Capitolo II

220 32 44
                                    

Liberi e prigionieri della stessa gabbia


Tra tutto quello che credeva gli potesse accadere oltre le mura di quel palazzo, sicuramente incontrare un qualcuno che lo avrebbe aiutato a scappare dalle sue guardie non rientrava nei suoi piani.

Eppure eccolo qui. Qui in presenza di questo qualcuno. In presenza di questo Manuel ad essere precisi.

Si guarda indietro e fa vagare il suo sguardo per controllare in tutte le direzioni. A quanto pare sono riusciti a seminare i loro inseguitori. Ormai sicuro di aver controllato per bene che ci sia campo libero ha intenzione di rivolgere nuovamente la sua attenzione al riccio, ma appena torna a cercare la sua figura lo scorge poco più avanti: si stava già defilando.

"Bene, bello quanto antipatico."

Non sapendo cosa fare gli viene naturale ed istintivo andargli dietro. Una volta avvicinatosi gli chiede, rimanendogli dietro: «Scusami, ma sai con queste guardie...non è che adesso siamo nei guai?»

«Solo se ci prendono.» gli risponde secco continuando a camminare ma voltando leggermente il capo nella sua direzione, quel tanto che basta a Simone per vedere il sorriso sghembo formatosi sul volto dell'altro e il seguente occhiolino per poi tornare subito a guardare la strada davanti a sé.

"Okay, forse non è così tanto antipatico."

Il principe guarda verso il basso nel, forse vano, tentativo di placare il rossore sulle sue guance. Si dà mentalmente dello sciocco per permettersi di arrossire a causa di un sorriso e un occhiolino dato da uno sconosciuto carino.

«Comunque, non che siano affari miei, ma hai detto che sai cosa si prova a scappare da quelle guardie... che intendevi?» chiede sinceramente per pura e mera curiosità.

«Mh» è l'unico suono che emette Manuel a labbra serrate, prendendo una piccola pausa prima di riprendere parola: «Secondo te? Ho a che fare con loro praticamente ogni giorno. Deduco che tu sia nuovo da queste parti, visto che non sai come funziona.»

Simone è spiazzato e non sa come reagire e cosa dire dato che si è praticamente auto sabotato, d'istinto decide di dargli ragione per non far capire la sua reale identità: «Sì, io non sono di qua. Vengo da un'altra città.»
Suo padre avrebbe detto che è un gran cazzaro. Ne è certo, talmente tanto che sente il proprio i toni della sua voce nella sua mente come se fosse proprio la sua coscienza.

Manuel assume un'espressione stupita, forse non se lo aspettava davvero: «E nella tua città non hai mai avuto a che fare con le guardie, scusa?»

«No.»

"Simone, ma che stai dicendo?"

Vuole solo dare una testata sulla prima parete che trova per essere così scemo da sbagliarne una dietro l'altra ma deve continuare a fare finta di niente, perciò: «Più che altro da noi preferiscono bere fino ad ubriacarsi, non mi hanno mai dato troppe noie.» cerca di dare una parvenza di credibilità alla cafonata che ha appena detto e Manuel pare crederci, o almeno fa finta.

«Mah, sarà che qua il sultano è parecchio un precisino, ci tiene all'ordine. Peccato che io sono nato nel disordine e ne sono la rappresentazione più totale, se il disordine fosse una persona probabilmente porterebbe il mio nome.»

Simone rabbrividisce anche solo a sentir menzionare suo padre.

«Lasciamo stare questo tipo di discorso, è meglio.»

Si rende improvvisamente conto che ormai lo sta seguendo da un po' verso una meta a lui sconosciuta, ma per il momento decide di non farlo presente al suo interlocutore, poiché si è messo nei casini già abbastanza e dato che il caso ha voluto che incontrasse qualcuno disposto ad aiutarlo, chi era lui per opporsi?

Filo doppioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora