Notte di mezzo autunno

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È un appartamentino sotto il livello della strada, un umido scantinato. Due finestre sbarrate affacciano nell'androne di un antico palazzo. Aperta la porta, lungo le pareti sono ammucchiati montagne di libri e vestiti, il soffitto è annerito, presumibilmente da un principio di incendio: enciclopedie, vecchie collane di romanzi, pantaloni, camicie a righe, scarpe logore, inservibili. Tutti questi stracci, buttati lì a mucchi, calpestati, sparpagliati, marciscono, mandando un odore forte.
Su questi stracci, in un angolino, appollaiato su di una seggiola traballante, sempre con una marlboro tra i denti, sta chino tra i libri Pasquale, vecchio professore in pensione. Ha una faccia arcigna, folte sopracciglia: basso di statura, magro, asciutto, ma ha un aspetto autorevole e pugni robusti. È uno di quegli uomini dallo sguardo assente, assorto in elucubrazioni indecifrabili, ma che più di tutto al mondo ama essere ascoltato. Parla in modo appassionato anche se con voce rauca: sempre sincero, non conosce mezze misure, sia nella indignazione e nella protesta, sia nell'entusiasmo e nell'ammirazione. Di qualsiasi argomento si parli, torna sempre alle sue idee fisse: la società è una truffa, la maggioranza vive una vita squallida, stupida, dove trionfano l'omologazione, l'ipocrisia, le scuole sono dei pollai il cui fine è formare studenti dal cervello di gallina; ci vogliono teatri, un giornale locale, pubbliche conferenze, solidarietà tra gli oppressi. Nei suoi giudizi sulle persone, solo il bianco o il nero e nessuna sfumatura: l'umanità si divide in umani e disumani, senza vie di mezzo. Delle donne e dell'amore parla sempre con desiderio, passione, ma non è mai stato innamorato. In città, nonostante la sua irrequietezza, l'asprezza nei giudizi, gli vogliono bene e lo chiamano affettuosamente 'O Palluttiello. La lettura è indubbiamente una delle sue abitudini morbose, si getta con smania su tutto ciò che gli capita tra le mani, perfino i giornali di mesi prima recuperati nei bar.

In una notte di mezzo autunno, sebbene il clima fosse ancora mite, Pasquale 'O Professore di pessimo umore, tormentato dall'umidità che sprigionava lo scantinato in cui vive, stava per sdraiarsi sul letto e ad avvolgersi in strati di consunte coperte. Quando qualcuno fa cadere pugni pesanti sulla finestra di fronte al suo amato giaciglio. Pasquale alzò gli occhi stanchi per assicurarsi dell'identità del inaspettato avventore, dopodiché aprì il cancelletto premendo il tasto del citofono e infine la porta.
Era Francesco, un ex alunno che abbandonò la scuola, troppo presto, per darsi al piccolo spaccio e al consumo di crack e cocaina; tremando in tutto il corpo, battendo i denti, come se avesse una fortissima febbre, abbracciò, con tutta la forza che le membra gli potessero concedere, il suo vecchio insegnante che a sua volta ricambiò l'abbraccio anche se debolmente, accorgendosi così della pistola tenuta nella tasca dei jeans.
- Ah, Dio mio... Dio mio, tu sei come un padre per me. Ho tanta tanta fame Pasquale, - borbottò Francesco socchiudendo gli occhi. - Non posso... non posso...
- Ragazzo mio - gli disse, - cosa ti succede?
Francesco mandò un grido e baciò Pasquale sulle labbra poi distaccandosi.
- Papà mio... - singhiozzò - papà mio...
Devo uccidere un uomo!
- Calmati, ragazzo mio, siediti e mangia la zuppa di fagioli.
- Cosa posso fare? - supplicò Francesco.
- Niente, non devi fare niente, passerà, mangia, bevi un bicchiere e poi dormi.
- Stronzate! Devo farlo!
E dopo aver tracannato il bicchiere di vino, si alzò violentemente da tavola e sbattendo la porta, uscì. Era mezzanotte.
Pasquale restò in piedi a lungo in mezzo alla stanza pensando a cosa potesse fare.
Il tempo scorse lento, le strisce di luce lunare sul davanzale sembravano immobili, c'era un silenzio mortale, un silenzio che sembrò risuonasse nelle orecchie.
D'un tratto, un fastidioso scampanellio, le tre del mattino. Francesco abbassò lo zip della giacca e mostrando la miglietta che sembrava fosse sporca di sangue, sussurrò - Gli ho sparato in bocca, hai un ricambio? Posso dormire qui?
Pasquale aprì la finestra è gli parve di avere un incubo.
- Ragazzo mio, arrangiati e vedi se c'è qualcosa che possa andarti bene, puoi dormire sul divano.
Quando, poco dopo, sorse il sole, Francesco non c'era già più. Pasquale si svegliò con un gran peso, un assillo dentro, tanto il rimpianto di non essere riuscito ad impedire l'uccisione di un uomo. Scorse i vestiti sporchi di sangue, indossati dal suo ex alunno poche ore prima, in un angolo della stanza e con fare noncurante, li afferrò per gettarli nella spazzatura. Il suo viso si illuminò scoppiando in una fragorosa risata e pensò ad alta voce.
- Pasquale! Queste non sono macchie di sangue! Sono solo macchie di vino!

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