara, Sara!» chiama Dalai, con la sua voce puberale.

«È rinvenuta, sta' tranquillo» esordisce Elia, stranamente quieto.

«Non mi sembra sveglia» ribatte Rioko. «Forse dovresti baciarla di nuovo.»

Spalanco gli occhi e sussulto. COME?! Ritrovo il viso di Elia davanti a me, ha uno sguardo mesto e mi tiene tra le braccia. Le sue labbra sono vicine alle mie.

«M-mi hai baciata?» balbetto, senza sbattere le palpebre

«No...» asserisce, imbarazzato.

«Ora sì che è sveglia!» dileggia Rioko con una risata. «Dovevi vedere la tua espressione!»

Lei schernisce, ma io non l'ho trovato divertente. Non c'è niente su cui scherzare in questa situazione.

«A me non sembra stare bene» dice Dalai, scrutandomi con fare preoccupato. «Prima era bianca come un cigno adesso ha cambiato completamente colore... sembra quello che esce dal cigno...» prende a sventolare una foglia sulla mia faccia.

«Lasciatemi in pace!» grido.

Elia mi abbandona a terra come se fossi parte del fogliame circostante. I miei occhi piangono e il mio spirito langue. Nelle cataste di fiori che torreggiano il prato aggomitolo il corpo, cercando del conforto tra la morbidezza dei petali.

Resto in silenzio a pensare di tutto, a fissare un punto, senza guardare e ascoltare nessuno, senza emettere fiato. Perché io sono così: quando scende il sale dagli occhi non salgono parole dalla mia gola.

In quale antro del mio cuore mi potrei riparare, adesso? È più scoperchiato di un anfiteatro greco, più saccheggiato di una biblioteca alessandrina. Non ho più alcun segreto da conservare per me stessa, non ho più un lato che sia nascosto come la faccia oscura della luna. Mi sento un completo disastro e non so perché.

«Tu non hai un lato oscuro, Sara» dice Elia, con un tono pietoso «e non sei un disastro.»

È da quando l'ho conosciuto, da quando mi si è rivelato, che non fa altro che trattarmi male e darmi della stupida. E come posso dargli torto? È vero che sono stupida, mi sono fatta portare qui da un bellimbusto alato senza provare a oppormi con ogni mezzo... avrei potuto chiamare la polizia, diamine!

𝑽𝒐𝒄𝒆 𝒅'𝒂𝒏𝒈𝒆𝒍𝒐: 𝑺𝒂𝒓𝒂 𝑨𝒍𝒈𝒉𝒊𝒆𝒓𝒊Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora