Quell'aereo per Parigi

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Che a Luigi piaccia stare in compagnia, è fatto assodato.

La musica è condivisione, e lui suona la sua chitarra come si fa l'amore con una donna: lentamente, con passione, carezzando le corde seguendo i sensi che Madre Natura gli ha donato, impacchettando il talento in una scatola dai colori sgargianti e facendogliela recapitare ai piedi della culla da Apollo in persona; è convinto di averlo visto per davvero, quella divinità di Delo conducente il carro del sole, e se il pitico è protettore della sapienza e delle note musicali prodotte dalla sua fida lira, allora Luigi può dirsi credente e devoto al politeismo greco.

Non l'ha potuta portare, la sua chitarra, su quell'aereo per Parigi – un misero trolley basta e avanza per quattro giorni e tre notti, e il felpone che indossa ostinatamente libera almeno un terzo del suo bagaglio a mano malamente infilato nella cappelliera del mezzo alato. Prende posto accanto al finestrino, sognatore a occhi aperti com'è, barattandolo con un compagno di classe in cambio di qualche favore troppo ingigantito da iperboli e onomatopee: "scrivo la relazione di fine gita al posto tuo", gli ha detto poco prima di fiondarsi sul sediolino indicato sul biglietto possedente un nominativo diverso dal proprio, promettendo anche la stesura di qualche altro compito che, a dirla tutta, non ha intenzione di completare neanche per sé stesso.

Che poi, Luigi, fa il bugiardo di professione – in appena un anno non si possono cambiare le abitudini di una vita, e l'unico modo per nascondere il nervosismo e non scatenare un crisi glicemica è perdersi a osservare il manto di nuvole che l'aereo s'appresta a sorvolare, domandandosi per quale motivo non si possa vivere lassù, costruire casa e famiglia, perché sia impossibile metter radici sulla cima più alta della montagna più grossa, quella che fa capolino oltre il bianco per salutare gli avventurieri che solcano il primo dei sette cieli; e poi rammenta la cruda verità: che gli alberi hanno bisogno di un terreno stabile per ergersi in tutta la loro magnificenza, che le nuvole sono friabili e nulle e le radici abbraccerebbero il vuoto, facendo precipitare l'intero mausoleo verso un abisso più profondo del mare.

Non lo spaventa, la possibilità di un tuffo nell'aria spoglia – sono undici mesi che combatte contro un mostro più grande del suo corpo, e il senso d'inadeguatezza non lo abbandona mai; è lì, il diabete, nascosto non troppo nei filamenti delle sue membra sottili e fragili e affatto preparate all'evenienza, loro che sono state costrette a svilupparsi in una volta sola per vincere una battaglia che non è realmente finita. Ha scommesso ogni sua emozione, Luigi, e ha perso il cuore nel momento in cui il primo ago d'insulina gli si è conficcato in una coscia come l'ombra maligna del Diavolo in persona. Non è morto, ma osserva l'oscurità dell'angolo della strada che percorre per evitare che lo Squartatore gli salti addosso per tagliargli la carotide.

Immerso nelle melodie rock che pompano nelle cuffie che gli coprono le orecchie, è grazie alla spia sopra la sua testa che s'accorge che il volo è pressoché terminato: allacciare la cintura di sicurezza è il messaggio senza voce ma annunciato da un breve trillo proveniente dalla cabina di pilotaggio, e Luigi obbedisce all'obbligo prima che l'hostess di passaggio possa ammonirlo, seguita dall'immancabile ramanzina della professoressa Gallo e lui non ha affatto intenzione di mettersi nei guai sin dal primo giorno di gita scolastica, 'ché è un miracolo se la sua classe sta per atterrare all'aeroporto di Parigi-Orly invece della solita Catanzaro vista e rivista e visitata e calpestata e studiata.

Il carrello dell'aereo attutisce l'impatto con la pista francese, ma i passeggeri saltellano ugualmente sui rispettivi sedili per via del colpo secco delle ruote a contatto col terreno asfaltato. «Poteva andare peggio», dice Alfredo accanto a lui, dietro quegli spessi occhiali di vista che gli scivolano fino alla punta del naso. «Potevamo schiantarci sul Monte Bianco.»

Luigi rotea gli occhi e non gli risponde, lasciandolo deliberatamente ammattire nel suo pessimismo patologico; gli offre una mano per tirarlo fuori dalla spirale di negatività e umorismo nero, invitandolo a piazzarsi in mezzo allo stretto corridoio del velivolo innanzitutto per permettergli di alzarsi a propria volta, e per recuperare i trolley da sopra le loro teste costrette a star chine per non sbattere contro le cappelliere, alcune ancora sigillate e altre già aperte e persino vuote.

Quell'aereo per Parigi || Caroligi (one-shot)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora