Step one: come little closer
Tw: omofobia ad un certo punto del capitolo, non vorrei urtare la sensibilità di qualcunə, se non ve la sentite siete liberissimə di non proseguire oltre.
Che Manuel non sappia il motivo preciso per quale abbia invitato Simone alle festa del raccolto è l'unica certezza che attualmente ha in possesso.
Preso dal momento, direbbe nel tentativo di giustificarsi, ma in realtà non ne è propriamente sicuro.
E poi "preso dal momento", che cosa? Quale momento?
Scaccia via i suoi pensieri scuotendo il capo e facendo danzare la sua chioma piena di ricci.
"Non ci pensare."
Dopo aver passato tutta la giornata con Simone a parlare del più e del meno, bevendo thè e mangiando mele, e guardare il ragazzo che si fermava a giocare col gatto ogni cinque minuti; si è fatta sera, il buio è calato sulla città, la musica suona a festa per le strade, si mischia con quella proveniente dal palazzo ma, essendo troppo lontana, si ode soltanto un flebile suono in confronto alla chiarezza con la quale arriva alle loro orecchie quella popolana.
Manuel osserva Simone intento a giocare con le zampette di Miao, lo richiama alla sua attenzione: «Allora, vogliamo andare?»
Il ragazzo si volta: «È già ora? Ma Miao sentirà la mia mancanza...!»
«Non sentirà la tua mancanza, né la mia, né quella di nessuno. Staremo fuori pochissimo e poi, comunque, se non ti va io non ho nessun problema a rimanere qui.»
Con te, gli verrebbe spontaneo aggiungere ma si morde la lingua prima di poterlo pronunciare. Perché sì, effettivamente non gli dispiace per nulla passare del tempo con lui che ha un'anima così diversa, ma così affine alla sua.
Simone si tira su dalla posizione seduta che aveva assunto fino a pochi secondi prima e raggiunge Manuel, iniziando poi ad incamminarsi insieme; lancia un'occhiata al gatto e vedendo che l'animale li guarda allontanarsi decide di salutarlo mandandogli un bacino.
"Teatrale."
«Aveva lo sguardo triste, hai visto?» chiede Simone una volta varcata la porta che conduce all'abitazione di Manuel.
Fin troppa apprensione per un gatto che probabilmente vivrà più di loro due.
«Tranquillo, non morirà di solitudine e anche se fosse le sue sette vite non le ha ancora sprecate.»
«Non erano nove, le vite dei gatti?»
«Io sapevo che erano sette.»
«Io sapevo che erano nove.»
«Eh, vabbè, se continuano così ci stiamo fino alla prossima dinastia.»
E Simone dapprima sembra non voler replicare se non fosse che dopo qualche secondo la sua voce arriva alle sue orecchie più chiara probabilmente perché gli si è avvicinato troppo, talmente tanto che sente i ricci dell'altro solleticargli la guancia: «E comunque sono nove.»
Manuel non ci vede più, lo allontana posizionandogli il palmo aperto in piena faccia: «Va bene, sono nove. Come vuole lei, maestà.»
Stranamente Simone si ammutolisce e Manuel ha paura di aver detto o fatto qualcosa di inappropriato, ma non capisce proprio cosa possa aver mai pronunciato o eseguito, di tanto sbagliato per far star zitto quello che, a detta sua, è peggio di un pappagallo visto e considerato che da quando lo ha conosciuto, i momenti di silenzio si possono contare su una mano a cui mancano due dita. Che alla fine se non parla con lui, parla col suo gatto.
Non indaga oltre e si presta a dare tutta la sua attenzione alla musica che si fa sempre più forte man mano che avanzano per le strade affollate, colme di gente che balla, gente che canta, gente che suona o che semplicemente imbraccia uno strumento.
Il clima festivo li fa passare in secondo piano rispetto a qualsiasi cosa, la gente non li nota minimamente o sembra comunque non fare troppo caso a loro, inoltre guardie non ce ne sono poiché sicuramente saranno tutte a controllare il palazzo, per questo -teoricamente- dovrebbe sentirsi tranquillo, però Manuel ha comunque un nodo in qualche parte del suo corpo del quale non sa definire bene la provenienza. Capisce che non sia nulla relativo al fatto che loro sono lì e qualcuno potrebbe vederli e riconoscerli dandogli una bella gatta da pelare, ma bensì dalla consapevolezza di aver detto qualcosa di troppo che possa aver ferito Simone (del quale è certo la presenza solo perché ogni tanto sente le loro spalle scontrarsi mentre camminano).
E il pensiero che lui possa star male a causa sua non gli piace. Non gli piace per niente.
Compiono qualche metro e giungono ad uno spazio circolare e ampio con attorno persone che battono le mani a tempo e altre che suonano svariati strumenti come tamburi, strumenti a fiato e vari altri a corda; al centro, oggetto di tutte le attenzioni, vi è un gruppo di uomini che danza sulle notte di uno dei balli tradizionali che Manuel sa essere praticati per festeggiare vari eventi, tra cui anche il raccolto: il dabka.
Si volta verso Simone che guarda la scena con aria confusa, ma affascinata allo stesso tempo: «È il dabka.»
Simone si volta, lo guarda: «Non la conosco.»
«Lo avevo capito. Molto strano, però, che tu non la conosca»
«Che ci posso fare? Non tutti sono uomini di cultura come te.»
«Ah-ah, non ti facevo così spiritoso, sai?»
«Quando vuoi, signor so-tutto-io.» lo prende in giro con questo nomignolo. Il tono giocoso non ferma assolutamente quella strana sensazione che ha allo stomaco, forse qualcuno la definirebbe metaforicamente come quelle famose farfalle?
Simone torna a prestare la sua attenzione alla folla, toccandosi il lobo dell'orecchio. Manuel sente il bisogno di riavere quell'attenzione portata nuovamente su di sé, perciò gli cinge le spalle con un braccio e avvicina i loro volti. I loro occhi s'incontrano come se fossero fatti appositamente solo ed esclusivamente per mescolarsi; la voce di Manuel é un sussurro che, nonostante la confusione intorno a loro, arriva chiara alle orecchie di Simone forse proprio per la vicinanza: «Ti spiego in breve, praticamente viene utilizzata in varie occasioni, oggi stiamo festeggiando il raccolto quindi si utilizza per quello, com'è ovvio.»
Con un cenno del capo, senza staccare gli occhi da quelli dell'altro, indica il gruppo di cinque uomini disposti a semicerchio, in fila indiana, i quali si tengono per mano: ognuno con la mano destra nella mano del danzatore precedente e la sinistra al danzatore seguente, girando in senso antiorario. Manuel prosegue la sua spiegazione: «Il primo della fila di solito è il più esperto e conduce lui il ballo. Sostanzialmente è una danza giocata sull' improvvisazione del capofila, gli altri hanno il compito di seguirlo. Sembra facile perché può sembrare una semplice danza dove si battono i piedi i cui passi sono scanditi in sei o otto tempi, ma non lo è.» gli occhi di Simone saettano velocemente da Manuel ai danzatori, dai danzatori a Manuel. Non risponde ma annuisce soltanto. Che reazione sia, il ladro non ne ha idea ma gli basta per lasciare andare la presa e liberare Simone con un sorriso compiaciuto.
"Che ti sorridi, cretino?"
Da quando Simone ha incrociato la sua vita sta questionando tutto anche il perché muova la mano sinistra anziché la destra. Incredibile, non è da lui. E Simone lo conosce da quasi ventiquattro ore. Sono quasi ventiquattro ore che Manuel è un punto interrogativo continuo.
Il dakba si è appena concluso e dopo poco la musica riparte a segnare l'inizio di un secondo round.
«Lo voglio fare anch'io!»
"Che?"
«Che?» domanda Manuel totalmente confuso, probabilmente Simone deve aver sbattuto la testa contro un muro e non se ne sono accorti né lui, né il diretto interessato.
Avanza qualche passo ma Manuel lo prendo per un braccio e lo ferma facendolo voltare: «Ma se fino a due secondi fa non sapevo neanche cosa fosse... sei impazzito?»
«Sempre stato.»
E subito si voltano richiamati da una voce proveniente da un uomo che li invita ad unirsi a loro e Simone accetta di buon grado, Manuel ancora con la presa su di lui si ritrova ad essere buttato in un ballo che non voleva fare. Sono quasi gli ultimi della fila; Simone tiene per mano un uomo sconosciuto e poi Manuel, oltre a dare la mano al ricciolino o quello che per sua definizione appena attribuitagli mentalmente è il suo personale combina guai, la sta stringendo anch'egli ad uno sconosciuto. Hanno semplicemente il compito di battere i piedi a terra seguendo il ritmo del capofila che con la mano libera alzata in aria sta facendo roteare quello che sembra essere un fazzoletto bianco, mentre piroetta, salta e danza alternando momenti in cui lo fa da solo, a momenti in cui lo fa includendo il secondo ragazzo in fila.
Manuel guarda i piedi di Simone e scopre che riesce a tenere benissimo il ritmo, forse anche meglio di quanto riesca a farlo lui che ogni tanto incappa sui suoi stessi saltelli. Che avesse un talento naturale?
Sale con lo sguardo alle loro mani, non era la prima che la stringe, lo aveva fatto anche quando la mattina lo aveva cacciato fuori dai guai, ma adesso, dopo tutta un'intera giornata passata insieme a parlarsi, conoscersi, esplorarsi con gli occhi... gli faceva solo un effetto diverso, una sensazione di calma mista anche ad una punta di irrequietezza.
È solo quando sente un sonoro "wow" scaturito dalla bocca di Simone, che viene riportato alla realtà la quale, rammenta non essere costruita sulla base dei suoi pensieri confusionali ma bensì da un gruppo di persone che stanno festeggiando. L'oggetto dello stupore di Simone è ovviamente il capofila è inginocchia e sta saltando su di un piede mentre quello libero è esteso e lo sta muovendo in vari movimenti talmente veloci che Manuel non li riesce a registrare del tutto nel suo cervello. Che poi neanche gli interessa perché torna a puntare gli occhi su Simone.
Ed in quel momento sente lo spazio e il tempo fermarsi. La realtà attorno farsi sempre più piccola fino a sembrare un qualcosa di lontano. Tutto questo a causa del sorriso che Simone ha stampato sul volto. Un sorriso spontaneo mostra i denti bianchissimi del ragazzo che guarda dritto davanti a sé, senza rendersi conto che Manuel si è totalmente perso a guardarlo.
"Ha un sorriso che potrebbe illuminare tutta la città."
"Bello."
Dopo aver formulato questi pensieri sente una forza esterna che lo spinge lateralmente, da quello che deve essere l'uomo che lo seguiva nella fila: Manuel non accortosi di essere rimasto fermo, è stato involontariamente spinto da questo sconosciuto che, preso dall'atto del ballare, gli è finito addosso urtando contro Simone.
Chiude gli occhi, cade su qualcosa che non assomiglia per niente al terreno ruvido e sabbioso caratteristico del luogo, ma su altro di ben diverso. Gli viene istintivo, adesso, riaprire gli occhi per capire che fine ha fatto e a quello che vede non sa come reagire: è finito sul petto di Simone che ha fatto in tempo a sfilare la propria mano dalla stretta dello sconosciuto che aveva lui al suo fianco in modo da non far cadere a terra anche tutto il resto dalla fila; stessa mano che adesso è stretta attorno alla schiena di Manuel forse nel vano tentativo di sorreggerlo prima di finire atterrato anche lui. La sente, Manuel, quella mano venire a contatto col suo corpo. Quel contatto scotta, potrebbe giurare che quasi brucia, sta andando a fuoco, ed è un calore che da quel preciso punto di irradia per tutte le sue terminazioni nervose, le sue vene, i suoi muscoli, le sue ossa.
Guarda Simone che con gli occhi serrati si porta la mano libera a massaggiarsi una tempia.
E poi una voce a lui ignota che lo fa voltare: «Lo sapevo! Uno straccione non può certo partecipare a questi eventi, guarda che casino!» è l'uomo che lo ha spintonato.
Sì guarda intorno: casino di cosa, che a quanto pare a malapena hanno visto che è caduto, dato che stanno continuando la danza come se nulla fosse!
Sta per ribattere, ma viene sopraffatto da Simone che nella fretta di rialzarsi, ha sovrastato Manuel facendolo rotolare di lato: «"Straccione" a chi? Lo ripeta! A chi?»
«A quello buttato là.» risponde il signore continuando a battere i piedi a tempo
Manuel si rimette in piedi. Simone lo sta difendendo?
«Ah, capisco. Lei è una di quelle persone che giudicano gli altri in base al loro ceto sociale.» il tono è calmo, ma il suo fastidio è lampante.
"Non finirà bene."
«Ma chi sei? La sua guardia del corpo, per caso? Cambia mestiere che questo non ha i soldi neanche per piangere, figurati se può pagare te.»
«Lei mi fa proprio schifo, signore. Mi scusi per il termine ma non ne trovo altri per descrivere tale pensiero. Io a lei non la conosco, ma dopo le sue affermazioni so con sicurezza che quel ragazzo è centomila volte meglio di lei, glielo posso assicurare! Una mentalità come la sua non è altro che deleteria.»
Il signore, offesosi, interrompe la sua attività uscendo dal gruppo e voltatosi verso Simone, gli urla: «Ah, ora ho capito chi sei. Sei la sua puttana! E siete voi a fare schifo, siete due uomini, ma non vi vergognate? Schifosi!» e sputa a terra.
Il riccio è più alto di tale individuo (e se ne rende conto solo ora che è davvero alto) il quale risulta essere un uomo sulla cinquantina con capelli mori e incolti, la pancia segnata dalla camicia bianca a righe nere con le maniche arrotolate fino al gomito; la barba lunga e nera ad incorniciargli il volto, i baffi del medesimo colore che spuntano sotto un naso a patata, preso come bersaglio dal pugno che Simone gli ha appena assestato.
"Porca miseria!"
La folla urla spaventata, il signore indietreggia barcollando e finisce addosso al gruppo di danzatori che ormai ha smesso di ballare.
«Simone!!» Manuel urla e d'istinto lo tira via dal gilet per allontanarlo, successivamente gli dà uno spintone per fargli capire che deve correre e scappare, cosa che afferra al volo e inizia a correre con Manuel al suo seguito.

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Filo doppio
FanfictionSimuel AU in cui Simone è il figlio del Sultano e Manuel è un ladruncolo delle periferie. L'idea non è mia, ma di aries.sia su tiktok, io ho solo preso l'idea in prestito per svilupparla. La copertina é anche questa, di aries.sia che ringrazio ancor...