Il brufolo viola

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Era una buia giornata d'inverno: quelle solite giornate dove fa freddo, ma si sta bene anche a maniche corte; dove non piove, ma ti senti comunque bagnato, dove c'è il sole, ma non riesci a vedere nulla. Durante questo giorno si svolgeva la prima gita dell'anno scolastico e per Lorenzo era una grande gioia; aspettava questo giorno da tempo. Lui era un ragazzo di 16 anni che viveva in Alto Adige, gli piaceva fare escursioni e suonare la chitarra. Aveva una grande passione per la musica e con la sua bellissima voce gli sarebbe piaciuto diventare un cantante un giorno. In questa gita, la classe di Lorenzo si recò in un bosco tra le Alpi, ricco di una flora e di una fauna spettacolare. Fu permesso loro di portare anche degli strumenti per passare poi del tempo nella capanna che si dovrà raggiungere per scaldarsi e poter mangiare. Lorenzo portò ovviamente la sua chitarra.

Salì sul pullman che lo portò proprio davanti all'entrata del bosco e per tutto il tragitto rimase zitto e impaziente di arrivare. Parlò solo una volta quando il suo amico Mattia gli fece notare uno strano brufolo che gli spuntò proprio quella mattina: era grosso, pulsante ma soprattutto viola. Lorenzo si limitò a rispondere dicendo: "Mat, probabilmente ti è cresciuto sopra un livido, ti fai male in continuazione senza accorgertene". Detto questo non disse più una parola fino all'entrata del bosco, quando dovette rispondere "presente!" all'appello della prof.

Da qui iniziò il suo lungo viaggio verso una "selva oscura", dalla quale riuscirà ad uscire sano e salvo, o forse no?

Lorenzo iniziò a camminare e a mantenere sempre la stessa andatura, senza far caso a ciò che lo circondasse. Lui era un ragazzo molto superficiale e non poneva mai attenzione a ciò che faceva, per questo dopo poco riuscì a perdere di vista la sua classe. Non ci fece troppo caso e continuò comunque a camminare; era abituato a fare escursioni da solo e quel bosco cosa aveva in più degli altri? Se si orientava in uno, trovare l'orientamento in un altro non doveva essere difficile. Lorenzo seguì allora i vari cartelli che trovava per poter arrivare alla capanna, ma non poté usufruire del sole dato che era nascosto tra varie nuvole sparse. Decise anche di tirare fuori la sua chitarra e iniziare a suonare e cantare per proseguire con più calma. Girò a sinistra, a destra, ancora a destra e poi a sinistra. Tra una canzone e l'altra non si accorse del tempo che passava, però si accorse che a poca distanza da lui si trovava una figura oscura. "Sarà un lupo" pensò fra sé Lorenzo. Decise di continuare comunque per la sua strada; i lupi sono affascinanti e vederne uno da vicino è emozionante. Inoltre se gli avesse fatto una bella foto con il suo telefono, tutti lo avrebbero invidiato. Continuò a camminare con la sua solita spensieratezza cantando "Scooby Doo" dei PTN. Arrivato alla strofa che fa "i tuoi demoni e tutti i tuoi mostri" si fermò; il "lupo" si era mosso. Fino a qui nulla di strano, è un animale, ovvio che si muova. Ma si mise in piedi. Su due gambe. Come se fosse un essere umano. Ma tutto ciò non poteva essere vero. I lupi sono quadrupedi. Lorenzo mise quindi dietro le spalle la chitarra e si avvicinò furtivamente, aiutandosi con la luce della torcia del telefono dato che la giornata non era delle migliori. Fece un passo. Poi un altro. Era spaventato, ma al contempo era curioso; sapeva che poteva mettersi nei guai, ma di tornare indietro non se ne parlava. Più si avvicinava più la figura diventava grande. Lorenzo cercò di capire di cosa si trattasse, ma nella sua testa giravano talmente tante idee che non ne sapeva associare una sola. Il sentiero era colmo di cose inusuali per un bosco: c'erano abatjour rotte, vestiti strappati, uno zaino vuoto e degli oggetti attorno... Era finito nella discarica del bosco forse? Fatto sta che l'attenzione di Lorenzo andò sullo zaino. Non era un'immagine nuova. Lo aveva già visto, ma dove? Era così preso dalla situazione che non riusciva a fare collegamenti. Pensò solo al peggio: e se fosse appartenuto a qualche suo compagno? e se gli fosse capitato qualcosa di brutto? "Pensa Lore, pensa" - si ripeteva - "dove hai già visto questo zaino?" Si chinò per prenderlo, magari da vicino sarebbe riuscito a riconoscerlo; era blu, giallo e verde, dell'Invicta, vecchio modello. Sapeva di averlo già visto, ma dove? Aveva troppi pensieri nella testa, ma doveva sforzarsi. Accanto allo zaino c'era solo il pranzo, la borraccia d'acqua e una penna con un taccuino. Prese quest'ultimo nella speranza che ci fosse scritto il nome del proprietario. Lo aprì. Prima pagina nulla. Seconda nulla. Terza uguale. "Questo taccuino mi è inutile" - disse - "Proseguiamo e vediamo che cosa è quel lupo bipede, speriamo bene" Detto ciò deglutì, si alzò da terra e andò dritto sicuro verso la "cosa". La guardò, dritta negli occhi; le vibrazioni che trasmetteva erano paragonabili al lanciarsi da un aereo senza il paracadute. Era brutta. Tanto brutta. Aveva gli occhi glaciali, senza naso ed era tutta viola e rosa. Aveva una forma indefinita e non si capiva bene cosa fosse, ma una cosa era certa: non era un lupo. Non proseguì a guardarla; in quel momento l'unica cosa che passò per la testa a Lorenzo fu scappare, correre e sperare di trovare salvezza in qualche forestiero. "Corri Lore, corri!" Si ripeteva a perdi fiato. Non osava neanche voltarsi per vedere la "cosa", ma sapeva che lo stava rincorrendo. Corse e corse ancora, fino a quando il fiato gli finì; aveva corso per troppo tempo e respirato troppo veloce, portando il corpo in iperventilazione. Svenne cadendo a terra. Da lì non si accorse più di nulla; cadde in un lungo sonno profondo. Si risvegliò solo qualche ora dopo. Era legato su una specie di letto; due manette alle mani e due ai piedi. Il busto era legato con una cintura molto grande che si legava a mo' di zip sotto il petto. La stanza era buia, ma non completamente; si riusciva ad intravedere una porta non troppo lontano da lui. C'era una luce soffusa - probabilmente emessa da candele - che illuminava il pavimento, come se ci fosse un percorso da intraprendere per arrivare ad una meta precisa. C'era un suono. Era molto soave e rilassante, l'esatto opposto di ciò che si immaginerebbe all'interno di un racconto di paura. Sapeva però mettere molta ansia; in una stanza così ogni suono, calmo o forte che sia, sapeva incutere terrore. Erano note semplici, ma d'effetto. Sembravano suonate a mano in quel momento da qualcuno, su una chitarra. Era accordata in un modo fantastico; un'accordatura che sembrava quasi stonata ma che ti riempiva il cuore. Solo a questo punto Lorenzo disse: "La mi-" ma si fermò prima di finire la frase per non fare rumore; conosceva bene che in situazioni del genere non bisognava farne. Continuò comunque la frase nella sua testa dicendo: "La mia chitarra! Quella deve per forza essere la mia, ha l'accordatura che piace a me, nessuno l'accorderebbe così" All'improvviso la chitarra finì di suonare. Il silenzio che si era creato nella stanza non era per nulla rassicurante. Anche le candele piano piano si iniziarono a spegnere. Una dopo l'altra. Era come se si stessero spegnendo al passaggio di qualcuno, ma lì non c'era nessuno se non Lorenzo. Aveva paura. Era bloccato lì e non poteva fare nulla. Cercò di liberarsi, ma era legato troppo stretto e non ci riusciva. Sentì un urlo. Era forte. Sembrava un urlo di disperazione. Forse non era solo. Forse quella "cosa" aveva portato qui qualcun altro. Forse un briciolo di speranza si poteva riaprire nel cuore di Lorenzo. Cercò allora di liberarsi ancora una volta, sforzandosi come mai avesse fatto prima. Gli tremavano le braccia e le mani gli pulsavano, ma dopo un po' riuscì finalmente a liberarsi le mani. Fatto questo, liberarsi dal resto del corpo non fu difficile. Si mise seduto e si guardò attorno: era quasi tutto buio. Decise di scendere da quella specie di letto e di camminare verso l'unica fonte di luce. Passo dopo passo il cuore batteva sempre più forte, ma Lorenzo non sarebbe tornato indietro, non ora. Arrivò davanti all'ultima candela accesa e si trovò davanti una porta; l'aprì solo poco per riuscire a vedere l'interno che pareva illuminato. La "cosa" era lì! Era seduta a terra, di spalle rispetto a Lorenzo. Si udì un altro urlo. Lorenzo sobbalzò. Sembrava venire da quella stanza. Qui Lorenzo pensò due possibili alternative: poteva essere che davanti alla "cosa" ci fosse qualcuno o che l'urlo fosse emesso proprio dalla "cosa" stessa. In entrambi i casi doveva comunque entrare per verificare l'ipotesi. "Se entro potrei non riuscire più, ma se non entro potrei rimanere qui a vita o morire di stenti" Detto questo Lorenzo entrò. Aveva il cuore a mille e non sapeva cosa fare. Sbatté poi contro un banco o un tavolo - non riusciva a vedere bene - e decise di nascondercisi sotto sperando di non aver fatto troppo rumore. Da quella posizione riusciva finalmente a vedere il volto. Questa volta, al contrario della prima, decise di guardarlo bene e riconobbe quasi subito l'identità della persona: "Mattia!" Urlò. Si era appena augurato la morte da solo. La "cosa" - ovvero Mattia - si girò di scatto, si alzò da terra e corse da lui. Dalla faccia non aveva buone intenzioni. Lorenzo si alzò e cercò di correre il più possibile lontano, anche se non riusciva a vedere dove stesse andando. Piangeva. Era colpa sua, doveva dare più importanza a Mattia quel giorno; forse era iniziato tutto proprio da quel brufolo che gli aveva mostrato la mattina stessa. Per lui fu però troppo tardi; La "cosa" era veloce e molto probabilmente vedeva al buio, prenderlo fu per lei un gioco da ragazzi. Cosa accadde dopo non si sa, ma da quel giorno né Lorenzo né Mattia furono più ritrovati. Si dice però che in quel bosco vagano due figure misteriose in cerca di cibo e che ogni 31 ottobre dell'anno girovagano per il bosco in cerca di spaventare nuove prede.

- Racconto di Luna

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