Tatiana

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Era una malinconica notte di fine ottobre, malinconica perché si sentiva il sapore di autunno ibrido, tiepido, che stentava ad essere se stesso; i lampioni, illuminavano appena le strade di una luce rossastra.
Tatiana era china sin dal mattino, lavando pile di piatti nel ristorante in cui lavorava. Aveva gli occhi stanchi, scavati, eppure, quel suo viso pallido, il collo e le braccia sottili, la sua forza, il suo instancabile darsi da fare, riuscivano ad essere commoventi senza scadere nella pietà.

Si può intuire in lei un'intelligenza fuori dal comune, un modo diverso di pensare, forse perché, riesce con naturalezza a sopportare pesi che pochi sopporterebbero se non andando incontro ad un inesorabile abbrutimento.

Sembrava che la nottata non volesse passare mai. In cucina continuavano ad arrivare piramidi di piatti unti e torri di stoviglie incrostate; Tatiana Bondarenko continuava ad ammazzarsi di fatica in silenzio, tamponadosi spesso la fronte imperlata di sudore.
Ogni tanto scricchiolava la porta della cucina e spuntava con il volto arrossato e assonnato, un cameriere che, rivolgendosi a Tatiana:
- Ehi, ma non è l'ora della birra?
- No, non è ancora ora... -, rispondeva senza distogliere lo sguardo dal lavaggio. - Ancora un momento... ancora un momento...
In seguito arrivava il direttore di sala, anziano ma energico, buone maniere, gradevole. Sensibile ma collerico, a rimbrottare il cameriere, facendosi paonazzo e con voce forte borbottava: "a lavoro! Razza di scansafatiche!".
Davanti a questa scena, il sorriso di Tatiana si riflettè nell'acqua in cui erano sommersi i piatti e i suoi occhi castani tesero a salire verso il soffitto.
A fine turno, giunse finalmente la fatidica ora della birra e il cameriere sorridendo, disse:
- Noi due non andremo mai d'accordo, tu lavori troppo Tatiana! Bisogna prendersi pure una pausa tra una stoviglia e l'altra.
- Sai Mimmo? Sono cresciuta con i film di Yurij Nikulin.
- Chi? rispose Mimmo staccando le labbra dalla bottiglia di birra.
- Yurij Nikulin, un famosissimo comico russo- disse Tatiana sorseggiandone un po' a sua volta - e c'è una battuta, in un suo film che mi ha insegnato il valore del lavoro.
- Quale?
Tatiana sospirò, alzando ancora gli occhi al soffitto della cucina.
- Dai, allora che diceva questo signor Yurij Nikulin?
- A volte metti da parte qualcosa per domani e pensi con orrore: è già domani! -
- Cosa vuoi dire?
- Voglio dire: le tante birrette che ti concedi tra una comanda e l'altra, avvicinano più velocemente questo domani, bisogna lavorare per il domani non per il presente...
- Sarà...
- Importante è fare quel che possiamo fare, in questo siamo sulla via giusta.

Poco dopo, Tatiana uscì dal ristorante e salutando Mimmo, si avviò verso la macchina per tornare a casa, con il piacevole pensiero che all'indomani sarebbe stato giorno di chiusura. Splendeva la luna piena, la strada che costeggiava il mare era silenziosissima, si poteva udire soltanto il placido mormorio delle onde, Tatiana Bondarenko procedeva lenta per godersi quello splendido segmento di notte. Con il finestrino aperto respirava a pieni polmoni, aveva la sensazione di essere tornata a Odessa e che, fosse cominciata la primavera, una vita nuova, magnifica, fertile. Le venne voglia, chissà perché, di piangere.

D'un tratto, l'automobile cominciò ad emettere rumori inconsueti, si fermò; Tatiana tentò di rimetterla in moto più volte senza successo, pescò il telefonino dalla borsa, era scarico. Quasi si rassegnò a inclinare il sedile per passare quel che rimaneva della notte in auto, fece un ultimo tentativo rigirando nervosamente la chiave ma niente, la maledetta automobile non voleva saperne di ripartire.
In lontananza si sentì il rombo di una motocicletta che si avvicinava con velocità.
Francesco, molto magro, scuro, barba curata, grandi occhi neri e taglio di capelli alla moda, indossava pantaloni di jeans strappati, una t-shirt nera su cui pendevano degli occhiali da sole: nonostante tutto un bel tipo; notò la macchina in panne e fermò la moto poco distante; si avvicinò cauto con un timido sorriso sulle labbra.
- Signurì, vi serve aiuto? Posso darvi una mano? Piacere Francesco, - disse.
- Grazie, grazie, signore, sì. - rispose Tatiana sollevata ma diffidente.
Dopo aver aperto il cofano e armeggiato un po' alla luce del flash del telefonino, sembrò che la macchina si fosse decisa a ripartire.
- Non so come ringraziarla signor Francesco.
- Figuratevi, cos' 'e nient...
Lei sorrise e rimontò in auto.

Stava per albeggiare, Tatiana guardando Francesco, le parve fosse indebolito, stordito da qualche ignoto male.
Non capiva cosa la spaventasse di lui eppure le aveva trasmesso, mentre era affaccendato con la macchina: sicurezza, quiete.
Arrivò a casa alle cinque e mezza del mattino, si mise a letto e si addormentò subito: andando incontro ai sogni, agli incubi, alle reminiscenze che il sonno porta in grembo.

Odessa 1991.
Si mise a sedere in un posticino appartato nella mensa dell'orfanotrofio numero 6. I gomiti ben piantati sulla tavola e posando le guance rosee sulle piccole mani, abbassò gli occhi come se volesse meditare lungamente su qualche orribile sciagura.
- Borsch! Borsch, detesto il borsch verde! Pensò Tatiana, fissando con sguardo stralunato il tuorlo dell'uovo sodo che, galleggiava minaccioso sulla superfice della zuppa; sentì un brivido scorrerle lungo la schiena e con un movimento rapido e quasi involontario del polso, scaraventò la scodella per terra, irrorando il pavimento di pezzetti di carote, patate e verdure di vario genere, quasi a comporre un inquietante mosaico.
Il suo viso divenne verde come la zuppa, immobile come imbalsamata: soltanto le labbra tremavano, quando tutti gli occhi dell'orfanotrofio si diressero severi verso di lei.
- La mangi lo stesso Tatiana! Le urlò l'educatrice di turno.
Abbassò lo sguardo verso il basso, dove era distesa la minestra che quasi sembra già marciscente e con gli lucidi, si mise a carponi per cominciare a mangiare, le lacrime si mescolarono alla zuppa e tutt'attorno un gran silenzio.
Era rannicchiata a letto accanto al marito mentre le furie indiavolate del suo passato e le prostrazioni riaffiorarono nel suo paesaggio onirico. Cominciò a mormorare qualcosa nel sonno, poi si rigirò su di un fianco. Tutt'a un tratto spalancò gli occhi verso il soffitto, paurosa di rivedere la responsabile dell'orfanotrofio che la costrinse a mangiare il borsch rovesciato per terra.

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