NON TORNARE

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«Come stai ora, ti senti 'n po' meglio Marì?», le domandò mentre la osservava di profilo, camminare sul margine del marciapiede. Marina sorrise, si sentiva meglio e peggio.
«Mi sento in colpa... » ammise «Passare il poco tempo che abbiamo a disposizione a piangere, non era nei miei piani. Non era nei miei sogni. Sabina, mi dispiace tanto.» Sabina le tese la mano: quando l'aveva accolta sul suo seno, qualche ora prima, sapeva che presto le lacrime di Marina si sarebbero trasformate nella rabbia di non essere riuscita a trattenerle. Lo sapeva dal primo sussulto, dal primo respiro affannato, dal primo debole singhiozzo.
«Hai visto quanto è bella Roma questa sera?» Marina sorrise, un sorriso amaro e dolce assieme. «Roma è bella sempre, perché ti somiglia!» le rispose. Sabina fece silenzio, si posò l'indice sulle labbra «Ci pensi mai alla vita che stiamo vivendo?» sospirò «Guardaci! Quanta poca fortuna c'è ner mondo... Marì, a volte me sembra de averla rubata 'sta felicità, che quasi nun riesco a spiegarla.» Marina scosse la testa «Perché, cosa c'è che nun va?» le chiese poi, facendo un passo all'indietro. Marina la guardò, con le pupille tese sugli angoli della bocca, scosse di nuovo la testa e sorrise alla luna che le stava a guardare, nascosta per metà, dietro i tetti di Roma. Poi aprì le braccia e quando Sabina le si fondò al petto le parve di stringere a sé l'intero mondo. «Io l'ho detto Sabì, l'ho detto che hai sempre ragione...», Sabina le sì allontanò e guardò Marina compiaciuta, fece per dire qualcosa ma Marina continuò: «Non ho finito, non guardarmi così, con gli occhi di chi sa di aver vinto! Tu pensi di conoscermi Sabina. Ed è vero. Tu mi conosci, pur dimenticandoti che, pure io, ho imparato a riconoscere in te i segni del mondo che ti circonda e di quello che ti tieni chiuso lì dentro.» Disse poggiandole un dito sul petto. Sabina lo strinse in un pugno e la costrinse a distendere il palmo all'altezza del suo cuore. «E riconosco anche quel sorriso, quello che hai stampato sulle labbra da questa mattina e non so se dovrei temere o gioire...» Sabina rise.
Marina aveva ragione e, forse, avrebbe dovuto fare entrambe le cose: temere e gioire. Sabina pensò che la stessa cosa valesse anche per lei. Eppure non aveva alcuna paura.
«Mi vuoi dire che hai?» le chiese Marina. «Me so' accorta de essere innamorata!» disse Sabina ridendo e si accorse che era vero: si rese conto del sorriso che aveva stampato sul volto da quando era tornata. «Me so' accorta, cara Marina, che dopo tutti questi anni, dopo tutte queste rughe e questi acciacchi, sono ancora, sempre, follemente, semplicemente innamorata di te.» disse, senza un filo di ironia, senza lasciare spazio a dubbi.
A Marina venne da piangere, venne da urlare in faccia a Sabina quanto la facesse arrabbiare la facilità con la quale riusciva a parlare d'amore e ad amare. A lei sembrava difficile anche solo pensare che, un giorno, avrebbe potuto vivere una vita diversa da quella che le era capitato di costruirsi.
Marina aveva paura perché, seppur consapevole della felicità che avrebbe dovuto provare, felice non si sentiva affatto. Eppure l'amava. Amava Sabina più di quanto amasse se stessa e qualsiasi altra cosa le stesse attorno, qualunque altra anima sull'intera faccia del mondo e oltre, tra le galassie di stelle e la luna che continuava a guardarle, nascosta per un quarto, dietro i tetti di Roma.
«Ti amo.» le rispose, e ci credette davvero, in quelle due sillabe, e in tutto quello che stavano a significare.
Sabina sorrise «Torniamo a casa...» le disse, e Marina la prese per mano.
Non parlarono, se non a loro stesse, fino a quando raggiunsero il portone d'ingresso.
«Siamo sole questa sera...» disse Maria lanciando un'occhiata verso l'alto.
«Davvero?» chiese Sabina «Davvero. La luce dello studio è spenta.» Sabina alzò lo sguardo verso la facciata del palazzo per cercare conferma. «Moreno è andato a casa di Giulio questa mattina. O, forse, nel suo studio, ora non ricordo. Mi ha detto che dovevano parlare di un nuovo progetto, rimarrà da lui questa notte. Dovrebbe tornare domani mattina, ne dubito...» disse Marina infilando la chiave nella serratura. «Perché? È successo qualcosa Marì?» Marina sorrise «No, nulla. È che dicono che la moglie di Giulio sia un'ottima cuoca!» Sabina rise di gusto. «Fabio sa già che dormirai qui questa sera?» le chiese.
Sabina si finse stupita «Dormo qui questa sera?» poi spinse Marina sulla rampa di scale «Nun ti preoccupare Marì, nun credi che ormai ci sia abituato?» Marina alzò le spalle alle orecchie «A me farebbe piacere saperlo...», Sabina la spinse ancora, «Perché tu ti preoccupi Marina!», «No, perché ti amo.» le rispose, e subito si pentì di ciò che aveva sputato dalle labbra e del tono con cui l'aveva fatto. Non aveva nemmeno dovuto cercare con troppa fatica tra la lingua ed il palato. Silenzio.
Sabina non volle rispondere senza prima guardarla negli occhi ed aspettò di arrivare a distendersi sul letto prima di proferire parola.
Si poggiò di lato «Marina, guardami e sii sincera...» Marina si voltò. «Comincia a starti stretta questa vita?» Marina ritornò a guardare il soffitto. Fece un respiro profondo, si sfilò gli occhiali e li tenne stretti in un pugno. Avrebbe preferito morire pur di non parlare, pur di non ascoltare le sue stesse parole, sconfitte.
«Non sono felice Sabina. Mi sento stanca di tutto.» Fece una pausa. Si aspettava, forse, che Sabina rispondesse con una parola, con un cenno, con un bacio. Ma Sabina era ferma, silenziosa, in ascolto di Marina una volta ancora «Non solo questa vita mi è stretta Sabina... questa vita mi strangola, mi soffoca, mi toglie il fiato! E tu, con i tuoi amori leggeri, sei l'unica aria che mi tiene ancora in vita. Ma, a che prezzo Sabina? Quello di vederti volare via tutte le mattine lasciandomi sola, tanto chè, a volte, vorrei urlarti di non tornare, non tornare mai più...»

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