Sospirai pesantemente, stropicciandomi gli occhi. Il mio sguardo andò involontariamente fuori dalla finestra alle mie spalle. Un paesaggio deprimente, che non allietava in alcun modo il mio animo annoiato.
Lampioni sparsi si sforzavano di illuminare il grigio asfalto delle strade, rivelando quelle squallide case a schiera esattamente identiche tra loro che stavano dappertutto.
Come per spezzare quella monotonia palazzi dalle altezze impressionanti svettavano ogni tanto, trasmettendo un senso di inappropriatezza in mezzo a quegli edifici così simili tra loro.
Anche dal secondo piano della mia villetta potevo vedere i manifesti di propaganda, che facevano sognare un'America grande, un'America che non debba preoccuparsi di mese in mese della produzione agricola.
Guardai quelle carte fitte di parole vuote per una burocrazia inutile: per cosa ero diventato segretario della difesa? Per servire la stessa famiglia di presidenti che restava al potere da almeno quarant'anni? Io servivo il mio paese, non un nucleo familiare.
Il pensiero delle parole di rimprovero che avrebbe detto mio padre mi fece sorridere: lui mi avrebbe detto sicuramente la sua solita massima.
"Le persone vivono nell'epoca che meritano e guidati dai leader che meritano. Non serve a niente cambiare il corso degli eventi, bisogna solo cavalcarlo."
Una frase che rendeva conta della sua doppia natura: imprenditore e storico.
Le industrie Philips! Un nome tra i più rinomati nell'industria militare e fu tutto grazie alla furbizia e all'operosità di un falegname nato all'inizio di una guerra terrificante che durò 45 anni.
Quando ci ripensavo mi ritornava alla mente quella persona terrificante che era mio padre: era talmente furbo da lasciare in mutande il diavolo. E non potevo che ammirarlo: infondo era solo grazie a lui che avevo la possibilità di occupare l'importante posizione che ora avevo.
L'allarme del mio cellulare cacciò quei pensieri ricordandomi l'incontro che avevo in programma per la sera con il presidente.
Mi preparai con cura e avvertii mia moglie che stavo per partire.
- Buona serata, caro - si avvicinò e mi accarezzò una guancia sorridendo, ma una punta di preoccupazione si celava dietro quel sorriso.
Una donna tornita e dalle curve docili, più bassa di me di almeno una spanna e mezzo, con capelli corvini riccioluti che le arrivavano fino alle spalle. Ogni lineamento del suo volto sprizzava una vitalità anormale per una donna di 50 anni.
- Sei preoccupata non è vero? - sospirai, allontanando con delicatezza la sua mano.
- Come potrei? Alden Smith in persona mi ha assicurato che non farà niente di stupido - incassai il colpo, guardando l'ora sul mio orologio da polso.
- Stai tranquilla, non ho intenzione di perdere la pensione - sorrisi cercando rassicurarla.
- Conosco il mio uomo e il mio pollo, per questo ti dico queste cose - guardai l'ora.
- Tranquilla, non c'è bisogno che me lo dici ogni riunione. Ora devo andare, buona notte - ci salutammo un'ultima volta e con la mia valigetta salii nella macchina che aspettava davanti a casa mia. Salutai distrattamente l'autista e lui ricambiò ossequioso.
Di solito chiacchieravo con lui per distrarmi, ma oggi non era giornata e lui lo capii.
Le uniche presenza lungo quelle strade silenziose erano le massicce ronde dei poliziotti, che cercavano chiunque fosse abbastanza stupido da ignorare il coprifuoco.
Arrivammo senza rallentamenti fino a quel grande edificio costruite sulle rovine della Casa Bianca. L'autista fermò l'auto davanti al parcheggio pieno a metà che stava prima del giardino vistosamente illuminato.
Mi incamminai lungo quella strada di marmo bianco che portava alla Residenza Presidenziale, inalai il profumo della sera. Acqua pura zampillava nelle fontane, dimostrando che la grande America non temeva lo spreco di una risorsa così preziosa come l'acqua.
Chissà come si stava evolvendo la situazione delle riserve idriche? Avrei dovuto chiedere a Austin, ma dai resoconti dell'anno scorso non si prospettavano nulla di roseo.
Fu quando alzai lo sguardo dal marmo bianco che la magnifica Residenza Presidenziale, mi si mostrò.
Un enorme edificio dai caratteri classicheggianti, risultato dei gusti poco economici degli scorsi presidenti, occupava circa 5000 metri quadri di spazio. Giunsi alla scalinata che portava al portico che correva intorno a l'intero complesso.
- Buona sera, segretario - al suonò di quella voce mi irrigidii un poco, recuperata la compostezza ricambiai il saluto.
Si chiamava Darla Green ed era l'assistente del Segretario degli Esteri. Non mi sprecai in alcuna conversazione di cortesia, dato il cattivo sangue che correva; lei sembro essere d'accordo e tirò dritto.
La mia antipatia era più che altro rivolta al suo datore di lavoro che con scuse poco credibili cercava di evitare ogni tipo di incontro privato con me e lei, puntualmente lo copriva. Certo era parte del suo lavoro, ma il modo in cui lo faceva mi mandava su tutte le furie.
Superai il porticato e mi ritrovai assorbito nella solita attività frenetica presente a tutte le ore del giorno. A differenza dell'esterno, l'interno era piuttosto deludente.
L'unica cosa impressionante di quella sala era la dimensione, ma era assente qualsiasi tipo di decorazione.
Thomas Martin, assorto nella consultazione del suo tablet mentre camminava, si accorse di me proprio mentre stava per dirigersi nell'ala amministrativa dove stava il mio ufficio.
- Alden, ben arrivato! - mi venne incontro e mi strinse la mano.
- Buonasera, Thomas. Cattive notizie? - scosse la testa, perplesso.
- Non saprei, credo che sia molto personale la loro interpretazione - mi feci serio e annuii. Si diede uno sguardo intorno e così feci anche io, nessuno sembrava interessato a noi.
- Finita la cena, vediamoci nel mio ufficio - annuii e mi augurò buona serata, io ricambiai.
Era un ragazzetto di 27 anni, molto sveglio. Avevo studiato economia e legge all'università superando con l'eccellenza tutti gli esami e essendo un amico di famiglia l'avevo subito assunto licenziando la precedente assistente.
Simpatico e affidabile, sapeva come far sentire le persone a proprio agio. Lavorava con impegno e celerità, offrendo interessantissime opinioni su varie questioni.
Per questo era naturale che a quel giovanotto muscoloso e con i capelli così mossi da sembrare quasi ricci, gli avessi dato un grandissimo grado di confidenza. L'unico suo difetto era un'ingenuità quasi bambinesca, ma proprio per questo le sue opinioni erano così differenti e interessanti rispetto a quello dei miei coetanei.
Superai le grandi porte aperte e giunsi in una stanza molto più piccola della precedente, ma sempre notevole. Una grande tavolo di legno con vari divanetti sparsi, a gruppi, qua e là.
Proseguii ancora dritto e giunsi nell'ufficio del presidente, dove bussai e aspettai. Non dovetti aspettare molto che la porta si aprii mostrando l'affascinante figura della bionda segretaria del presidente.
- Ben arrivato, signor Segretario della Difesa. Il presidente deve finire di visionare gli ultimi documenti e sarà subito da lei - esitai qualche attimo, catturato dal suo sguardo magnetico. Doveva avere circa trent'anni e nei suoi lineamenti si vedevano chiaramente origini nord europee.
Dove la testa dubitava di lei perché veniva da un paese nemico, il cuore le dava completa fiducia. Era una rara bellezza nel fiore della giovinezza.
- Capisco, lo aspetterò seduto allora - mi sedetti su uno dei divanetti pazientando. Così la porta si aprii e un uomo, il cui tratto principale della sua personalità era palesato dall'insieme del suo passo e dalle sue espressioni, mi sorrise educatamente.
- Phillips, sono contento che tu abbia accettato - chinai leggermente la testa, nascondendo un sorriso ironico: come se avessi potuto rifiutare!
- E' un piacere per me essere qui signor presidente - mi strinse la mano e ci dirigemmo verso i suoi appartamenti.
- Ti potrei anche credere Philips ma conoscendo te e il tuo passato non credo proprio che tu sia sincero. Ma non ti preoccupare, capisco che allontanarsi dalla propria famiglia non è mai piacevole - non sapendo come rispondere non dissi nulla.
Ed ecco che si rivelava quella sua personalità così vigorosa e schietta: Oscar Lewis, terzo fratello della famiglia Lewis. Basso e con una certa corporatura, aveva cinquantadue anni: i suoi capelli castani già mostravano segni di decadimento rendendo necessario un parrucchino che coprisse i vari buchi.
La storia dei suoi intrighi era un mistero per molti, me compreso. Resta il fatto che l'ultimo in fondo alla lista sei candidati per la presidenza era diventato il primo, nel giro di pochi anni.
In qualche modo aveva conquistato completamente il collegio elettorale e suo padre aveva rinunciato alla carica proprio in quel periodo. Così ormai ricopriva quel ruolo da almeno vent'anni.
- Ti ricordi Phillips, quella volta che hai perso il senno durante una riunione? Dimmi cosa hai fatto allora - annuii, imbarazzato.
- Ho aggredito il Ministro degli Esteri, perché le sue idee mi sembravano stupide - annuii sorridendo al ricordo.
- E lo erano, in quell'occasione. Lei è una persona schietta sulla cui lealtà non posso contare, ma è proprio per questo che ritengo così valide le sue opinioni - non sapevo se fosse un complimento oppure una minaccia nascosta da un complimento.
Cosa mi avrebbe chiesto? Avevo un bruttissimo presentimento.
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L'isola della mente
Science FictionUn mondo devastato dalla guerra, dove nuovi particolari essere umani iniziano a nascere. I governi si sono adattati a questo mondo, ognuno a suo modo. Ma una cosa è chiara a tutti: gli psichici sono una risorsa preziosa quanto rara. Vanno studiati...