𝐗𝐕𝐈. Occhi e orecchie ovunque

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Lascio affondare le ginocchia su ciottoli bianchi. Il fiume al di sotto delle cateratte scorre più impetuoso. Il livello dell'acqua si sta alzando.
Canto, nel frattempo che aspetto Rio ed Elia, per sentirmi meno sola.

C'è un verso di una mia vecchia canzone, scritta a sedici anni, che fa "Spesso quando ci si sente soli ci si deve ricordare che si è sempre in buona compagnia". Non so se potrei essere ancora della stessa opinione. Da una parte sì, ma dall'altra no. Credo che a nessuno piaccia la solitudine troppo a lungo.

Ovvio, «meglio soli che male accompagnati» come diceva sempre nonna Cetti - insieme a milioni di altre nonne, probabilmente -. Ma il problema è che ho passato così poco tempo insieme a qualcuno che mi sto chiedendo se il problema non sia io. La mia relazione più lunga è durata a malapena un anno, e sono stata pure cornuta.

Sono stata... no! Accidenti a me. Non devo assolutamente pensare al tradimento del mio ex, non ora che sono qui sospesa in un baratro tra la vita e la morte. Non ora che sento di essermi lasciata alle spalle quell'esperienza su cui ho messo una pietra sopra, una bella pesante, chiamata lapide.

Non biasimo Elia, chissà quante me ne ha dette su di lui, su altri, e io non l'ho ascoltato... mai l'ho ascoltato. Era impossibile rendersi conto della sua presenza, ma lui c'era sempre e adesso lo so: in qualche modo avvertivo una voce strana dentro la mia testa che mi diceva che non mi dovevo fidare di quell'uomo, ma nonostante ciò io ho sempre dato retta al mio cuore.

Non ho dubbi che fosse Elia a farmi ragionare in silenzio, tramite quella voce che sentivo dentro la testa. Quella voce che ho spesso scambiato per intuito o istinto. Quella voce che le orecchie non possono udire. Quella voce che non ha timbro ma si comprende a pieno.

Era la voce di un angelo che cercava di guidarmi nelle mie scelte. Era la voce di un angelo che turbava il mio animo. Era la voce di un angelo quel pensiero spiacevole, incongruente con i miei sentimenti. Era la voce di un angelo che mi avvertiva sulle impressioni degli altri. Era la voce di un angelo: il mio angelo, il mio Elia.

«Sara?!» sento gridare dall'alto. «Finalmente qualcuno di familiare!»

Alzo la testa. Tra i bagliori dei raggi, che penetrano il cristallo, affiora una sagoma alata. Si avvicina in picchiata. Chiama ancora il mio nome. Non appena vedo dei capelli biondi che volteggiano non ho dubbi: è Dalai. Come è finito qui?

L'angelo atterra, è confuso. Mi avvolge con le braccia, visibilmente spaventato. È davvero lui o è una proiezione come Ross? L'attaccatura delle sue ali spande calore. È così magro che quasi mi pare di toccare delle costole. La prima volta che ci abbracciamo davvero, mi sembra di avvolgere le mani attorno a un arbusto delicato e fragile che non è in grado di difendersi da una tormenta.

«Che posto è?» bisbiglia, tremando. «Mi sono ritrovato qui quando ho creato il portale.» si guarda attorno.

«È...» non so da dove cominciare per farglielo capire «un labirinto che ha creato il Capo Supremo... per me.»

Dalai afferra le mie spalle e poi mi allontana, tenendo le sopracciglia increspate.

«Tu sei ancora viva?» annuisco «Sei sola?» spalanca gli occhi verdi, terrorizzato. «Dov'è il Capo Supremo?! L'ho fatta grossa! Non so come! Billie! Dov'è Billie?!» mi scrolla le spalle.

Faccio un respiro profondo, cerco di rispondergli in modo pacato.

«Non c'è nessuno dei due qui. Né Billie, né il Capo Supremo.»

«Lui ha occhi e orecchie ovunque, è impossibile che non ci sia!» si dispera.

Mi viene in mente la risposta che diede Billie, quando Elia disse più o meno la stessa cosa.

𝑽𝒐𝒄𝒆 𝒅'𝒂𝒏𝒈𝒆𝒍𝒐: 𝑺𝒂𝒓𝒂 𝑨𝒍𝒈𝒉𝒊𝒆𝒓𝒊Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora