Il cancello

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Passo dopo passo ti avvicini al cancello, un piede davanti all'altro che affondano dell'acqua delle pozzanghere, ma non ti interessa, senti a mala pena il ticchettio della pioggia sulle tue spalle ossute, il freddo ormai ti ha penetrato le ossa e non c'è differenza perché è da un'altra parte.

Un passo dopo l'altro quel ricordo riaffiora nella tua mente. Questa è la prima volta che vieni qui da otto anni, dopo la tua "reclusione" forzata a Londra in quello squallido appartamentino con tre stanze a mala pena nella via più affollata della città. E dopo la fuga sei di nuovo qui da lui come la notte dell'incidente e lui sarà felice, ti accoglierà come quando eri piccola, sarete di nuovo insieme e gli otto anni a Londra saranno cancellati, glieli farai dimenticare in un attimo perché sai come prenderlo, lo conosci bene, lo conosci da tutta la vita, è come la tua ombra e Jack non può compararlo.

Ed ecco che sei al cancello, come quella notte lo apri piano piano, ma non pioveva e sembrava più pesante da spostare ma cigola ancora.


-.-.-.-.-


E sei di nuovo lì, dentro l'auto, quella notte ed era tardi perché eravate appena tornati dall'aeroporto dopo due settimane di vacanza da tua nonna in Norvegia. Voi due non vi conoscete bene ma il poco di tempo che trascorrete insieme è genuino, infatti andava tutto bene. Il viaggio in aereo era stato tranquillo, ma tu non avevi colto la differenza tra quel silenzio teso e fragile che c'era tra tua madre e tuo padre e quello tra tenero come quello che si creava nel salotto di tua nonna. Eri troppo piccola per renderti conto che la situazione stava degenerando.

Tua madre con le braccia incrociate sul petto che non scambiava neanche un'occhiata con quello stronzo di tuo padre perché anche questa volta aveva fatto una delle sue cazzate. Ma almeno i soldi li aveva vinti a differenza di tutte le altre giocate quando perdeva di volta in volta i soldi di famiglia. Ma tua madre questa volta non lo accettava, non accettava di aver pagato il volo con dei soldi rubati. Era una orgogliosa lei e quella dopo anni di menzogne, di soprusi, di giocate illegali e di varie sbornie da parte di tuo padre era la goccia che fece traboccare il suo vaso.

Due ore di tempo le erano bastate per far gonfiare la sua rabbia e poi scoppiò.

A te sembrava normale, tanto loro litigavano sempre e quella era solo una delle tante volte, ma non era vero.

Giocavi con il tuo pupazzo, quel panda senza un occhio, quando tuo padre si distrasse dalla strada per schiaffeggiare tua madre, ancora.

E non se ne accorse nemmeno l'uomo alla guida del furgone della posta dall'altro lato della strada.

Lo schianto ti fece picchiare la testa sul soffitto dell'auto, la cintura che ti strozzava la pancia.

Dopo la botta ti accorgesti che eravate fermi, tua madre non urlava più, tuo padre non guidava. Gli airbag erano scoppiati, il vetro si era infranto che sembrava quasi una ragnatela d'acqua e c'era solo silenzio se non ci fosse stato quell'allarme assordante e noioso.

Con una vampata il motore prese fuoco e tu scoppiasti a piangere, il calore non ti raggiunse subito ma appena ti spostasti davanti lo sentisti più forte.

Non riuscivi a capire cosa fosse successo, per una bambina di sei anni non era concepibile tutto quello.

"Mamma! Mamma!" urlavi e piangevi sempre di più, la scrollavi, la colpivi sulle guance per svegliarla, ma lei non dormiva nemmeno. I suoi occhi erano ancora aperti ma lei non ti vedeva e non poteva sentirti, ma tu non volesti rinunciare, continuavi a insistere, a urlare il suo nome e lei non poteva svegliarsi.

Avevi paura, ma eri troppo piccola per capire che saresti rimasta sola per sempre, non avevi parenti in Scozia, l'unica era la nonna in Norvegia che non sapeva neanche dove abitavate. Non sapevi cosa fare e dove andare.

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