Prologo- Ciao Oliver

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22 dicembre 2014


Era il quattro ottobre 2014 quando dal JFK Airport di New York presi il primo volo disponibile con partenza immediata e destinazione qualsiasi. Il documento con cui mi imbarcai era a nome di Gwendoline Patterson.
Arrivai ad Akron in Ohio nella contea del Summit. Era una bella città tutto sommato seppur di gran lunga diversa da New York.
Era un grosso cambiamento ma era lontano da casa e quindi andava bene così. Ho sempre voluto andare via, lontano da tutto e sapevo che prima o poi ci sarei riuscita. E così presi la decisione di lasciare tutto non preoccupandomi di cosa avrei lasciato semplicemente perché ciò che avevo l'avevo perso. E sperai davvero di non pentirmene mai.

Ma il punto è che nella mia vita avevo sempre preso decisioni di merda. Così quando mi ritrovai a dover decidere sulla vita di qualcun altro, su qualcuno che avrei dovuto amare incondizionatamente, è stato davvero difficile pensare con lucidità. Soprattutto perché non lo conoscevo, non l'avevo mai visto, non sapevo il colore dei suoi occhi, ma lo sentivo. Lo sentivo muoversi nella pancia e sussultare quando aveva il singhiozzo, scorgevo i suoi arti premere contro le pareti interne del mio grembo.

E non sapevo se lo avrei amato. Probabilmente avrei fatto bene ad abortire? Forse sarebbe stato meglio dato che non avevo un lavoro, un'assicurazione medica e dormivo in un auto. Ad ogni modo, poiché nella vita prendevo scelte di merda, decisi di proseguire la gravidanza e lasciare il bambino in ospedale nelle mani dei medici che si sarebbe occupati dell'adozione.

Era il 22 dicembre 2014 quando in preda alle contrazioni, sentivo la testa spingere e un bruciore nella vagina mai provato prima.

"AAAAAAAAH" strillai.

Ero sulla poltrona del parto con le gambe spalancate e col terrore negli occhi, nella voce, nelle parole che pronunciavo. Avrei benissimo potuto farmela addosso.

La pancia fece un movimento brusco e il bruciore pressante proprio lì sotto, si intensificò.
Sicuramente aveva la testa grossa di suo padre perché mi sentivo squarciare.
"TIRATELO FUORI" Urlai in preda al panico.

"Signorina Patterson, dobbiamo iniziare a spingere!" disse l'ostetrica tra le mie gambe. Io annuii, ma non ero certa di riuscirci, era la cosa più difficile che avessi mai fatto e di cose complicate e assurde ne avevo fatte nella mia vita.

Sentivo le gocce di sudore bagnarmi la frangetta. Accanto a me la Signora bionda che mi aveva soccorso quando ruppi le acque in mezzo alla strada, stringeva forte la mia mano e con l'altra spostava i capelli dal mio viso.
Disse di chiamarsi Josephine ed era un'infermiera. Si offrì di portarmi al Summa Akron City Hospital in macchina. Poi mi chiese se avessi qualcuno che mi affiancasse al parto ma io le risposi che ero da sola.
Così entrò con me, immaginavo per supporto morale.

"Grazie" sussurrai poco prima di piantare un altro urlo. Mi mancava l'aria, ero totalmente in panico e sentivo di non farcela.

"Coraggio tesoro, appena senti la contrazione, accoglila. E poi respira, spingi e respira, spingi e respira!"

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⏰ Ultimo aggiornamento: Nov 01, 2023 ⏰

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