Una fredda cappa mi sosteneva, privandomi del mio peso. Aprii gli occhi: stavo in un mare infinito. Lentamente ruotai su me stesso, guardandomi intorno: una luce soffusa illuminava all'infinito quell'estensione trasparente e non stavo soffocando, realizzai subito di stare sognando.
Il mio sguardo non la trovò subito, quindi decisi di aspettarla. Era strano come quella vuotezza mi rilassasse, gli abissi erano infiniti eppure non avevo paura.
- Ovviamente non hai paura, lo hai creato tu. Scelta particolare, perché un oceano? - un delfino, la cui pelle rimandava riflessi di vari colori, spuntò davanti a me.
- Non saprei, tu come te lo immagini l'infinito? - iniziò a nuotarmi davanti, facendo vari giri su sé stessa.
- Facile, non me lo immagino - sospirai, mi voltai e iniziai a nuotare verso il fondo. Lei mi seguii frettolosamente.
- Aspetta dicevo sul serio, non mi trattare come una stupida. Nel momento in cui io non penso, non lascio forse un vuoto di pensiero? E questo vuoto è divisibile infinitamente no? - mi fermai, guardandola pensieroso.
- Prima obiezione: non si può smettere di pensare in punto e in bianco. Seconda obiezione: non hai risposto realmente alla domanda - ma la cosa che mi stupiva di più era che mi avesse risposto così.
- Sei stupito eh? Ultimamente ho deciso di studiare i tuoi libri di filosofia. Posso esporti Cartesio parola per parola - mi volteggiò intorno, emettendo compiacenza.
- Devi smetterla di leggermi nella mente, mi da fastidio - ridacchiò, continuando a girarmi intorno.
- Mi sono stufato di stare a mollo, preparati al cambiamento - non rispose, ma immaginavo che se non fosse stata un delfino avrebbe annuito. Bastò l'intenzione e un battito di ciglia perché il freddo tocco dell'acqua sparisse; i miei piedi poggiavano terra e venne la brezza estiva che ogni volta mi rubava un sospiro.
Stavo sul fianco di una collina spoglia di alberi ma ricca di verde, questo proseguiva per molti metri fino a formare una grande valle ricoperta di alberi che si stendevano poi a vista d'occhio. Collinette più basse si stendevano tutt'intorno
Non c'era né caldo né freddo, non c'era nessun animale. Solo io e la figura di mia madre che seduta affianco a me guardava sorridente e rilassata il paesaggio.
- Un sogno un po' banale vero? - il fruscio delle sue ali la annunciò ancor prima della sua voce, si sedette sulla mia spalla.
- Già, ma non c'è nulla di male. E' il tuo mondo e puoi fare quello che vuoi - inspirai riempiendomi i polmoni di quell'aria tanto dolce.
- E' da molti anni che sogno eppure credo che sia la prima volta, anzi ne sono convinto, la quale riesco a vedere tutto così bene. E' tutto così reale -
- Complimenti - la sua voce era stranamente piatta.
- Non sei contenta? -
- Forse sì, forse no. Sei in grado di alzarti? - la risposta evasiva mi stupii, ma non insistetti: infondo lei non esisteva, giusto?
- Sì, mi sento pronto a camminare - non ebbe reazioni, cosa stranissima per lei.
La prima volta che mi fece sognare non mi resi nemmeno conto di essere all'interno di un sogno, ma con il tempo acquisii velocemente la capacità di rendermi pienamente conto di stare nel mondo onirico; ma anche così non avevo grande controllo sui miei sogni ed erano parecchio confusi.
Il tempo trascorse e i sogni si fecero sempre più distinti; a pari passo cresceva la mia capacità di controllarli.
Dopo la scomparsa di mia madre, tre anni prima, riuscii a creare questo luogo; ma non riuscii mai ad uscirne. Era come se mi mancasse la forza di camminare e, inoltre, non riuscivo più a cambiarlo in alcun modo. In qualunque modo facessi iniziare i miei sogni, oceani di acqua o cieli sterminati, finivo sempre lì.
Con straordinaria facilità mi alzai in piedi, stupito feci qualche passetto sul posto.
- Finalmente! - esultai a gran voce, lei svolazzò via dalla mia spalla per non venire scaraventata a terra. Mi ricomposi e la guardai, teneva le braccia incrociate davanti al petto e non sembrava per nulla felice.
- Tu non mi stai tenendo nascosto qualcosa, dimmi perché sei corrucciata - la squadrai aspettando risposta.
- Sei bravo: sei stato veloce a guadagnare il controllo sui tuoi sogni. Ma come ogni cosa a i suoi lati negativi, tutto qua - intuii dove voleva andare a parare.
- Temi che mi allontani dalla realtà? - annuii.
- Ne abbiamo già parlato e ti devo ricordare che sei tu che mi guidi in questi sogni? - dissi innervosito, era decisamente poco coerente.
- Hai ragione, per questo non ho detto nulla. Sei tu che mi hai obbligato a parlare e ora ti innervosisci? Non mi sembra molto corretto da parte tua - non nascose una voce di rimproverò. Non dissi nulla, ripetendomi che non dovevo litigare con persone frutto della mia immaginazione.
Mi inerpicai sulla collina, piuttosto scoscesa. Imprecai contro una tale accuratezza nella rappresentazione dei miei limiti fisici: ero bravissimo a sognare la fatica, ma non altrettanto a creare quello che volevo.
- Ti ricordo che è più facile immaginare cose molto immediate e molto conosciute, mentre le cose più complesse sono ancora fuori dalla tua portata, come impedirmi di leggerti nel pensiero - non dissi nulla, dato che poteva benissimo leggere la mia irritazione.
Rimasi piuttosto sorpreso, non mi aspettavo di certo un paesaggio del genere.
Le colline sfumavano in poche centinaia di metri fino a giungere su una spiaggia di sabbia nera; poi solo mare.
- La mia fantasia ha fatto cilecca, non è per niente realistico - feci una smorfia di disappunto.
- Cosa ti aspetti? Si chiamano sogni per un motivo. Non c'è bisogno che ti crei la tua realtà alternativa, vivi quella vera piuttosto - percorsi la strada al contrario e eccitato corsi giù dalla collina.
- Prova a prendermi se ci riesci! - il ruggito del vento, lo sfregamento dell'erba sui miei piedi; un divertimento primitivo mi conquistò e mi fece tornare indietro nel tempo di molti anni.
Arrivato in fondo alla discesa mi fermai a riprendere fiato, lei arrivò subito dopo di me.
- Già stanco? - mi svolazzò in torno sprizzante di energia. Sembrava essergli passata la luna storta.
- No comment - iniziai a camminare con passo affrettato: non mi rimaneva molto tempo nel mio sogno.
Per quanto camminassi vedevo solo verde, stava diventando un paesaggio piuttosto monotono.
Gli alberi della foresta erano dei tipi più diversi, uno affianco a l'altro, senza un senso naturale.
Camminai per qualche tempo e trasalendo mi fermai.
- Da quanto tempo è che sogno? - perso com'ero nei miei pensieri non avevo notato la sua l'espressione preoccupata.
- Più del solito sicuramente. Molto più del solito - si sedette sulla mia spalla, senza aggiungere altro.
- Evviva! - sentivo la sua disapprovazione, ma non me nei curai.
- Non va bene.. - sussurrò. Continuai a camminare, ignorando quella fata rompiscatole.
Era difficile definire il trascorrere del tempo in quel mondo, ma passò abbastanza tempo perché io riuscissi a lasciarmi alle spalle la valle. Ma comunque il mio entusiasmo non svanii, d'altronde non sapevo quando mi sarebbe ricapitata un'occasione del genere. La fata era silenziosissima, interpretandolo come la sua generale diffidenza per il mondo del sogno la lasciai stare.
Mi inerpicai poi su una delle colline che mi aveva sempre coperto la vista e deluso osservai la stessa identica cosa: una piana, una spiaggia nera e acqua all'infinito. Ero in un'isola.
Mi sedetti sospirando dalla noia, il mio entusiasmo si era spento insieme all'illusione che il mondo da me creato fosse enorme e pieno di meraviglie.
- Mi sono rotto di stare qui, mi riporti indietro? - lei svolazzò impiantandosi davanti a me.
- Prima, chiedimelo gentilmente - sbuffai infastidito.
- Per favore, gentilissima lady? - annuì soddisfatta.
- Ora va meglio. Comunque la risposta è no, non lo farò - lentamente iniziò a girare su sé stessa, alzandosi di quota.
- Perché scusa? - ero stupito e infastidito, la mia espressione lo palesava.
- Non posso. Però sai forse non è così male questo posto, potresti riuscire a controllarlo a piacimento.. - la guardai gelido.
- Stai scherzando!? - si trasformò in un passero, rimanendo in silenzio.
- Ehi rispondimi! Non ignorarmi! - esclamai alzando la voce. Nessuna risposta. Feci un respiro profondo, imponendomi la calma. Mi sedetti per pensare con calma.
Lei non mi voleva rispondere, quindi era qualcosa di grave sicuramente. Ripensai a tutto ciò che mi era sembrato diverso dagli altri sogni: potevo muovermi, il mio tempo di permanenza era di molto superiore alla norma, lei non poteva riportarmi indietro. Dovevo pensare più a fondo.
Mi portava nei sogni ogni due giorni, per quale motivo? Forse c'è un qualche tipo di rischio che mi vuole tenere nascosto e, se ciò è vero, ora era accaduto l'evento dai lei temuto? Mi vennero in mente varie risposte a queste domande ma erano tutte troppo terrificanti per essere prese in considerazione. Il mio battito cardiaco aumentò, la paura strisciò afferrando il mio cervello.
- Non mi vuoi rispondere? Allora proverò a farlo io. Mi porti nel mondo dei sogni una volta ogni due giorni, per evitare qualche pericolo, vero? Scommetto che ora ne siamo in mezzo. Questo spiegherebbe perché non ti piace questo mondo, ma allora perché mi ci porti? Forse.. - la incalzai, agitato.
- Sei bloccato! Fine! Non possiamo più uscire, capisci? E se hai capito lasciami pensare! - urlò con una certa disperazione. Mi impietrii a quel tono mai sentito; la mia mente fu lesta a elaborarne le implicazioni. Lei tornò ad essere fata.
Rimasi in silenzio, distendendomi sul prato. Il mio cuore batteva all'impazzata, la mia disperazione con lui turbinava sconquassando il contenuto della mia mente.
Non so quanto tempo restammo in silenzio, io cercando di tornare lucido e lei mordendosi le unghie descrivendo lentissime circonferenze nell'aria sopra di me.
- Sono calmo adesso - lei si fermò, sospirò e di appoggiò sull'erba poco lontano dalla mia testa.
- Io no, ma sono pronta a darti le dovute spiegazioni - dopo qualche respiro profondo il suo tono di voce tremante scomparve.
- Tu non potrai tornare indietro per molto tempo, questo devi interiorizzarlo - rimasi in silenzio, aspettando che continuasse.
- Guardati intorno, sapresti dire se è sogno o realtà? Lasciando perdere le incoerenze date dalla tua mancanza di allenamento - spostai i miei occhi tutt'intorno, soppesando il paesaggio.
- No, ma cosa c'entra? -
- Aspetta e vedrai. Non lo trovi strano? I tuoi amici quando ti dicono dei loro sogni sono molto più vaghi e confusi, non ti sei mai chiesto il perché? - la guardai perplesso.
- Perché sono pazzo. Fai conto che sto parlando con una fata.. - ridacchiai nervosamente.
- Non sei pazzo, solo estremamente sensibile. Io non esisto, quindi sono parte di te stesso; ora se io, cioè te stesso, ti dicesse che riesci ad accedere a un mondo che le persone normali non riescono a raggiungere? - la guardai stranito.
- La tua mente crea uno spazio per lei nel mondo onirico, limitato dalla tua forza mentale. Tutto ciò che ti determina in quanto persona viene rappresentato quasi automaticamente dalla tua mente; ma non sei ancora abbastanza bravo da rappresentarti perfettamente quindi, per esempio, hai solo una parte dei tuoi limiti fisici - ripensai alla scarpinata che mi ero fatto, il mio corpo le dava ragione: non mi sentivo per nulla stanco.
- Se ti esamini abbastanza a fondo scoprirai altre incoerenze rispetto al tuo vero corpo, ma non è questo il punto. Io ti porto qui stimolando la tua mente e dopo aver passato un certo tempo il tuo cervello si stanca troppo, così tornando allo stato di quiete normale. Non l'ho mai dovuto fare, ma in casi normali potrei rilassare il tuo cervello forzatamente e il gioco sarebbe fatto - si interruppe cercando le parole più adatte a quello che voleva dire.
- Dove sta l'inghippo? -
- Come dire: diciamo che è come se non riuscissi più a comunicare con il tuo cervello fisico - disse esitante.
- Spiegati meglio, in che senso? - si iniziò a mangiare un'unghia.
- Diciamo che il tuo corpo non risponde più a nessun impulso che io gli mando - la guardai fissa. Sorrisi, per nascondere la mia paura.
- Sono finito in coma, vero? - iniziò a svolazzare, nervosa e indecisa.
- No, questo non è possibile. Riuscirei a sentire il tuo cervello - stava chiaramente evitando la risposta, la mia paura non fece che aumentare.
- Sono morto, allora? - mi guardò in faccia senza dire nulla, nel suo volto c'era tristezza. Un tremito mi scosse.
- Ricapitolando: una fata, mi sta dicendo che sono intrappolato in un mondo alternativo perché sono morto? E questa fata può interagire direttamente con il mio cervello fisico manipolandolo? Non ha senso. Senza contare che i morti non pensano - mi alzai, percorrendo a grandi falcate l'erba lì intorno per poi tornare nuovamente indietro.
- Immaginavo, comunque dobbiamo decidere cosa fare - era avvilita. Data la situazione era comprensibile.
- Non ti credo, non posso crederti. Tu mi dici questo ma di fatto non sai nulla: è questo mondo creato dal pensiero umano o è un mondo fisico realmente esistente con leggi proprie? Da morto in questo mondo secondo te esisto, ma allora questo è implicito e necessario dire che l'anima esiste indipendente dal corpo. Se l'anima esiste potrebbe esistere anche Dio; troppe incertezze e insensatezze, non posso accettarlo - non disse nulla, probabilmente si aspettava una risposta del genere e sapeva che niente di quello che avrebbe detto sarebbe servito a convincermi della veridicità delle sue affermazioni. Mi accasciai nuovamente a terra, stordito e avvilito.
- Per adesso aspetteremo, nella speranza che basti per svegliarmi - lei annui sorridendo per cercare di darmi conforto. Si asciugò le lacrime, che timide iniziarono a bagnargli il viso.
- Perché piangi? -
- Mi libero delle emozioni negative piangendo, lo sai che fa bene? Dovresti farlo anche tu - singhiozzò tirando su con il naso. Non dissi nulla, mi distesi sul prato guardando quel cielo immobile.
Chiusi gli occhi, il mio corpo era perfettamente riposato ma la mia mente chiedeva tregua dal vortice terrificante che la scuoteva, così mi addormentai.
E fu al mio risveglio che subito compresi la paradossalità della cosa, dormire in un sogno? Ridacchiai con una certa disperazione. Mi alzai in piedi; non avevo addosso quel caratteristico fastidio provocato da una dormita su un prato, un punto a favore della fata.
- Non ho idea di cosa stia succedendo ma è bene stabilire un piano di azione. Per adesso partirò da due presupposti: non mi sveglierò mai e tu sei reale. Secondo te cosa dovremo fare? - un gatto paffutello di colore arancione stava raggomitolato affianco a me, divenne subito la fata.
- Finalmente hai deciso di credermi, le tue parole hanno raggiunto il tuo cuoricino pessimista e razionale. O almeno è quello che direi se non potessi leggerti nel pensiero e sapere che non mi credi - sembrava perfettamente in sé adesso, il suo solito sorrisetto mi rilassò.
- La mia teoria è che basta aspettare, ma se avessi torto? Non è forse meglio agire come se non potessi tornare indietro? Così non escludo nessuna possibilità. Inoltre questa situazione è talmente assurda, che sono costretto ad assumere che tu esista così da semplificarmi enormemente la vita. Ho già abbastanza problemi senza dover riflettere sul fatto che tutto ciò che dici è come se io lo stessi dicendo a me - annui divertita.
- Ti semplifichi la vita? Buona idea. Propongo di vedere più da vicino il mare - partii con verbo, così la seguii.
- Cosa speri di trovare? -
- Ispirazione e risposte - esclamò eccitata.
- Dovremmo guardare il mare aspettando che ci sovvenga l'eterno? - sbuffò.
- Ma sentilo! Non hai capito. Ti devo ricordare che nella prima parte del sogno hai pensato ad un oceano? Sull'ambiente non hai controllo, ma su quello potresti riuscire a fare qualcosa - la guardai scettico. Aumentò la velocità indispettita.
La prima cosa che notai giunto su quella sabbia finissima fu la differenza rispetto ad una spiaggia reale. Quella piacevole sensazione che sempre avevo provato quando le dune cedevano sotto il peso dei miei piedi non mi sopraggiungeva.
- Prova a fare qualcosa - la guardai perplesso. Onde regolari bagnavano la spiaggia; era tutto calmo e regolare fino ai confini del mio campo visivo.
- Tipo cosa, stendo le mani invocando il potere di dio? - si trasformò in un passero e con una rapidità che non credevo le potesse appartenere mi diede una beccata sulla mano. Trasalii con un'esclamazione di dolore.
- Si serio! Io mi sto impegnando e devi farlo anche tu! - la guardai scioccato, non credendo a quello che era appena successo.
- Sei impazzita!? Mi hai fatto male! Cosa vuoi che faccia? Sei tu quella che sa qualcosa di quest'assurda situazione in cui mi trovo - ritornò ad essere fata e mi guardò severa.
- Sei un bambino, ti ho appena toccato. Ora forza ingegnati e lascia da parte il tuo sarcasmo; io proverei a toccare l'acqua e a concentrarti - sbuffai stizzito e infastidito. Bagnai i piedi nell'acqua rabbrividendo: era molto più calda del previsto, ma sempre più fredda della sabbia sulla spiaggia.
Feci un respiro profondo e provai a concentrarmi sul tocco freddo dell'acqua, chiusi addirittura gli occhi. Era fredda, quindi pensai di provare a scaldarla. Per quanto pensassi alle più calde estati, non sembrava accadere nulla. Imprecai, allontanandomi dal bagnasciuga.
- Non succede nulla, visto? - esclamai con irritazione.
- Capisco. D'altronde ti sei impegnato molto, ben un minuto. Immagino che sarai stanco.. - sbuffai e tornai a bagnare i piedi. Un altro fallimento. Provai svariate volte, ma nulla. Così mi iniziai a immergere completamente.
E li qualcosa sentii: durò un istante, ma l'acqua a contatto con la mia pelle si scaldò. Stupito e stanco riemersi.
- Risultati? - aveva preso la sua forma felina, guardandomi acciambellata sulla spiaggia.
- Qualcuno: sono riuscito a scaldare l'acqua per un momento. Ci metteremo secoli in questo modo, dobbiamo trovare un'altra strada - dissi rabbrividendo dal freddo: non bastava il calore di un sole primaverile per scaldarmi completamente.
- Stendiamoci sul prato, sei infreddolito e stanco - approvai la sua idea e così feci. Mi sentivo stanco per la prima volta.
Rimanemmo in silenzio, per un bel po': eravamo entrambi sconfortati.
- Dunque, ammettiamo che esista il mondo onirico. Per quanto io sogni finisco sempre qui da almeno tre anni, quindi praticamente mi sono creato il mio spazio, come dici tu, ed è plausibile affermare che io ne sia stato in grado in virtù della mia esperienza. Giusto? - non c'erano nuvole nel cielo e il riverbero rendeva difficile guardare il cielo.
- Esatto -
- Più ho esperienze con i sogni più posso controllarli. Stavo pensando ad una cosa interessante a riguardo - non disse nulla, aspettando che io continuassi.
- E se i sogni non facessero altro che rendermi sempre più parte del mondo onirico? Magari ho raggiunto il punto di non ritorno, per questo non riesco a tornare indietro - mi sentii ridicolo, ma tutta la situazione in cui mi trovavo era ridicola.
- Non ne ho idea. Sono contenta che ti piaccia filosofeggiare sulla natura del mondo onirico, sarà un ottimo passatempo da qui in avanti - scossi la testa.
- Non è solo un passatempo: facciamo finta che io non sia pazzo e la situazione che io stia vivendo si reale. E' stupido assumere che io sia l'unico in grado di farlo, no? - si rizzò e si ritrasformò in una fata. Avevo attirato la sua attenzione.
- Pensi di essere in grado di comunicare con altre persone e come? - la guardai leggermente infastidito.
- Non mi leggi la mente per saperlo? - scosse la sua testolina.
- Mi hai detto che non vuoi che io lo faccia, quindi non lo faccio. Chi credi che io sia? - non le risposi. Di fatto mi leggeva la mente quando le pareva.
- Io ho creato la mia isola, immagino di non essere l'unico. Forse se attraverseremo il mare qualcosa troveremo - bastò il suo silenzio perché il gravoso interrogativo venisse posto: come?
Appoggiata sul mio stomaco mi guardava, evitai il suo sguardo voltandomi. Quella disperazione che con tanta difficolta avevo represso tornò potente. Mi coprii gli occhi, respirando profondamente: un groppo in gola non facile da scacciare mi oppresse.
Una mano mi iniziò ad accarezzare in testa, mi voltai dall'altra parte soffocando parzialmente i singhiozzi. Mi appigliai al conforto di quella mano amorevole per non crollare; così dopo alcuni minuti mi ripresi.
- Sei nell'età della crescita? - alzai il mio busto da terra e mi asciugai gli occhi, tirando su con il naso.
- Forse, ma credo che sia più legata alla tua età della crescita che la mia - era diventata più grande; ora era una bambina. Il suo nuovo aspetto era uguale a quello precedente, solo proporzionato alla sua nuova forma.
Sorrisi alla sua battuta. Feci un respiro profondo e mi alzai in piedi: ci doveva essere un modo.
- Per curiosità, perché non ti sei mai mostrata in questa forma? - si stiracchiò, muovendo varie parti del corpo una alla volta.
- Perché non potevo. Non ti avevo detto che piangere faceva bene? Ha avuto qualche effetto su di me: forse volevi qualcuno che ti consolasse.. - la guardai accigliato.
- Quindi mi vuoi dire che non lo sapevi? Avrei potuto piangere prima se avesse portato a progressi - sostenne il mio sguardo accigliato, scuotendo la testa. Sospirai.
- Avrai già capito cosa penso no? -
- Sfortunatamente non posso più leggerti nella mente. A quanto pare piangendo hai fatto come i bambini che si rintano sotto le coperte: hai eretto una barriera che non riesco a superare - sorrisi di trionfo. La mia prima conquista in quell'assurdo mondo: la privacy.
- Sarai contento, ora puoi incupirti e chiuderti come una cozza in tutta tranquillità. Qual è questa favolosa idea che hai avuto? - mi fece quasi ridere come si imbronciò il suo volto.
- Puoi volare? - mi guardò per qualche attimo, intuendo cosa volessi fare.
- Sì posso farmi spuntare le ali, ma non ti riuscirò mai a sorreggere - mi guardava piuttosto preoccupata, sapeva che stavo per fare qualcosa di assurdo.
- Seguimi - senza fare domande mi seguii fino a raggiungere un ulivo che lì in mezzo alla piana, con pochi suoi simili sparsi vicino, sorgeva. Mi arrampicai sotto il suo sguardo ancor più in pensiero e perplesso.
Non era molto alto ma comunque dovetti aspettare qualche secondo prima di avere il coraggio di saltare. Presi la spinta, il povero albero tremò e così mi librai per pochi attimi per poi cadere. Feci di tutto per atterrare con pesantezza è così un breve tonfo segui all'impatto dei miei piedi. Sorrisi.
- Salto dall'ulivo, sport interessante. Semplice, ma sempre divertente - la guardai stizzito.
- No, sto provando le leggi fisiche di questo mondo. Non ho sentito nulla, come sospettavo - il suo volto si illuminò e si fece più interessata.
- Quindi, cosa hai scoperto? -
- O le mie ossa sono molto più resistenti, o ho una massa minore, o c'è una minore accelerazione di gravità, o questi fattori sono mischiati in maniera insensata visto che sono in un sogno - mi guardò pensierosa. Riflettei un po' su tutte e quattro le possibilità, stabilii subito quali escludere.
- Nell'ultimo caso non avrei alcuna possibilità di capire qualcosa quindi lo escludo a priori; la terza non può essere perché il tempo in cui ho toccato il suolo mi sembra uguale a quello del mondo reale; mentre con una prova del genere è impossibile capire se sia la prima alla seconda: in fondo mi sono basato sul ricordo del dolore che un salto simile mi aveva provocato nella realtà - annui interessata.
Così iniziai a cercare alberi sempre più alti, il mio scopo era capire i limiti del mio corpo.
E fu con mio immenso stupore che realizzai che indipendentemente dall'altezza da cui cadevo non subivo alcun tipo di danno. Quindi quel mondo non aveva fisica, allora veramente dipendeva interamente dal mio pensiero.
- E da parecchio tempo che continui a saltare. Mi spieghi cosa c'entra con il volo? - eravamo all'ombra dei margini boscosi della valle.
- Nel mondo reale io peso troppo per essere trasportato da te no? Ho passato tutto questo tempo a saltare per essere sicuro che un concetto come la massa non esiste - sospirò scuotendo la testa.
- Lo scienziato che è in te non può stare fermo nemmeno in una situazione come questa. Dovresti goderti questo mondo, è il centro dell'arte! - eccitata si avvicinò a me.
- Un mondo dove l'unica legge è la tua sensibilità, non è forse una meraviglia? - con trasporto protrasse un braccio verso il cielo.
- No, è un incubo. Non ci sono certezze: la sensibilità umana è estremamente variabile, sarebbe un mondo differente ogni giorno. Spero che il mondo onirico abbia un minimo di senso - scosse la testa con disapprovazione.
- Lascia perdere. Quindi dici che posso sollevarti senza problemi? - annuii, non sembrava convinta.
- Cosa può andare storto? Se cado in mare mi puoi sempre ripescare -
- E se in mare aperto c'è qualcosa ti terribile creato dalla tua mente? - alzai le braccia al cielo.
- Non mi importa: preferisco fare la fine di Dedalo che marcire qui - così ci dirigemmo verso la spiaggia nera.
Quei pochi chilometri furono ardui perché tormentati. I ripensamenti infiacchivano il mio passo e la mia andatura decisa. E se la fuori c'era qualcosa di terribile? Da quel che ne sapevo io ogni cosa era possibile in quel mondo. E se fossi finito a vagare all'infinito sul blu senza mai riuscire a tornare indietro?
Fui sul punto di rinunciare molte volte, ma mi ripetevo che non c'era altra scelta. Così mi ritrovai a fissare quelle onde regolari.
- Cambiato idea? - scossi la testa. Mi guardò cercando di capire quanto ero serio a riguardo.
- Partiamo forza. Ricordati di andare sempre dritta e di essere il più precisa possibile - annuii e nella sua schiena sbocciarono, come delle rose, quattro paia di ali traslucide decisamente grandi rispetto al suo corpo di bambina. Iniziarono a vibrare, chiusi gli occhi. Le sue braccia passarono sotto le mie ascelle; il suolo sotto di me spariva il vento mi frustava la faccia. Aprii gli occhi, stavo volando.
- Pesi pochissimo! - ero troppo impegnato a fissare l'acqua che una ventina di metri sotto di me scorreva con velocità sostenuta. Mi guardai un'ultima volta indietro. L'isola si allontanava da noi con discreta velocità.
Quando ormai l'orizzonte aveva coperto interamente la mia isola da qualche tempo, la fata ruppe il silenzio.
- Cosa ti aspetti di trovare? - era una bella domanda a cui non avevo una bella risposta.
- Un'isola, o qualcosa del genere. In ogni caso spero che qualunque cosa troviamo sia interessante - non vedevo l'ora di toccare terra di nuovo: dovermi fare scudo con le mani dall'aria stava diventando piuttosto fastidioso.
- E se incontrassimo l'isola di un assassino? Passeremo oltre? - mi schiarii la gola, preparandomi a farmi sentire.
- Assolutamente no, potremmo scoprire se c'è un modo per morire nel mondo onirico -
- Come sei inquietante, già stufo della vita qui? - ridacchiai.
- Non abbastanza da uccidermi, tranquilla -
Volammo e volammo, senza vedere niente. Stava diventando piuttosto angosciante. Angoscia che si sciolse al sole quando vedemmo qualcosa di diverso da acqua e cielo. Così lei iniziò a rallentare fino a fermarsi, sconcertata.
Una linea di demarcazione netta, tra acqua e pece stava un centinaio di metri più avanti a noi. Ovunque guardassi il mare sembrava finire lì.
- Proviamo ad avvicinarci - dopo un attimo di esitazione, partii. Fu ancora più sconcertante la vista quando fummo appena sopra la linea di divisione. Non era pece. Era vuoto.
La luce solare inondava con i suoi raggi questo nero, senza intaccarlo minimamente. L'acqua non cadeva quindi dovetti presupporre che era una sostanza di qualche genere, più che un reale vuoto cosmico.
- Sai cos'è quella roba? - dissi dopo un po' che assorto fissavo la massa scura.
- Assolutamente no. Non sembra saggio avvicinarsi comunque. Cosa facciamo? - imprecai.
- Ti piace chiedermi cosa fare, ma potresti pensare qualcosa tu ogni tanto - risposi nervosamente, non mi ero preparato ad un'eventualità del genere. Prima di tutto dovevo capire quanto si estendesse.
- Io sono quella poetica, tu sei quello intelligente. Non vorrei mai toglierti il primato - mi accigliai.
- Sei molto divertente. Dobbiamo capire quanto si estende, vola restando sulla linea di divisione. Siamo andati sempre dritti giusto? - alzai la testa per verla, lei annuii. Pregai con tutto il cuore che fosse così.
- Gira su te stessa alla tua sinistra e vola sopra la linea - puntai il braccio nella direzione da dove eravamo arrivati: con un po' di fortuna e precisione da parte mia avrei potuto capire la forma geometrica che il confine faceva con il mare.
Volammo per moltissimo tempo e non vedemmo nessun cambiamento; acqua e poi nero all'infinito. Quando ormai il mio braccio urlava di dolore le chiesi di fermarsi. Alzai il mio braccio destro cercando di renderlo più parallelo possibile a quello sinistro.
- Avvicinati alla linea e poi ruota su te stessa in maniera che il mio braccio destro punti nella direzione che stavi seguendo. Sii precisa - scesa di quota continuando a seguire la linea e si voltò lentamente. Pregai che non avessimo sbagliato di troppo.
- Ora vai dritta. Se la divisione tra mare e vuoto, forma una circonferenza dovremmo riuscire a ritornare nella nostra isola - partii, lasciandosi alle spalle la massa nera.
- E cosa ci serve saperlo? - chiese perplessa.
- Abbiamo volato lungo la divisione per moltissimo tempo, potremmo essere ampiamente ritornati al punto di partenza e non essercene accorti: questo sempre se questo mare è delimitati da una circonferenza. Ed è quello che voglio scoprire: cambierebbe molte cose sapere se il mare ha una un'area superficiale delimitato da una forma geometrica - non sembrava molto convinta.
- Se lo dici tu -
Mi resi conto di una cosa molto importante ripensando al nostro tragitto nel mare: il tempo era davvero bizzarro.
Potevo affermare con certezza che volavamo da tantissimo tempo, ma allo stesso tempo non avrei saputo quantificarlo. Avevo provato a contare i secondi, ma mi era stato impossibile. Era come se scorresse differentemente per la mia mente rispetto al mio corpo: la mia mente era sicura che volavamo da un'eternità, eppure al mio corpo sembravano poche ore. Di chi mi dovevo fidare? Corpo o mente?
La noia non era un nemico su quella distesa, per qualche ragione. Era così facile perdersi in catene di pensieri infiniti che era difficile rimanere concentrati piuttosto; avevo sicuramente rivissuto ogni mia situazione imbarazzante nella vita almeno due volte.
Con gioia, l'isola spuntò ai margini del mio campo visivo, era una circonferenza allora! Felice e grato al suolo per essere lì, mi sgranchii le gambe.
- Da quanto tempo voliamo secondo te? - si trasformò in uno scoiattolo e iniziò a correre intorno a me sulla spiaggia.
- Non ne ho idea, non mi sono messa a contare. Dolce sabbia, quanto mi mancasti.. - mi sedetti e sorrisi: c'erano molte cose da fare.
- Preparati perché ti farò sgobbare. Quanto ti senti pronta dovresti fare il giro dell'isola contando quanto tempo ci metti - si trasformò di nuovo in una bambina.
- E se invece ti spiegassi la poesia di Ugo Foscolo? - sorrise speranzosa.
- No grazie, però mi hai dato un'idea - fece un saltello verso di me.
- Vuoi spiegarmelo tu? - scossi la testa.
- Assolutamente no. Prima faremo delle misure preliminari -
Prima di tutto decisi di stabilire un'unità di misura, presi il mio braccio disteso a partire dalla parte più sporgente della mia clavicola, fino alla fine del mio medio. Così tracciai sulla sabbia una distanza di dieci braccia e feci varie prove osservando quanto tempo ci mettesse a percorrerla a massima velocità.
Poi gli feci percorre l'isola più volte appuntando le distanze in braccia, gli feci percorrere avanti e indietro l'isola in linea retta in modo da capire se l'isola fosse o meno vicino ad essere un cerchio. Ormai lo avevo capito, il mondo onirico era pieno di regolarità affianco a paurose insensatezze.
E facendo qualche calcolo capii che l'isola era approssimativamente una circonferenza e la fata era estremamente precisa quando si trattava di mantenere una velocità fissa.
- Ti senti stanca? - era piuttosto scocciata.
- No per niente, ma sono stufa di farmi avanti e indietro per i tuoi inutili calcoli! - esclamò.
- Non sono inutili, devo fare questi calcoli per essere sicuro di non tralasciare nulla. Il primo passo per risolvere un problema è conoscerne tutti i dati, ed è quello che sto facendo - sbuffò.
- Scommetto che vuoi farmi volare fino al confine e tornare indietro - sorrisi maligno, annuendo. Così partì e entrambi contammo i secondi: aveva del ridicolo la precisione di questo metodo, ma confrontando i tempi di entrambi e facendo varie misure potevamo ottenere misure decenti.
Era così facile rimanere concentrati su quell'isola che riuscivo a contare i secondi con distinzione.
Il tempo passò e le tornò praticamente al tempo di partenza, cosa che mi stupii nuovamente.
- Hai una precisione incredibile. Come fai? - dissi mentre scrivevo sulla sabbia il mio tempo e il suo tempo.
- Lo so, puoi anche inchinarti e chiedere perdono più tardi se vuoi - soddisfatta mi guardò.
- Quale parte di me rappresenti esattamente? Perché se sono così fastidioso devo fare un serio esame di coscienza - rise allegra.
- Quella che ha bisogno dell'approvazione degli altri forse? - rinunciai a controbattere, non trovavo parole adatte.
- Devo andare da qualche altra parte o ho finito? - la tranquillizzai con un cenno.
- Hai finito: ora sono sicuro che abbiamo percorso interamente la linea almeno una volta e mezzo - mi guardò perplessa.
- E? -
- Adesso sono sicuro che siamo nella merda: quel vuoto si estende tutt'intorno al mare. Dobbiamo decidere se andare oltre quel nero o fermarci - si librò in aria.
- Icaro è morto davanti alle fauci dell'abisso? - ci misi qualche attimo per capire a cosa si riferisse.
- E' quello a cui sto pensando adesso: stare nell'isola, esplorare il mare o andare oltre al vuoto? - facendo una piroetta atterò dietro di me. Io mi girai seguendola con lo sguardo.
- Pensa con calma, il tempo non ci manca di certo. I morti restano eternamente morti no? - non risposi.
L'idea di restare in eterno lì a oziare non mi allettava molto; avrei forse fatto meglio a sperare nel giudizio universale? Sempre che lì potesse arrivare.
- Potresti lasciarmi da solo? - annuì. Mi allontanai dalla spiaggia, mentre lei rimase lì a eseguire piroette e salti. Non avevo mai capito se si divertisse a farli o lo faceva per ammazzare il tempo. Glielo avrei chiesto dopo.
Un pensiero mi fu subito chiaro: qualunque cosa avessi intenzione di fare dovevo decidermi in fretta. I miei pensieri erano così chiari e rapidi che la noia avrebbe portato alla mia fine su quell'isola concentrica.
Già in quel momento tenebrosi pensieri riguardo al mio futuro non facevano che turbinare nella loro chiarezza sconcertante. Stava diventando insopportabile per me quel futuro ignoto.
Il tempo speso a misurare e analizzare il mondo che mi stava intorno era volto ha ingannare i miei pensieri spostando la loro attenzione altrove; ma ora dovevo prendere una decisione ignorando la mia inquietudine.
Pensai a lungo e a fondo realizzando che la risposta era più semplice del previsto. Gli obbiettivi primari erano tenermi impegnato e allontanarmi da quell'isola, di conseguenza scelsi di proseguire con ordine escludendo l'isola, quindi scelsi l'esplorazione oceanica. Tornai dalla fata, stava cantando come passerotto.
- Posso farti una domanda? - si trasformò nella sua forma umana e annuì seccata, forse per l'interruzione.
- Tutto quello che vuoi, signor noncurante - alzai le spalle, non mi sentivo particolarmente in colpa per aver interrotto il suo concerto.
- Volteggi e canti perché ti diverti o provi ad ammazzare il tempo come me? - la domanda la prese alla sprovvista, fece qualche passo avanti e indietro mentre pensava.
- In realtà mi viene spontaneo, non ho mai pensato il perché io lo faccia e non mi viene in mente nulla quando provo a pensarci - la guardai perplesso. Riflettendo qualche attimo sulle sue parole decisi di lasciare perdere.
- Pronta a l'esplorazione oceanica? - mi guardò eccitata.
- Quindi hai deciso l'oceano, che meraviglia! Chissà cosa la tua mente può creare negli abissi - sbuffai nervosamente, in condizione normali non avrei voluto saperlo ma la noia era un nemico peggiore di qualunque cosa ci fosse là sotto.
Giungemmo sulla spiaggia e senza indugio mi immersi nuotando fino a che il fondale fosse abbastanza profondo perché lei si immergesse nella forma di un delfino. Mi aggrappai a lei e velocemente iniziammo a inabissarci allontanandoci dall'isola. Qualunque cosa sarebbe successa da lì in poi non sarei più riuscito a tornare indietro data l'impossibilità di distinguere una direzione nell'uniformità dell'acqua.
ABISSI
La luce illuminava soffusamente tutto quel blu intorno a me: non sembrava diminuire con la profondità. Cosa che mi rassicurò non poco.
L'acqua sfregava la mia pelle mentre mi tenevo aggrappato al delfino che a tutta velocità nuotava, ma curiosamente non mi dava fastidio agli occhi. Come d'altronde la mia respirazione e la mia capacità di emettere suoni non era minimamente intaccata dall'acqua che entrava infinitamente nei miei polmoni; questo non mi produceva il minimo fastidio o sensazione; ma faceva un effetto strano realizzare di stare respirando acqua.
E non fu l'unica cosa a stranirmi, quando iniziammo ad andare sempre più in profondità.
Ero agitato: felicità, rabbia, invidia... tutte si mescolavano sempre più intensamente all'aumentare della profondità.
- Fermati - respirai profondamente, appellandomi a tutto l'autocontrollo di cui disponevo.
- Cosa c'è, stai male? - disse preoccupata dal tono della mia voce, intanto fermandosi.
- Non riesco a controllare le mie emozioni. Questo mare ha una sorta di influenza sulla mia mente -
- Questo mare è una parte della tua mente, te lo devo ricordare? - il suo tono preoccupato non faceva altro che irritarmi. Non dissi nulla sapendo di non essere in me.
- Dovremmo continuare secondo te? - gli chiesi indeciso; pensò per qualche tempo alla risposta.
- Se riesci a controllarti, sì. Non fa parte del tuo metodo sapere cosa ti sta attorno? Vuoi scoprire le proprietà di questo oceano, no? -
La noia era stata sconfitta allontanandomi dall'isola, ora dovevo affrontare un altro nemico per scoprire qualcosa di più sul mondo onirico: le mie emozioni.
- Andiamo, sono abituato a dominare le mie emozioni nella vita di tutti i giorni, c'è la posso fare - subito partii e sperai che il fondale si stesse avvicinando.
Chissà quanto tempo passò: tra la natura distorta del tempo e il turbinio sempre più intenso delle mie emozioni mi era totalmente impossibile capirlo. Così giungemmo sul fondale oceanico e con cautela appoggiai i piedi sulla sabbia, innalzando minuscoli mulinelli. La luce era calata enormemente e solo i miei piedi fissi al suolo mi indicavano dove stava il sopra e il sotto.
E fu a quel punto che saltai dello spavento quando una medusa apparve poco lontano da me. Non feci in tempo tirare il fiato che questa parlò, facendomi prendere un altro colpo.
- Coraggioso a venire qui - era molto piccola e di colore rosa, i suoi lunghi tentacoli pendevano appena mossi dall'acqua. Erano abbastanza lontani da non potermi toccare per mia fortuna.
- Una medusa che parla? Ho un'immaginazione piuttosto banale - non so per quale motivo ma potei dire con certezza che sembrava divertita dalla mia risposta.
- Benvenuto sul fondale delle tue emozioni, ora avrai qualcosa da raccontare a casa - il turbinare delle mie emozioni era cessato, ma non avevo neanche quella odiosa chiarezza di pensiero che avevo abbandonato.
- Mi sento normale. Non dovrebbe succedermi qualcosa? - guardai il delfino che si limitava a guardare la scena in silenzio poco sopra di me. La medusa non sembrava avere interesse per lei.
- Sei così intelligente da poterlo capire da solo che dici? - la guardai in silenzio, pensieroso.
- Non avrai intenzione di iniziare a parlare per enigmi vero? - non rispose alla mia ironia: si limitò a scivolare ai lati del mio campo visivo. Ora riuscivo a vederne solamente i tentacoli, deglutii.
C'era qualcosa in quel fondale buio che mi mise una profonda inquietudine.
In quel mondo non avevo mai provato paura: in qualche modo avevo sempre sentito che apparteneva a me; non mi era mai passato per la mente l'idea di poter essere effettivamente in pericolo.
Scrutando quell'oscurità capii senza dubbio che non era frutto della mia mente e la cosa non poté che disturbarmi profondamente. Il mio cuore iniziò a battere sempre più velocemente.
- L'hai capito? - trasalii, era molto vicina a me. Saltai all'indietro cadendo all'indietro; sollevando un turbine di sabbia annaspai rialzandomi in piedi. Si stava divertendo a tendermi come una corda di violino. Feci un respiro profondo calmando il battito impazzito del mio cuore.
- Hai intenzione di farmi del male? - guardai la medusa fluttuava intorno a me, a circa una spanna.
- Ah! Magari potessi, sarebbe un ottimo passatempo - non aggiunse altro.
- Quindi mi stai spaventando per divertimento? - sentivo i muscoli del mio corpo totalmente irrigiditi. Per quanto la mia capacità di autocontrollo fosse grande, non potevo certo arginare quel naturale istinto di tensione davanti a una creatura dalla mentalità totalmente ignota.
- Io non sto facendo proprio nulla, ho solo risposto alle tue domande. Sei tu che sei teso come un fascio! - trovava sicuramente spassosa la situazione, ma effettivamente aveva ragione.
- Cosa sei? -
- Non pensi che aumenterai solo il tuo terrore sapendolo? Non è meglio tornare indietro ora? - considerai l'idea, ma scossi la testa; dovevo sapere.
- Come sei gentile, ti preoccupi forse per me? - fece un giro su se stessa, avvolgendo i suoi tentacoli uno con l'altro.
- Immaginavo che l'avresti detto. Sono nientemeno che Dio - sorpreso e incredulo ammutolii. Ridacchiai poi nervosamente.
- Una medusa sadica? Non sarà facile convincermi - non sapevo cosa pensare e il silenzio del delfino non aiutava di certo.
- Ma a me non interessa convincerti, io ho solo risposto alla domanda che mi hai fatto - iniziai in qualche modo a rilassarmi; stavo iniziando a capire come approcciarmi a lui.
- Bene allora dimmi, questo mondo è la mia mente? -
- Una parte di questo mondo è la tua mente: l'isola è creata dalla parte più conosciuta da te stesso, il tuo raziocinio; il mare è creato dalle tue emozioni - quel vuoto mi tornò alla mente.
- E il vuoto che c'è oltre il mare? -
- Sono le tue peggiori paure, quelle paure talmente eradicate nella tua anima da essere incontrollabili - stava aspettando qualcosa.
- Quel vuoto si estende all'infinito? -
- Per te sì - ormai la paura era quasi del tutto passata e riuscii a provare genuina curiosità verso quella creatura.
- In che senso? -
- Non c'è modo che un essere umano sorpassi i limiti del suo pensiero, tu non riuscirai mai ad uscire da qui. Invece i miei limiti si avvicinano all'infinito: posso andare e venire a piacimento - lo guardai sospettoso.
- Perché sei qui allora? -
- Puoi dire di non sapere cos'è Dio? - scossi la testa. Infinito, buono, etc.
- Allora io sono qui, semplice - era stranamente collaborativo rispetto a prima.
- Ma allora perché ti sento essere qualcosa di totalmente alieno alla mia mente? - di nuovo sembrava divertito, ma non rispose questa volta. Anche insistendo non mi diede alcuna risposta.
- Sono l'unico essere umano in grado di raggiungere questo mondo? -
- No, non sei l'unico in grado di svegliarti. - come immaginavo.
- E posso raggiungerli? -
- Certo. Devi attraversare il vuoto - lo guardai incredulo.
- Cosa centrano le mie paure? - ridacchiò.
- Chi lo sa? Sono sicuro che puoi capirlo da solo - rignai i denti.
- Ma tu prima hai detto che io non riuscirò mai ad uscire dalla mia mente, quindi non riuscirò di certo a superare le mie paure - credevo che parlare per enigmi era un modo di parlare utilizzato solo nel fantasy, ma a quanto pare a Dio piaceva parecchio.
- L'ho detto è vero: per questo ti farò uscire io dalla tua mente. Prima però devi raggiungere il "vuoto", come lo chiami tu - vani furono le domande che gli posi a riguardo: si limitava a guardarmi divertito. Allora deciso di cambiare tipo di domande.
- Sono morto, nel mondo reale? - sembrava stupito dalla domanda.
- Di cosa parli? In che senso morto? In che senso mondo reale? Sei qui che mi parli, mi sembri fin troppo vivo - doveva essere un Dio molto disinformato. Non trovai parole per descrivere il mio mondo: o mentiva oppure non sapeva della sua esistenza; in entrambi i casi era inutile insistere.
- Lascia perdere. Mi puoi dire qualcosa sul delfino che ci guarda muto da tutto il tempo? - stette in silenzio qualche tempo prima di rispondere.
- Una creatura strana, non saprei - sospirai.
- O mi nascondi la verità o non sei Dio - tornò ad essere divertito; ma non rispose.
Pensai ad altre domande da fargli ma non me ne venne in mente nessuna. Così io e il delfino c'è ne andammo continuando a esplorare il fondale.
Quella creatura non sembrava conoscere il mondo reale, quindi doveva appartenere puramente al mondo onirico. Allo stesso tempo aveva la forma di una creatura del mondo reale e sapeva del concetto di divinità secondo la mia cultura; ma ancora ero convintissimo che fosse aliena alla mia mente.
In quel mondo spesso le convinzioni erano più affidabili della logica, quindi assunsi per vero il suo essere estraneo; quindi probabilmente non conosceva veramente il mondo reale. Il resto potevo spiegarlo facilmente con la sua intrusione nella mia mente: probabilmente la mia mente gli dava forma rendendolo una medusa. Per quanto riguarda la sua presunta divinità stava per forza mentendo.
- Perché sei rimasta muta tutto il tempo? - esitò prima di rispondere.
- Ero interdetta, cosa avrei dovuto dire dinnanzi a Dio? - la risposta mi colpii, come le sue implicazioni.
- Non dirmi che gli credi? Aspetta, se tu sei stata in silenzio fin dall'inizio vuol dire... -
- ...che sapevo già cos'era. Si lo sapevo e ti assicuro che non mente - finii lei la frase per me. Rimasi interdetto.
Forse dovevo prendere in considerazione l'idea che forse la medusa non mentisse, scossi la testa. Impossibile, quel delfino non era altro che un qualcosa generato da me. Che la medusa potesse influenzarmi involontariamente? Scossi di nuovo la testa, dovevo diminuire il numero di variabili: non era saggio iniziare a dubitare di tutti e di tutto in quel momento. Lui non poteva essere Dio, per adesso doveva essere così.
- Ti sbagli allora, non può essere vero; in ogni caso ora non importa. Dobbiamo raggiungere il vuoto e osservarlo meglio - nuotando sul fondo del fondale per quanto l'oscurità mi mettesse una certa ansia mi riparava dal turbine di emozioni che stava poco sopra. Che sia grazie all'influenza della medusa? Non potevo saperlo.
Fu rimuginando sulla medusa che un pensiero folgorante nella sua immediatezza e assoluto nella sua banalità mi avvolse la mente: non avevo mai dato un nome a quella fata che da molti anni mi accompagnava. Come fosse correlato a quello che stavo pensando mi era ignoto, ma in quel momento non mi importava, ero solo attonito e divertito allo stesso tempo. Come avevo fatto a non pensarci anni prima?
- Mi stai ascoltando? - la guardai perplesso, sospirò stizzita.
- Sarebbe carino che mi ascoltassi, non mi diverte particolarmente stare in silenzio tutto il tempo. Stavo dicendo, se tu dovessi scegliere tra... - la interruppi prima che la fiumana di parole fosse inarrestabile.
- Come vuoi essere chiamata? - fino a quel momento non avevo mai pensato che un delfino potesse impallidire, ma nella mia mente a quanto pare era possibile. Nonostante il colore della sua pelle non mutò il suo umore lo fece. Rimasi interdetto davanti a un tale cambiamento, ma non durò nemmeno un secondo tanto che tornò alla sua normale allegrezza.
- Nome? Credevo che ti piacesse riferirti a me come fata - disse ironicamente esagerando la mia voce.
- Ilietta? - scoppiò a ridere.
- Non suona un po' bambinesco? E' un nome affettuoso e pronunciato dalla tua bocca farebbe solo che ridere - stizzito scossi la testa. Iniziai a sparare nomi a raffica, ma nessuno le andava bene. C'era sempre un motivo per prendermi in giro e bocciare il nome.
- Ho capito, cambio di programma. Volevo trovare il tuo consenso ma ci ho rinunciato: d'ora in avanti ti chiamerò Puk - non disse nulla. Sospirai ancora infastidito.
Ci mettemmo molto meno del previsto a raggiungere il vuoto; una sorpresa decisamente appagante.
Faceva uno strano effetto vedere quel muro di puro vuoto cosmico su cui l'acqua scorreva liberamente. Per poco non ci eravamo schiantati visto il buio in cui procedevamo.
Mi avvicinai a poche spanne del muro, ero indeciso se provare a toccarlo.
- Aspetta - trasalii. Dall'oscurità spuntò la medusa.
- Ah sei tu, ho fatto un infarto - sì fermò a debita distanza da me: sapeva che tanto lui si sarebbe avvicinato io mi sarei allontanato.
- L'infarto l'avresti fatto toccando il muro. Non si torna indietro una volta che si parte - la guardai sospettoso.
- Allora con o senza il tuo aiuto rimarrò bloccato lì dentro? - contrasse i tentacoli spingendosi verso l'alto, si lasciò affondare fino alla posizione iniziale. Era sicuramente una medusa con una fisica tutta sua.
- Te l'ho già detto: per me è uno scherzo uscire dalla tua mente, per te è del tutto impossibile. Se tocchi quel muro sarai perduto: rimarrai bloccato senza mai uscirne - la situazione mi puzzava parecchio, perché mi stava aiutando?
- Cosa mi farai allora? - era decisamente seria rispetto alla precedente conversazione.
- Ti trascinerò con i miei tentacoli guidandoti nel vuoto. Semplice no? L'importante è che tu non tocchi niente finché io non sono attaccato a te.
- Sei un Dio piuttosto limitato sai? - non potei fare a meno di dirlo nervosamente; l'idea di essere toccato da quella cosa mi disturbava profondamente; per non parlare di quanto fosse inquietante quel vuoto infinito.
- A quanto pare qui lo sono - non mi interrogai molto sul significato della sua frase: avevo problemi più pressanti.
Rischiare e fidarmi o trovare un'altra via? Più ci pensavo più mi rendevo conto che dovevo rischiare.
- Va bene, avvinghiati pure - sospirai cercando di tenere a bada il nervosismo.
I suoi tentacoli mi avvolsero le braccia repentinamente, uno spasmo mi scosse. La mia coscienza percorse le mie terminazioni nervose fino ad inoltrarsi lungo quei tentacoli che sembrano infinitamente lunghi.
Infine giunsi a contatto con la sua mente o quasi, fui lì che mi fermai inorridito: un umano non poteva e non doveva andare oltre.
Sentivo la mia coscenza svanire... svanire...
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L'isola della mente
Science FictionUn mondo devastato dalla guerra, dove nuovi particolari essere umani iniziano a nascere. I governi si sono adattati a questo mondo, ognuno a suo modo. Ma una cosa è chiara a tutti: gli psichici sono una risorsa preziosa quanto rara. Vanno studiati...