Il mare russava quando arrivai sulla spiaggia. Le sue onde probabilmente soffrivano di apnea notturna, ma per fortuna non erano fastidiose da sentire, anzi, tutt'altro. Quel ronzio creava quasi una melodia catatonica che però non stancava. Mai sentita roba del genere. Ne ho suonate di cose sperimentali e strane con i miei strumenti, ma quella roba non era imitabile. A differenza della musica umana, non aveva bisogno di parole per prender senso. Io credo proprio che molti artisti della musica classica si siano ispirati a quel russare per la loro arte, altrimenti non si spiega.
Camminavo sulla riva seguendo le orme confuse e caotiche dei gabbiani, mentre lasciavo le mie dietro le spalle. Fu lì che la vidi. Fui esterrefatto, quasi spaventato o forse scioccato. Non lo so, era un misto tra una piacevole sorpresa e un incredibile spavento. Mi sentì anche uno sciocco, perché non era apparsa dal nulla. Era sempre stata lì. Anche se aveva un volto luminoso, tutto il resto si confondeva con il blu notte che solo le spiagge sanno offrire. Ero fermo a contemplarla, quando improvvisamente anche lei mi guardò. Mi sorrise. Uno di quelli genuini, quelli che quando li fai ti fanno chiudere gli occhi senza che te ne accorgi. Ne rimasi ancor di più fulminato; era bellissima.
Era da sola, proprio come me. Questa cosa sembrava proprio non pesargli, come se fosse quello il suo modo di essere in pace con se stessa.
Rimasi un bel po' a guardare quello che per me era un meraviglioso quadro vivente. Non osai dire una parola. Non mi sarei mai permesso di rovinare tale capolavoro, accompagnato dalla miglior sonata solista del pianeta terra, appoggiato sul tappeto naturale più caldo e soffice che esista. Sarebbe stato un sacrilegio, un'eresia o qualsiasi altra parola possa far intendere la cura che ebbi nell'osservarla.
Una volta abituato all'oscurità, potei gustarmi dettagli che la mia vista accecata non poté osservare subito. Aveva delle leggere lentiggini sul volto, delle labbra secche e una strana aura che la circondava. Questa mi permetteva di vedere l'immagine che il mare aveva creato di lei.
Brillava cosi tanto di luce propria, che anche il suo riflesso acquisiva un fascino tutto suo, completamente diverso dalla sua padrona. Sembrava un po' misteriosa, evanescente oserei dire.
Quei due secondi di sguardo che mi aveva concesso con quel sorriso, non mi bastavano. Ero geloso del mare in quel momento, a cui i suoi occhi e i suoi pensieri guardavano con un aria cosi triste e melanconica. Non riuscì a resistere più, volevo almeno sapere il suo nome. Iniziai lentamente ad avvicinarmi, con passi leggeri ma che comunque sprofondavano in quelle sabbie. Dopo qualche passo mi fermai. Ero stranito perché sembrava che la distanza non diminuisse mai. Mi guardai anche indietro per controllare i miei passi, e si, li avevo compiuti, la loro vita era proprio lì dietro di me. Allora perché sembravo ancora cosi distante? Perché non potevo avere anche io il piacere di essere guardato da lei? Non era giusto. Ero ormai offuscato da tale desiderio che urlava dentro di me fino a sbavare, fino a piangere, fino a farsi del male. Io sarei arrivato davanti a quella donna e l'avrei accarezzata. Non avevo dubbi. Allora iniziai a correre, corsi con le mani che si allungavano pur di arrivare prima dei piedi, del viso, dei capelli o delle labbra. Ero stanco, ma non arreso e non mi fermai. Finché non mi resi conti di avere l'acqua fino alla gola e la punta delle scarpe come unico appiglio alla terra. Avevo il batticuore, il mio corpo adesso pesava, come la mia coscienza che pian piano mi rendeva noto della pazzia che stavo commettendo. Lottai con l'acqua. Lottai non solo per sopravvivere, ma per essere notato da lei. Per provare ancora una volta quel brivido che solo quel sorriso era riuscito a darmi. Il mare mi punì per aver disturbato la sua suonata, fino a rendermi tutt'uno con esso. Sempre più giù, sempre più nelle profondità della sua canzone. Tutto ad un tratto però mi calmai, anzi, sorrisi proprio. Mi accorsi che adesso mi guardava. Si, mi stava guardando. Finalmente, da qua giù, nelle profondità del mare, ero degno del suo sguardo. Mi sorrise di nuovo alla stessa maniera. Potei guardare quel meraviglio sorriso e quegli occhi socchiusi prima di chiudere i miei. Anche se mi allontanavo sempre di più, non so per quale motivo, solo in quel momento prima di smettere di respirare, mi sentii il più vicino possibile a lei. Tutto poi divenne improvvisamente ovattato. Non sentivo più niente, ne fuori e ne dentro. Una cosa però riuscì a sentire. Una voce, forse la più accogliente e calda che abbia mai sentito.
"Selene. Mi chiamo Selene" Disse.
Li mi lasciai andare.
"Piacere di conoscerti Selene. Grazie."
Si sarà sentito cosi Icaro?
Chissà.
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Storie dalle mille parole
Short StoryRacconti, flussi e poesie dalle mille parole. Attraverso la quotidianità, la spiritualità, il thriller e tanto altro.