calci e pugni [stryse]

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questa canzone >>>> , gli stryse >>>>> quindi lessgoo

commento post produzione :: non mi piace proprio per niente

Le luci erano soffuse. Le coperte erano calde - fastidiosamente calde -, il divano troppo stretto per due corpi poco minuti come i loro. La tv in sottofondo parlava da ore, e quello che doveva essere un film a caso era pian piano diventato un talk show notturno e poi un programma di televendite, quindi Alex, pur non avendo idea dell'ora, immaginava si avviassero verso l'alba. Gli occhi di Luigi, stravaccato su di lui, si erano chiusi qualche ora prima, o forse qualche minuto. Quello che Alex sapeva è che la conversazione con il soffitto si stava facendo seria, a quel punto. Una sigaretta spenta e troppo consumata giaceva nel posacenere sul tavolino lì davanti, mentre del viso del ragazzo sotto di lui vedeva solo la metà superiore, gli occhi sigillati e le ciglia nere appoggiate sulle guance. Era così bello vederlo dormire, ancora, dopo tutti quegli anni. 

C'era un messaggio, arrivato qualche ora prima. Gli venne in mente così, d'improvviso. Cercò per un secondo di elencare tutte le ragioni per cui fosse il caso di non rileggerlo in qual momento, ma gli venne in mente solo ce il cellulare non era in vista, quindi si sarebbe dovuto alzare per cercarlo. Il telefono, invece, era sotto il divano, e chissà come c'era finito, là sotto. Un piccolo gesto atletico, whoop, eccolo in mano, forse qualche muscolo un po' stirato. Luigi non aveva fatto una piega, stanco per tutte le notti di sonno arretrato, tra canzoni da scrivere e aspirine, che all'inizio erano state condivise da Alex, ma pian piano erano diventate più solitarie per il chitarrista. 

Per quello aveva proposto quella serata, solo loro due, un film in tv, il divano e poco altro, come ai vecchi tempi. Alex ci aveva sperato, aveva riposto tutta la sua fiducia in quella serata che poteva essere speciale. E forse lo era, qualche mese fa l'avrebbe indicata come tale, perché guardare l'altro dormire lo aveva sempre fatto impazzire. Se non fosse stato che non lo sentiva più come abbastanza. E il calore di Luigi addosso non era più piacevole e familiare, ma eccessivo e opprimente, gennaio o agosto che fosse, e il suo peso non era più complementare, ma si posava sulla sua coscienza, un peso sul cuore.

Marco

Dobbiamo parlare. Raggiungimi quando puoi.

[18.23] //

Era un po' che con Marco le cose erano cambiate. Non era stata colpa sua. Davvero. Solo che Luigi non c'era più, sempre in studio a comporre e fare chissà che, e anche quando c'era era un continuo, la chitarra, il piano, le cuffie e i testi, a ciclo costante. Anche lui era preso dal lavoro, viaggiava, registrava, ma quando tornava a casa era lì, cento per cento, e ne soffriva. Marco questa cosa sembrava averla capita e sembrava volergli dare una mano a risolverla, o quantomeno a metterci una toppa, una pezza sopra, per qualche mezz'ora ogni tanto, farlo sentire voluto, amato, al centro dell'attenzione.

Ci aveva provato in ogni modo. Aveva cercato di farlo capire, con i gesti, con i tentativi di parlare e di approfondire i baci. Lo aveva sussurrato, prima mentre l'altro dormiva, poi in bagno, davanti allo specchio, con l'altro fuori che si vestiva. Era arrivato a sussurrarglielo una sera d'estate, l'altro nel dormiveglia, per poi finire con l'urlarlo qualche giorno prima che iniziasse tutta quella storia, sentendosi frustrato, odiando di non potersi sentire al sicuro nemmeno a casa sua, tra le braccia del suo ragazzo, avvolto dal silenzio, stanco di sentirsi sempre di troppo nel continuo lavorare dell'altro, mettere giù bozze, fumare, si sentiva sempre tra i piedi. Non poteva credere, dopo quattro anni di quella relazione non idilliaca, ma passionale, carnale, profonda, di ritrovarsi intrappolato nei silenzi che si creavano tra loro, che tanto amava un tempo.

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