CASA

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Sabrina la guardò negli occhi e rise, rise di gusto. Quasi dimenticò il fango che le era rimasto appeso alle scarpe, il verde dell'erba che le aveva tinto i pantaloni, il cadavere del luccio che avevano infilato, assieme, nel sacchetto bianco che ora pendeva dallo schienale della sedia su cui era appoggiata Marina. In quell'istante fu sicura di aver compreso come l'unico scopo dell'amore fosse quello di elevare dallo squallore, di mascherare l'odore del sangue, di trasformare anche il gusto acido del vino che stava bevendo in qualcosa di migliore.
«Che facciamo? Torniamo a casa Marì?» Fecero per alzarsi quando lo videro riapparire sul selciato: quell'uomo poco più anziano di loro, il suo grembiule sporco, le sue mani grandi. «Signo'! Aspettate! Ma mi sbaglio o lei è Marina?» entrambe sorrisero «Mia moglie me aveva detto... quella 'a è quella che sta in televisione! Me 'o aveva detto... ma io come potevo pensa' che Marina veniva qui?» Sabina le appoggiò una mano sulla spalla «Lo vedi Marina? Anche il signore lo dice... che ci facciamo qui? Ma adesso leviamo il disturbo sa... vero Marì?» l'uomo allargò le braccia «Ma no! Nessun disturbo signo', oggi nun c'è nessuno!» poi spostò gli occhi dal volto di Marina a quello di Sabina e dal volto di Sabina al sacchetto bianco «Fatemi vedè, che avete pescato?» Marina allontanò le maniglie l'una dall'altra «'N luccio! È pure bello signora Marina, sarà quasi 'n chilo de animale! Ma chi l'avrebbe mai detto, 'a signora Marina che pesca 'n luccio, e pure bello!» Sabina guardò Marina con le pupille appoggiate alle sopracciglia a Marina venne da ridere.
«Ha visto signore? Ma tutta fortuna sa, tutta fortuna! 'Sta qui 'o avrebbe pescato pure a mani nude! Se sarebbe infilata nella cava così e plaf  l'avrebbe tirato fuori dall'acqua co' li denti!» l'uomo rise «Vieni a vedè Luì! Guarda che roba, c'avevi ragione!»
Dalla porta uscì una donna, era pulita, sapeva di vaniglia e sapone. Agganciò la sua spalla a quella dell'uomo, stando un passo indietro. Sembravano non avere niente in comune eppure, pareva avessero lo stesso colore. La stessa sfumatura di grigio che assume il fango al sole, la stessa del travertino, del cielo nuvoloso di settembre e delle schiene delle lepri che si aggiravano attorno alla cava sempre da sole.
La donna tese la mano «Luisa, onorata de fa' 'a vostra conoscenza signore...» Sabina le strinse le dita, le parvero calde come quelle di Marina.
«Ma è proprio bello! Guarda che occhio fresco che ha, che branchie rosse!» Marina lo nascose di nuovo dietro al suo sudario di plastica.
«Signori, è stato un piacerre conoscervi...» disse poi, abbassando il mento allo sterno. «No, Marina, aspetti! Sà come cucinare er luccio, vero?» le chiese l'uomo, Sabina guardò Marina «Eh, Marì? Tu sai bene come si cucina er luccio, nun è vero?» la colpì all'altezza del fianco e Marina scosse la testa «No, signori, nun ve preoccupate! A lei er luccio piace così, fresco! Se 'o mangia crudo... ma che dico, crudo? Lei se potesse se 'o mangerebbe pure vivo!» risero e Marina la riproverò con lo sguardo.
«No, no venite! Luisa 'i insegni tu come se fa, no? Io vado a pjare 'n altro po'di carote dall'orto che ieri ne so' rimaste poche...» Marina fissò Sabina aspettando un cenno. Nulla faceva presagire che Sabina avrebbe fatto il primo passo, né verso la porta del bar né verso l'auto. «Va bene! Ma siete sicuri che non arrechiamo disturbo, vero?» chiese allora, seguendo la figura della donna attraverso l'ingresso, proseguendo lungo il bancone fino ad una rampa di scale che portava al piano superiore. Sabina era rimasta fuori, sulla giaia, cibo per zanzare e moscerini. Scosse la testa e si mosse, cercando di capire che direzione avessero preso tutti, che direzione avrebbe dovuto seguire.
«Ti muovi?» alzò lo sguardo, Marina la salutava dalla finestra. Le mandò un bacio.

«Vedete? Visto com'è facile? Due minuti ed è pultio, niente più lische, niente... » il filetto era rosa, pelle nuda esposta al sole della cucina economica, una luce a neon fredda e tubolare. «Ora bisogna coprirlo co' 'na parte de vino bianco e 'na parte de  acqua...», «Così?» chiese Sabina, versando un bicchiere di vino sulla polpa. La donna annuì. «Mo' ce' metti 'a carota, er sedano a pezzi, er prezzemolo e 'na foglia de alloro... dove sta' l'alloro?» Sabina si girò cercando con lo sguardo «Marì! Marì, n'do stai? Che, andresti a pjare dell'alloro?» Marina era seduta al tavolo da pranzo, l'uomo le stava di fronte, due bicchieri di vino tra le mani «Ao' Marina, è 'n'ora che ti cerco!» Marina si girò a guardarla, Sabina sorrise notando il bicchiere mezzo vuoto, i suoi piedi scalzi.
«Andresti a prendere dell'alloro?» le chiese, di nuovo, avvicinandosi piano, fino a poterla guardare dall'alto per essere sicura che, anche da quella angolazione, stesse sorridendo.
«Vado io!» disse l'uomo, ed era già fuori dalla porta, quasi in giardino.
Marina rise. «Alla fine, come sempre, trovi il modo di non fare nulla...» disse Sabina accarezzandole i capelli.
«Sabina, ci semo quasi!» si sentí urlare dall'altra parte della parete «Sto qua!» rispose, guardò Marina e sorrise, ed era già fuori dalla porta, quasi in cucina.

Marina era rimasta sola, in casa di persone sconosciute, eppure le pareva che ogni angolo delimitasse un territorio già esplorato, convinta che sulla polvere che ricopriva i soprammobili già ci fosse anche un po'del suo DNA. Sentiva la voce di Sabina, il tintinnio dei piatti, l'odore di limone e, se chiudeva gli occhi, era esattamente dove si sarebbe saputa ritrovare: era nel passato che aveva già vissuto e nel futuro che poteva solo immaginare. Era al centro del mondo, favilla di un focolare che sembrava attraversarle il petto, la voce di sua madre che la invitava a tavola, le proteste del fratello, i silenzi di suo padre. Marina sentiva che, se avesse contato le piastrelle del pavimento e le crepe sul soffitto, il numero sarebbe risultato uguale: era a casa, aveva imparato ad abitare.

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