Stay right here
Don't you go now
So your boy will never know
L'amore inizia con un paio di occhi lucidi e finisce con delle cicatrici.
Luigi l'ha affermato a ventuno anni con una filosofia tutta sua, 'ché se ognuno è filosofo di sé stesso allora lui si professa paladino di chi ha il cuore in frantumi. Lima la sofferenza dei traguardi e dei baratri con occhiolini alle telecamere e movimenti di bacino nei pezzi up-tempo, per poi scendere dal palcoscenico e tornare a essere un ragazzo dal sangue accelerato e le lacrime pure – e se la vita è davvero un teatro, allora Luigi conosce a memoria la collezione di maschere pirandelliane che conserva nel vecchio garage dei suoi, in quel di Lamezia Terme in cui si rifugia ogni volta che può.
È che certe storie ti segnano e rimangono rinchiuse in un baule privo di chiave. Luigi conosce a memoria tutti i suoi bad endings e di tanto in tanto va a riguardarseli: li spolvera con gli occhi e con le dita che tremano di meno, e li fissa come trofei e diplomi appesi a una parete che altrimenti sarebbe vuota. Alcune sensazioni riesce ancora a sentirle – la gola che brucia dopo aver squarciato la notte con un grido, le mani sudate durante un abbraccio inciso sulla pelle, il profumo di cocco sparso su lunghi capelli, gli occhi rancidi di lacrime trattenute guardando verso il cielo azzurro.
Luigi lo ricorda guardando i tacchi di Carola calpestare il pavimento del ristorante per andare a recuperare il cappotto, 'ché la maggior parte degli ospiti s'è data alla fuga per rispettare il coprifuoco che hanno nella testa e in quel locale sono rimasti solo loro due, 'ché Luca è uscito per andare a recuperare l'automobile parcheggiata troppo lontana subito dopo aver pagato il conto e lui è stato costretto a rimanere dentro per fare il gentiluomo, 'ché una donna non si tocca ma non si abbandona neanche – e allora lui accosta la sedia al tavolo e sguscia silenziosamente verso l'uscita, seguendo i passi di lei che riecheggiano nelle sue arterie martoriate.
Il vento gli sferza il volto appena l'incontra e la sigaretta quasi s'accende da sola. «Ne vuoi una?», mormora mentre le porge il pacchetto, la voce impastata dal cilindretto che già tiene in equilibrio tra le labbra.
Ed è in quel momento che Carola lo guarda per la prima volta, accorgendosi della sua insignificante presenza: fa scorrere gli occhi lungo la sua intera figura e s'accorge che lui è proprio lì, accanto a lei, che non è uno spettro di Kronborg svolazzante nell'eterno dolore di una tragedia shakespeariana – o forse sì, ma il mistero che avvolge le creature provenienti dall'oltretomba è così agghiacciante che la ballerina preferisce lasciarlo tra le mani della mitologia.
«No, grazie. Non fumo più.»
Incassa e risucchia altra nicotina, per poi cacciarla fuori dalle narici come un drago nervoso. «Fai bene», commenta vago.
«E tu perché hai ancora il vizio?»
Sorride in silenzio e per finta, rintanandosi nel gioco dei sotterfugi e nei trucchi di magia dei grandi illusionisti. «Perché da certe cose non si guarisce.»
La ballerina oscilla sui suoi trampoli da equilibrista, sfoggiando la perfezione con la quale si erge e si è sempre eretta sulle sue punte di gesso – elegante, spavalda, sofferente. «Lo credevo anch'io, sai?», dice arricciando il naso. «Poi però ho fatto così.»
Allunga una mano verso il viso stravolto di Luigi, il quale resta immobile a fissarla come si fissano i miracoli divini; Carola afferra la sigaretta accesa tra due dita curandosi di non scottarsi con la fiammella e gliela sficca dai denti, per poi spezzarla in due sotto i suoi occhi increduli. La lascia cadere ai loro piedi e spegnersi lentamente – un compiuto gesto d'autodistruzione, annullamento, morte.
«Sai, Luigino», continua a chiamarlo così, «il dolore è una scelta. Siamo noi a decidere quali sono le cose per cui vale la pena soffrire, mentre ad altre non diamo peso.» Sorride, il fiore candido. «Basta lasciarle andare, queste cose. Bisogna dire okay, è andata così. E poi semplicemente ti liberi.»
Strangis sa bene che respirare è un compito indispensabile per gli essere viventi, eppure se ne dimentica. La sua attenzione è interamente incentrata su quelle parole pronunciate con calma e flemma, come offertegli sopra un vassoio e coperte da una cloche e poi da un telo e poi continua per creare una tortuosa matriosca chilometrica. È che Luigi sa leggere tra tutte le righe dei libri, tranne in quelli che scrive Carola, con quella sua calligrafia tondeggiante e ben chiara e senza macchie d'inchiostro.
«A cosa ti riferisci?»
La domanda è inevitabile così come l'ultimo getto di fumo che abbandona il suo corpo insieme allo spirito, disperdendosi all'unisono tra le molecole componenti l'ossigeno che sembra mancare perennemente.
La donna stringe il manico della borsa, ma il cappotto che la ingloba è così grande da rendere indefinito ogni accessorio che compone la sua presentazione pubblica. «A quello che vuoi tu», risponde. «È un discorso che sta bene su tutto.»
Ma soprattutto su di me, pensa con un filo di sarcasmo che tanto somiglia all'harakiri. Perché Carola è un labirinto con mille strade ma tutte conducenti a Woodstock e non cambia mai neanche con gli anni a gravarle sulla schiena, e le sue tracce aleggianti in ogni dove feriscono, 'ché sono come una pistola che fa bang bang e colpisce il petto e non se ne frega delle conseguenze perché niente a parte lei ha una forza così innata da poter fare eco a distanza di otto anni da un addio taciuto.
Luigi vorrebbe fumare ancora, ma si fa violenza per non accendere una seconda cicca poiché equivarrebbe a sbeffeggiarsi di lei e delle sue parole – non l'ha fatto in passato, non lo fa in presente, non vuole farlo in futuro. Allora s'aggrappa alle proprie labbra mordendosele da solo, scatenando un tic che si trascina dietro con il resto delle zavorre da tutta una vita.
«Hai la macchina?»
Lei alza un sopracciglio, severamente ilare. «Come?»
Fa spallucce, lui. «Hai la macchina o vuoi un passaggio a casa?»
«Ah, no, non guido. Non ho mai avuto tempo per prendere la patente, purtroppo.»
Ride come fa sempre, e forse è meglio così – vederla capace di divertirsi ancora con pochi elementi a disposizione, crogiolarsi in un animo ancora dolcemente infantile e darsi da sola pizzicotti e pacche sulle spalle.
«Comunque, no, grazie. Il mio fidanzato dovrebbe essere qui a momenti.»
È un vaso di vetro che si frantuma al suolo; è una rondine con le ali spezzate; è il cielo annerito da nuvole di pioggia; è il fulmine che incendia un albero; è un fiore assiderato; è una cellula morta per malattia; è la consapevolezza intrinseca che la vita va avanti per tutti e non solo per chi sceglie di guardare a sé, 'ché non basta distrarsi dopo aver congelato i ricordi per assicurarli immobili in una teca – Luigi lo realizza per la prima volta dopo quasi un decennio mentre guarda Carola fare un cenno a un'automobile in avvicinamento, per poi aprire la portiera e salire a bordo. Non riesce a distinguere con esattezza il volto del conducente, ma vede con chiarezza il bacio che si scambiano subito prima di ripartire a tutta velocità; incrocia lo sguardo della ballerina un'ultima volta nell'istante in cui lei gli volge un'occhiata vuota e riparata dal finestrino alzato: un breve cenno del capo, l'approssimazione di un sorriso e una ciocca di capelli a sfuggirle dalla coda di cavallo per coprirle un occhio buio.
Perché, alla fine, Micheal Rosenberg ha ragione: hai bisogno della luce quando ce n'è poca, ti manca il sole quando inizia a nevicare, sai d'essere stato in alto quando ti senti in basso, odi la strada quando ti manca casa, sai di amare lei quando la lasci andare – e la lasci andare.
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Golden Days || Caroligi
FanficSono giorni dorati quelli che muoiono nel frammento di un ricordo lontano, uno di quelli intangibili e incontestabili. Luigi vive di memorie perché esse sono le note di uno spartito scritto come un flusso di coscienza, un rimprovero verso sé stesso...