Era un martedì piovigginoso di ottobre a Rotterdam. La vita fluiva turbinosa come al solito nella città: migliaia di persone zampettavano di qua e di la, chi più di fretta e chi più con calma diretti verso il proprio luogo di lavoro o verso casa o verso un bar a prendere un caffè o, meglio, una cioccolata calda. Da 1200km d'altezza la scena trasmetteva una calma quasi innaturale: ognuno sapeva, almeno parzialmente, cosa stava facendo e dove doveva andare. Nulla era lasciato al caso. Forse.
E in quel brusio di figure scure non si riconosceva un uomo che si dirigeva sicuro di sè tra le vie della città olandese. La chioma scura era piegata verso il basso, ad osservare lo smartphone che reggeva con la mano destra; il pollice si muoveva frenetico sulla tastiera aperta. «Tutto bene tesoro, tu?» e poi «sono uscito ora, sto tornando a casa». Arrivò alla fermata del tram, il veicolo, della linea che l'avrebbe portato a due passi da casa, era fermo ad aspettare eventuali passeggeri. L'uomo però non si fermò, ne tantomeno vi salì.
Proseguì dritto, svoltò a destra e poi a sinistra. Si trovò davanti a un negozio: "Jensen's Kledingkast". Spinse la porta di vetro che, aprendosi fece tintinnare una campanella. Il commesso, chino su dei registri, alzò il capo guardando chi era entrato, riconobbe subito l'uomo e gli fece un cenno come a dire «Benvenuto». Non si alzò per servirlo. L'uomo veniva regolarmente nel negozio, fosse a compare un nuovo paio di pantaloni o di calze, non aveva bisogno del suo aiuto: sapeva benissimo cosa voleva e dove trovarlo. Quel giorno però non stava cercando nulla, aveva già deciso cosa prendere. Anzi, a dir la verità il suo futuro acquisto era già in cassa.
Il commesso smise di guardare i registri e si abbassò dietro il bancone, riaffiorandovi subito dopo con una giacca nera, ben piegata. Era fatta su misura e le finiture erano delle migliori che il sarto avesse mai fatto, ne era molto fiero. Pure l'uomo lo era: l'aveva commissionata per la promozione al lavoro che da poco aveva ricevuto. Una volta completato l'acquisto sarebbe passato in un supermercato a prendere dello spumante: la sua fidanzata ancora non lo sapeva e gliel'avrebbe comunicato quella stessa sera.
Estrasse il portafoglio, cercò un attimo ed estrasse la carta di credito. La avvicinò al terminale il quale lesse in una frazione di secondo i dati che vi erano immagazzinati. In un'altra frazione di secondo ogni molecola d'acqua nel corpo dell'uomo iniziò a bollire. I suoi fluidi evaporarono con una rapidità tremenda risultando, di fatto, in un'esplosione. I suoi occhi si sciolsero in una gelatina appiccicosa la quale evaporò a sua volta. I muscoli si sfibrarono, gli organi interni collassarono su loro stessi e le ossa si frantumarono, sbriciolandosi. In meno di un centesimo di secondo l'uomo non esisteva più. Così come la sua giacca.
Del resto anche tutto ciò intorno a lui si stava polverizzando per effetto della palla di plasma che, più luminosa del Sole e più calda della sua superficie, stava inghiottendo ogni cosa.
Poco più distante una venticinquenne aveva visto tutto.
Stava andando a casa dei suoi nonni per festeggiare con tutta la famiglia il compleanno della madre. Era in ritardo. Aveva studiato Kierkegaard con la sua migliore amica: fra una settimana esatta avrebbero dovuto sostenere un esame al riguardo ed entrambe avevano procrastinato troppo l'inizio dello studio fino a ritrovarsi a dover fare tutto un paio di settimane prima. Avevano così deciso di trovarsi un giorno sì e uno no per studiare assieme in un disperato tentativo di recuperare. Quel giorno toccava a lei ripetere e s'era dimenticata di controllare l'ora fino a quando per sbaglio le era caduto l'occhio sul telefono. 16:39. Sarebbe dovuta essere a casa dei nonni alle 16:45 ma un tragitto di venti minuti separava le loro case. Prese di fretta l'impermeabile e si precipitò fuori dalla porta, quasi senza salutare la sua amica.
Stava andando a passo veloce sotto la pioggia leggera ma densa. Il Requiem di Mozart stava venendo riprodotto ne suoi auricolari Bluetooth. Era una delle poche musiche classiche che le piacevano. Potente e distinta non si atteggiava con inutili virtuosismi come spesso accade per le musiche classiche.
Alzò lo sguardo al cielo e in un fazzoletto sgombro da nuvole la vide. Una scia bianca che si muoveva. Si allungava sempre di più, come un serpente, troppo veloce per essere di un aereo. Lei sapeva cos'era. Ma non ci credeva.
Aveva sempre creduto che nessuno fosse pazzo a tal punto ma in cuor suo sapeva che era possibile. Gli avvenimenti degli ultimi mesi lo dimostravano.
Si bloccò di colpo, pietrificata. La sua mente si sgomberò all'istante. Non fu nemmeno pervasa dal terrore. Si prese semplicemente un lungo, lunghissimo, interminabile minuto per metabolizzare la cosa.
Estrasse il telefono dalla tasca, compose il numero della madre e premette la cornetta verde. Rispose subito, fortunatamente. «Ma, ti voglio bene. Dillo anche ai nonni. Grazie di tutto.» mormorò con un tono incredibilmente piatto. Non diede neanche il tempo alla madre di rispondere che riattaccò.
Rimise il telefono in tasca e continuò a fissare la scia bianca che si avvicinava. Incominciò a scendere.
Anche una lacrima solitaria si fece strada sulla guancia della ragazza.
Poi, anche lei, cessò di esistere.
STAI LEGGENDO
1/137
FanfictionUna serie di racconti fatti e finiti, ambientati nel passato, nel presente e nel futuro. Le tematiche vanno dalla filosofia, alla fantascienza, alla semplice descrizione di episodi o paesaggi. (Vi è tuttavia un ricorrente tema della morte. Un po' ma...