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La mattina seguente si svegliò con la testa pesante e lo orecchie ovattate. Aveva pianto. Si svegliava tutte le mattine alle 6:00. A lei piaceva svegliarsi presto, per fare tutte le cose con calma e per poter arrivare in orario. Le piaceva anche arrivare in anticipo agli appuntamenti. Scelse i vestiti da mettersi, andò in bagno, si sistemò i capelli, che però si riposizionarono immediatamente come erano all'inizio, così, Sonia, scelse di legarseli in uno chignon disordinato. Si mise il deodorante e scese in cucina, non prima di aver afferrato lo zaino con i libri che avrebbe dovuto portare. Anche sua nonna era sveglia, già da prima di lei. Le aveva preparato la colazione, un toast. Sonia lo mangiò, ma dato che il suo stomaco le diceva di avere ancora fame, mentre sistemava le sue cose, le chiese di prepararne un altro. Mangiò anche il secondo. Aspettò l'ora giusta per uscire. Avrebbe preso l'autobus per la prima volta. Usciva di casa esattamente alle 7:10. Sonia è sempre stata una ragazza disordinata, ciabattona come ha sempre detto suo padre, ma ci teneva estremamente al tempo. Aveva orari precisi per tutto. Si svegliava alle 6:00, alle 6:10 era già vestita e scendeva in cucina per fare colazione. Alle 6:30 sistemava le sue cose e alle 7:10 usciva di casa. Se sforava di un minuto stava estremamente male. Non si riusciva a dare una spiegazione, a quella sensazione strana. Uscita dalla porta di legno, che dalla forma le aveva sempre ricordato una tavoletta di cioccolato, si diresse alla fermata dell'autobus. Dopo pochi minuti vide arrivare una ragazza. Faceva la smorfiosa, se la tirava. Faceva oscillare i capelli castani ma leggermente biondi sulle punte, sulla schiena, teneva in mano il telefono, piuttosto vecchio e nel frattempo che passava il dito sullo schermo, fumava una sigaretta elettronica. Le ricordò tanto la sua 'migliore' amica, Sara. La aveva conosciuta alle elementari. Si stavano altamente antipatiche, sin da subito. Poi Sonia cambiò classe per varie ragioni. Si ritrovarono alle medie. Le due timidone in una classe di estroversi, entrambe prese in giro per come si vestivano e per come si comportavano. Si erano mollate e riprese più volte, tra incomprensioni, bugie e tradimenti, ma in verità, non era mai stata veramente sua mica. Sonia, per lei, era solo un'appiglio a cui aggrapparsi per non sentirsi sola, per Sonia, invece, Sara era davvero la sua migliore amics. Avevano condiviso il primo ciclo di Sara, arrivato un giorno a scuola, quando aveva già quattordici anni. Quando arrivò a Sonia era estate, era uno dei periodi in cui non si sentivano per una delle solite pause dopo aver litigato. A tornare da lei era sempre stata Sara, perché tutte le volte si sentiva sola e cercava di nuovo quel bastone su cui appoggiarsi per tirarsi su e Sonia, puntualmente, le dava nuovamente corda. Perché? Perché la obbligavano i genitori, vedendola sempre sola, sapevano che lei era l'unica amica che aveva, così la invitavano ad accettare sempre le sue scuse. Eppure lei non voleva. Non voleva soffrire ancora. E ci soffriva davvero, anche se non lo mostrava a nessuno. Sara era alta, più alta di Sonia, che era quasi un metro e settanta, magra, i capelli li aveva biondi, ma più scuri di quanto li aveva Sonia. Era da tanto che non la sentiva e quella bella, anche troppo, ragazza sconosciuta, le aveva ricordato che le avrebbe dovuto scrivere. Sonia vide arrivare un autobus e, senza leggere cosa c'era scritto sopra, lo fermò e ci salì. Dopo un po' di tempo si accorse che la strada che stava prendendo l'autista era dalla parte opposta in cui si trovava la scuola. Si avvicinò al conducente e chiese se il veicolo portava alla sua scuola. L'uomo alla guida disse che portava da tutt'altra parte, così Sonia scese e, senza saper che bus prendere, rimase spiazzata. Chiamò al telefono suo nonno, gli diede la via dove si trovava e, lui, abbastanza seccato andò a prenderla per portarla a scuola. Entrò in classe di corsa e in ritardo. Dopo aver aperto la porta dell'aula tutta l'attenzione passò dalla professoressa di psicologia a lei. Odiava stare al centro dell'attenzione, ma allo stesso tempo le piaceva. Sicuramente in quel momento avrebbe preferito che lo sguardo delle ragazze fosse rimasto incollato alla professoressa piuttosto che spostarsi su di lei, ma in un certo senso, le piaceva essere considerata. Si avviò per andare a sedersi al suo banco. Si sedette accanto a Camilla. La salutó, poi aprì lo zaino, avendo ancora tutta l'attenzione e il silenzio della classe su di sé, prese l'astuccio rosso e il libro di psicologia. Una volta segnata la presenza sul registro elettronico, la prof ricominciò a spiegare il primo argomento dell'anno, che però, Sonia, non stava ad ascoltare. Era appoggiata con la schiena alla muro, su cui poco più su era presente un finestra, ferma a fissare, con la coda dell'occhio, la sua compagna di classe. Le piaceva, era una bella persona, gentile e le piaceva il fatto che portava sempre lo smalto rosso sulle unghie, anche se era un po' sciupato, a lei piaceva. Le piaceva il modo in cui tirava su gli occhiali quando le scivolavano leggermente. Le piaceva come le stava l'apparecchio, che però, a Camilla , come aveva sottolineato più volte, non piaceva per niente. Eppure Sonia riteneva che le stesse davvero bene. La rendeva unica. Le piaceva il suo sorriso, la sua risata, il modo in cui socchiudeva gli occhi quando cercava di trattenere le risate. Era più bassa di lei e anche più piccola di un anno. Le piaceva questa cosa. Quando le parlava doveva abbassare la testa per vederla, Camilla la doveva alzare. I suoi occhi castani, talmente chiari da sembrare quasi dorati la incantavano. Anche lei aveva problemi con il fisico. Si metteva sempre felpe enormi, anche se faceva ancora abbastanza caldo per essere metà settembre. Sonia non riusciva a spiegarsi perché una ragazza così diversa da lei, nemmeno troppo bella, riusciva a farle girare la testa tutte le volte che la vedeva. Stette due ore a osservare i suoi movimenti, senza neanche rendersene conto, cercando in ogni modo di non farsi notare. Poi, però, suonò la campanella. Camilla e una ragazza seduta davanti a loro, Vanessa, cominciarono a parlare. Vanessa era molto robusta, ma anche lei molto bella. Sonia era gelosa. Avrebbe voluto che Camilla parlasse solo con lei. All'improvviso, Anna, la ragazza seduta accanto a Vanessa, cominciò a parlare con Sonia. A Sonia, Anna, non era mai piaciuta, dall'inizio le sembrava troppo simile a lei, solo che cercava di includersi, anche se spesso falliva. Parlava, parlava e parlava, in continuazione. Non smetteva di farlo. A Sonia non erano mai piaciute le persone troppo simili a lei, perché sapeva che non sarebbero mai andate d'accordo. Mentre parlavano, Sonia continuava a rispondere a monosillabi e a fare sorrisi falsi, mentre la ragazza davanti a lei rideva istericamente senza sosta. La ragazza continuava a dare qualche occhiata alla sua compagna di banco, provando invidia nel vederla ridere con qualcuna che non era lei. Con lei non rideva così, tranne in certe situazioni. Ad un certo punto, Anna, che stava straparlando, venne interrotta da Camilla, che chiese sia a me che alla ragazza che ormai avevo capito di non sopportare davvero, se ci potevamo scambiare di posto, perché lei e Vanessa volevano sedere accanto. Anna era al settimo cielo. Era felice di sedersi vicino a me. A malincuore e con una grande gelosia nei confronti della ragazza conosciuta da poco, dalla ormai ex compagna di banco, rispose che le andava bene. Anna prese tutte le sue cose e si sedette accanto a lei. Cominciò nuovamente a straparlare. Sonia cominciò a parlare di un episodio successo alle medie, decise di provare ad essere sua amica, ma più le parlava e meno le piaceva. Ad un tratto senti sia lo sguardo che la voce di Camilla che fece una domanda riguardo alla questione. Sonia era contenta che ancora la stesse ad ascoltare. Eppure, rimase triste perché aveva scelto di sedersi vicino ad un'altra ragazza piuttosto che rimanere accanto a lei.

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