Nonostante tutto, sei importante per me

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Solamente quando le giornate sembrano fornire lo stesso quantitativo di noia, come un treno che instancabilmente permane sui propri binari, anche un piccolo cambiamento è in grado di far deragliare la locomotiva, sede dei pensieri e delle emozioni.

Per molti anni i superiori mi hanno esortato ad ottenere quella certificazione che mi avrebbe portato a conoscere la Chimera, origine della mia rovina: B2 First. Come un amante che insistentemente desidera incontrare l'oggetto del suo deragliamento emotivo e infine ottiene un appuntamento, allo stesso modo io accettai di partecipare ai corsi preparatori assecondando il desiderio dei miei superiori: qui avvenne quel cambiamento che istantaneamente mi illuse e, successivamente, mi rese partecipe dell'anedonia al confine con la Grande Tristezza. Evidentemente, per merito dello studio personale perpetrato durante il periodo di paura estiva, il corso preparatorio lo affrontai tranquillamente; nel mentre, un tarlo costantemente si cibava del legno della mia corteccia cerebrale e mi costringeva ad osservare assiduamente una dolce creatura, isolata dal resto del gruppo. La voglia di partecipare al mondo che lei viveva attraverso i suoi occhi era troppo assillante. L'occasione per parlarle si presentò durante la parte orale dell'esame: il destino decretò che lei non fosse altro che una semplice compagna per i 15 minuti più veloci di tutta la mia vita.

La possibilità di rivolgerle la parola risvegliò il cavallo nero dell'anima platonica, schiavo delle passioni, con la conseguente soppressione della componente razionale.

Durante l'attesa dei mezzi di trasporto riuscii ad intrattenere con lei la più futile e semplice conversazione della mia esistenza, ma decisamente questi incontri casuali definiscono l'inizio di una genuina relazione, se non affettiva, almeno di amicizia, un'amicizia che ben presto si sarebbe conclusa.

Come quando due amanti clandestini si separano al sopraggiungere della luce del giorno e cominciano già ad avvertire la mancanza della carne l'uno dell'altro, allo stesso modo provai io un dolore causato dalla rottura di quella semplice sintonia, successivo focolare di emozioni ben più profonde, per tornare a casa.

L'impazienza mi divorava.

Sinceramente, attendevo il giorno dell'esame completo per poter riprendere quello scambio di intese e parole. Non appena entrai nella stanza dentro la quale avremmo svolto la prova, mi accorsi che ci saremmo seduti vicini e mi tranquillizzai finendo per ottenere il punteggio più alto tra i partecipanti del corso. Al termine, ci salutammo senza avere molte opportunità per intrattenere la tanto desiderata conversazione.

Il pomeriggio mi incontrai con un gruppo di persone ignare di ciò che la mia mente avrebbe presto partorito; ricordo che comprai il set completo di <<Your Name>>, una storia romantica tra due giovani che, misteriosamente, durante la notte si scambiano l'uno con il corpo dell'altra e finiscono, infine, per innamorarsi. All'interno del racconto, viene romanzata la leggenda del "filo rosso del destino" che lega due persone le quali, inevitabilmente, finiranno per incontrarsi, il filo che si era infiltrato tra le nostre dita e consapevolmente ci stava avvicinando. La sera le inviai una foto dei fumetti, la foto da cui ebbe inizio tutto, da cui sarebbe scattato quel rapporto che fin da bambino desiderai avere con un individuo del sesso opposto. Finimmo per incontrarci al di fuori dell'edifico scolastico e non fui mai così felice.

Dopo tanto tempo finalmente ero Felice.

Lo ero.

La gravità mi manteneva ancorato al divano all'arrivo di Quel messaggio e mi impediva di raggiungere quello che nella mia mente era il rapporto, ormai di dimensione utopistica, a cui lei aveva rinunciato. La tensione sulle dita, il fiume di ricordi nella testa nonché il balbettio dei pensieri offuscavano la lucidità di una mente che non aveva mai sperimentato un dolore così sincero per la perdita della propria controparte. Improvvisamente - ricordo - i colori del Paradiso si spensero; le sfumature di quel luogo, che presto avrei modificato con la facoltà condivisa dall'intera umanità, si tinsero di grigio, come quando si versa dell'acqua sopra ai colori a tempera. Le speranze cominciarono a vacillare, i sapori a sparire, le melodie ad incupirsi. Passarono i primi giorni, nessun miglioramento. Il divano divenne rapidamente il più caro dei miei amici, l'unica entità alla quale esternai la più intima regione del Paese che costituiva l'insieme delle mie emozioni, quella contea inesplorata dalle stesse persone che ritengono di aver compreso il funzionamento della macchina dei miei pensieri. I suoi cuscini mi offrivano un sostegno incredibilmente stabile, come la spalla di un padre sulla quale appoggiarsi per accedere definitivamente al mondo di Orfeo. Coprivo il corpo, ormai consapevole di essere soltanto carne priva di un'anima, con una pesante coperta di lana, la quale ero solito associare al caldo abbraccio di Ade che tanto sognavo di ricevere. Alle orecchie portavo costantemente gli auricolari: una dogana che consentiva il passaggio esclusivo delle note impregnate di estrema tetraggine, ispezionava quelle apparentemente piacevoli e bloccava le melodie più liete. Certamente non mi era d'aiuto il tanto amato J-Pop: come quando si è giulivi per l'arrivo di un grazioso regalo e questo contiene un abito acquistato in passato, allo stesso modo quei motivi orientali celavano un sottofondo di malinconia e sconforto con cui avevo già inevitabilmente iniziato una tossica convivenza.

Il ciclo cominciò così a definirsi, il lento trascorrere delle giornate a determinare un'immersione sempre più profonda e dolorosa accompagnata da una costante sensazione di solitudine.

Superai, dunque, l'Acheronte e cominciai a percorrere l'Inferno sprovvisto della speranza e della forza per poterne uscire.

Il cibo perse definitivamente ogni parvenza di gusto e gradualmente smisi di nutrirmi regolarmente, causando un indebolimento del mio corpo che necessitava di quelle risorse per rinforzarsi. Lo studio, che sempre aveva solleticato una pura curiosità infantile, era ai miei occhi uno spreco di tempo, tempo che avrei comunque gettato fra le pieghe di Quel divano, ormai colme di lacrime. Iniziai ad indirizzare tutta la colpa verso la mia impazienza e la mia incapacità di gestire le emozioni e le relazioni in cui ero coinvolto e lentamente avviai la distruzione delle mie sicurezze, del mio io più interiore. La presenza di una voce che affermava regolarmente il mio fallimento, lo spreco della mia vita, nonché l'inefficacia dei miei sforzi appesantiva l'opinione di me che andavo maturando.

Le uscite con il gruppo rappresentavano un tentativo incredibilmente inutile di estraniamento da tali pensieri ed era preferibile la comodità del mio nuovo Amico e Coinquilino, l'unico capace di soddisfare le mie velleità. Il confronto con gli Altri era inevitabile e criticava e incrinava l'assetto che avevo temporaneamente assegnato alla mia futile esistenza. Osservare l'avanzamento delle relazioni altrui mentre le mie permeavano instabili al loro principio, notare tutti i miei sforzi precedenti favorire gli altri e lasciare me alle fondamenta di un castello che stava già crollando era incredibilmente pesante, esattamente come il testo che stai leggendo ora. Si aggiungevano le prime relazioni affettive di alcuni componenti del gruppo e la presenza di mille pensieri nella testa cominciò ben presto a diventare intollerabile.

Un giorno, incredibilmente intravidi un fiocco di luce in fondo all'estesa galleria che costituiva lo sfondo del teatro nel quale, ogni giorno, veniva messa in scena la mia devastazione. Con l'aiuto di quell' "amico" che in futuro avrebbe rafforzato il senso di colpa che albergava nel mio petto, decisi di ricontattarla. Come per scatenare una valanga sul dorso di una montagna non è necessario che una crepatura nel debole strato superficiale di neve sulla cima, allo stesso modo si spense ogni lume che inconsapevolmente avevo acceso alla conferma che la relazione si era definitivamente conclusa.

Il buio.

Il buio e la paura.

Paura di cosa? Meramente di ogni cosa, di ogni opinione, di ciascun uomo e di voler compiere l'Atto Definitivo.

Cominciai a calunniare l'immagine del Dio che mi ero costruito nella testa; dapprima me ne vergognai e il senso di colpa aumentava esponenzialmente. Ben presto, le bestemmie diventarono parte del mio vocabolario e la sensazione di "vietato" e "sbagliato" piano piano si sciolse, come un crampo ad un muscolo al quale viene applicato un dolce massaggio. Quale Padre permette ad un proprio figlio di cadere così in fondo, tentato da Satana, senza fornire un aiuto a lui accessibile? Il Dio che tanto ammiravo perse importanza e l'Amore rapidamente venne sfrattato dall'Odio: ecco che le bestemmie un senso cominciavano ad assumerlo.

Il moto centripeto in cui ero coinvolto non permetteva ad altri pensieri di invertirne la direzione e ai miei amici di Capire.

Ero solo.

Anzi, forse no.

Eravamo Io e il Dolore, un compagno che gelosamente mi custodiva sempre con sé e non mi consentiva di Sorridere perché, a detta sua, non ne avevo il diritto.

A distanza di mesi sembro non averne ancora.




(La foto è stata scattata durante la nostra prima uscita, mentre aspettavamo il pranzo assieme, quella è la sua bottiglietta d'acqua)

MatildeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora