Carina

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Stesa sul letto, le braccia lungo i fianchi e le sottili lenzuola nere appallottolate ai tuoi piedi, senti l'aria fredda proveniente dalla finestra aperta accarezzarti le gambe, nude e pallide. Fissi il soffitto, un banale e piatto muro bianco, sporco di umidità e macchiato di caffè. Ti ricordi di quando lo sporcasti lanciando una tazza di caffè a terra, si infranse e gli schizzi raggiunsero anche il soffitto.

Non sei carina, te lo ripetevi da ore ormai, da quando sei tornata dalla seduta con lo psicologo, è l'unica frase che ti ronza in testa, alimentata da una rabbia ribollente nelle viscere che non accenna a passare e non vuoi che passi, sei ancora incazzata con quel ragazzo per averti parlato, per averti toccata e per averti detto di trovarti carina.

Nessuno si può permettere di chiamarti carina! Nessuno deve notarti, nessuno deve parlarti, nessuno l'ha mai fatto e nessuno mai lo farà. Perché è così che vuoi che sia, devi rimanere pura per lui, hai quasi finito la tortura, manca solo un anno, un anno di reclusione in quella dannata scuola e poi sarai libera, sarà tutto finito e sarà tutto perfetto, potrai tornare da lui. Ma adesso è spuntato quel ragazzo. Jack. Nell'ora di inglese. Non puoi permettergli di rovinare tutto, deve lasciarti in pace, deve capire che non vuoi avere niente a che fare con lui, lo odi. Il pensiero che lui possa intromettersi nella tua vita dopo anni di solitudine ti fa impazzire. Ti porti le mani alla testa, stringendo con forza un paio di ciocche e tiri, tiri finché i capelli non si strappano. Altre trecce, altre lettere, ti troveranno, qualcuno ti aiuterà, ti porterà da lui.

Ti alzi per andare a prendere le altre ciocche di capelli nel bagno, quelle che ti eri strappata questa mattina. Poi ti siedi a gambe incrociate sul tappeto ispido e le intrecci, sono così soffici i tuoi capelli. Le metti da parte, le nascondi sotto il materasso e poi torni a letto, sotto le coperte, con indosso solo una magliettina slavata, gli occhi stretti per cercare di aprire la mente ai ricordi di lui. Le persiane sono chiuse, le tende tirate, la porta sigillata, quando spegni la lampada che irradiava una leggera luce giallognola, la stanza piomba nel buio più assoluto. Ed è come se tu fossi di nuovo lì con lui, nella vostra bella casa abbandonata, sul divano accoccolata al suo petto. Dov'è il panda?

-.-.-.-.-.-

Luce. Acqua. Capelli. Vomito. Macchina. Scuola.

Di nuovo lì, ti sembra di essere intrappolata in una ruota senza fine, una ruota che ti costringe a ripetere tutto da capo ogni giorno. Prima lo trovavi quasi divertente, ti ricordava del dottor Lawrence e di quello che aveva detto sulla pazzia. La pazzia è il continuo ripetere di un'azione aspettandosi un risultato diverso dal precedente. Ma tu non ti aspetti nulla, fai e basta, subisci, sopporti e ora tutto questo sembra che ti stia diventando stretto, vorresti scappare da lui, è solo il secondo giorno di scuola  e tu non ce la fai già più. È colpa di Jack, della sua cazzata di averti parlato, ha spezzato il ciclo, ha interrotto la ruota. Ora dovrà pagare.

La folla di chiassosi studenti mediocri ti lascia passare nella tua silenziosa marcia verso la classe di scienze. Giri l'angolo senza farci caso, ti fissi le scarpe, un piede dopo l'altro, ginocchia che si piegano e che si stendono, destra, sinistra, destra, sinistra...

Qualcuno ti viene addosso o sei tu ad andare a sbattere contro qualcuno. Finisci contro gli armadietti, sbattendo la schiena.

"Cazzo" farfugli, chi è stato? Nessuno mai aveva incrociato il tuo cammino, nessuno aveva osato invadere il tuo spazio vitale, è come se fosse una regola non scritta che tutti sanno rispettare, tutti tranne il pivellino.

"Oh, scusami, non volevo" la voce falsa di Jack raggiunge le tuo orecchie, d'istinto gli tireresti un calcio nelle palle, sfogando così la rabbia ribollente che ti porti dentro da ieri, ma non lo fai, attireresti troppa attenzione. Cerchi di calmarti, pensi al tocco gelido di lui, al suo respiro caldo, ma poi Jack parla ancora.

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