8 - Fallaces sunt rerum species

185 46 26
                                    

«Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti»
-LUIGI PIRANDELLO


La tensione nell'aula di danza era così densa da potersi tagliare con una lama.

Chi beveva gli ultimi sorsi d'acqua per rasserenarsi, chi si rinfrescava con ventagli arrangiati, chi non la smetteva di gesticolare in preda al panico, chi riprovava le ultime correzioni apportate dalla maestra per eseguire al meglio la propria coreografia.

Emma, invece, mi ripeteva le frasi della sua parte contenenti termini in spagnolo, che non riusciva a pronunciare perfettamente.

«Don Chisciotte e Sancho Paza...no, Panza finiscono in un accampamento di gitani. Il capo di questi pensa di fare uno scherzo allo halgo e...»

«Hidalgo, Emma...»

Sbuffò.

È giunto il momento di sfoggiare la mia cultura riguardante la letteratura spagnola...

«È un termine spagnolo. Ed è sinonimo di nobile, sebbene si utilizzi informalmente per riferirsi alla nobiltà non titolata. Ricordati che parliamo del Don Chisciotte...»

«Galeotto fu il Don Chisciotte e chi lo scrisse!»

Risi.
«Non puoi permetterti di nominare Miguel de Cervantes invano!»

«Infatti non l'ho fatto, dolce Kitri. La mia è stata solo un'allusione...»

Emma si alzò dalla piccola sediolina in legno, spolverandosi il pantalone nero con la mano ancora coperta di bende, mentre con l'altra continuava a stringere il foglio da presentatrice.

Si schiarì la voce. «Lo spagnolo mi manderà totalmente fuori di testa...»

Camminò verticalmente lungo la sala, continuando a ripetere la sua parte silenziosamente.

Osservai Olivia, posizionata davanti allo specchio dell'aula.

Continuava freneticamente ad aggiustarsi l'acconciatura con un pettine rosa shocking, gesticolando.

Maya, invece, si limitava ad annuire ai suoi discorsi in silenzio, come sempre, passandole fermelli, beccucci e lacca per capelli.

Grace stava assicurando l'allacciatura delle sue scarpette da punta in un punto non molto lontano da Olivia che, delle volte, le rivolgeva lunghe occhiate indifferenti.

I miei occhi si abituarono presto alla costanza monotona con cui quelle figure si muovevano fluide, le mie orecchie al lieve e quasi rilassante brusio delle voci sommesse e silenziose delle mie compagne.

Le mie iridi scure si insinuarono nelle venature del pavimento di legno, riuscendo a trovare un punto in cui si fermarono in modo fisso mentre, inevitabilmente, la mia mente iniziava a sfogliare pagine intrinse di sgradevoli ricordi che racchiudevo nella parte più inaccessibile della mia anima.

Avevo da sempre sostenuto l'idea del bianco e del nero.
Avevo da sempre pensato che non si trattasse soltanto di colori, quelli considerati i più insulsi fra i tanti.

In fondo, bastava solo cambiare prospettiva, per capire che i due colori in realtà erano creature.

Il bianco rappresentava la luce, la speranza, la spensieratezza.

La luce che risiedeva in un sorriso inopinato, in un sogno da realizzare e rincorrere, in un qualcosa che, indipendentemente da tutto, riusciva ad ammansire l'animo e guarirlo da ogni minuscola ferita.

Quello che Sussurrano le Stelle Cadenti Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora