𝙲𝚊𝚙𝚒𝚝𝚘𝚕𝚘 𝚜𝚎𝚝𝚝𝚎

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Potrei essere rinchiuso in un guscio di noce e tuttavia ritenermi Re di uno spazio infinito, se non fosse che faccio brutti sogni.

Si dice che quando una persona muore, ogni cosa che la riguarda, sembra mutarsi e diventare più importante, di quanto in realtà fosse, ma per me non fu proprio così. Iniziare a vivere d'accapo, cercare di dimenticare le cose che più amavo, migliorare il mio carattere, crescere interiormente, cercare di vivere a pieno la mia vita, era diventato difficile quanto scalare la vetta più alta, senza attrezzature. 
La mia vita è sempre stata una montagna russa, anzi, la salita era sempre meno faticosa rispetto alla discesa, e spesso, quando ricadevo non riuscivo più ad rialzarmi come prima, o forse non sono mai stato in grado di farlo. 
Avevo avuto così pochi amici, che quando mi ritrovai di fronte Armin Arlert, mi venne quasi da ridere. 
Era un ragazzo dai capelli biondi, questi erano brizzolati ai lati, e aveva una chioma abbastanza folta, la sua statura era molto minuta, e si poteva ben notare, dal suo volto magro e pallido, che era stato condannato alla mia stessa vita. Poche volte abbiamo avuto un discorso elaborato, io non riuscivo più ad esprimermi, era come se la mia voce avesse preso una pausa per quasi un anno, e senza che nessuno glielo avesse chiesto, aveva ripreso a lavorare, con pochi risultati. Fortunatamente conosceva il linguaggio dei segni, e con estrema sicurezza esponeva i suoi pensieri, cosa che io, ancora oggi non riesco a fare. Impiegò ben cinque anni, di dura terapia, per poter almeno ritornare al suo peso forma, e così da come era apparso così era scomparso, mentre io ero rinchiuso lì ancora e ancora. 
Non fraintendetemi, c'erano momenti in cui, specialmente i dottori, mi obbligavano ad andare dai miei zii, così che io potessi rivedere il verde candido del cortile di casa mia,  per poi ritornare a vivere con apatia e insicurezza. 
Un giorno però arrivò una persona che mi fece del tutto cambiare idea, un ragazzo, alto e muscoloso, e senza nemmeno dirmi il suo nome, era riuscito a raccontarmi la sua vita, in poco più di due ore, ricordo ancora il suo profumo, senza nemmeno accorgermene mi ero infatuato a prima vita, e questo mi sconvolse più di quanto immaginassi. 
Era la prima volta, dopo ben cinque anni dalla scomparsa di Levi, che mi ero quasi innamorato, il mio cuore non riusciva a reggere quella sensazione, cercava in tutti i modi di moderare i battiti, e il mio polso cominciò a bruciare, il volto si fece rosso, gli occhi lucidi e le labbra umide, volevano ribellarsi a quella tortura che avevano dovuto vivere fino a quel momento.
Il ragazzo non mi chiese niente, e quando vide la mia stanza vuota, intravidi un pizzico di speranza, che purtroppo non trovò mai nei miei occhi, quel letto, ancora una volta, non poteva essere di nessuno, il mio cuore sarebbe stato di un altro, ma quella stanza era riservata a noi. 
Sbagliavo continuamente, eppure i suoi occhi erano simili al colore del sole, quasi caramello, e il suo sorriso mi riusciva a tranquillizzare, come nelle notti di luna piena e nelle giornata più afose, il suo corpo risultava esser una coperta, sempre pronta ad avvolgermi, e mai ad allottarmi. 
Il suo cuore era puro, e mi ricordava il vecchio me. 
É questo quello che vedevi Levi, è questo quello che provavi? Mi sono chiesto quando, per la prima volta, mi sono esposto, ai suoi occhi, e come un fiore appassito, ho perso i petali senza nemmeno accorgermene, così tanto velocemente che appena mi sono svegliato, ho tentato di morire soffocato. 

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