Alla fine di ogni giorno

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La prima volta che aveva visto Manuel, Simone era solo un ragazzino.

Era al terzo anno di liceo e lui era il suo nuovo compagno di classe ripetente: bellissimo, stronzo e, soprattutto, etero.

O almeno così credeva.

L'ultima volta che lo aveva visto, invece, un ragazzino non lo era più.

Nessuno dei due lo era.

Per anni Simone lo aveva amato in silenzio, abituandosi gradualmente all'idea che non sarebbero mai stati più che amici.

Fino all'estate dopo la maturità, quando Manuel gli aveva confidato di amarlo e, così, era iniziata la loro storia.

Dopo la laurea triennale avevano deciso di prendere in affitto un piccolo appartamento in cui poter convivere, barcamenandosi tra lo studio e vari lavoretti precari pur di potersi permettere il loro nido.

Ed era stato bello. Era stato bellissimo iniziare e concludere le giornate insieme.

Durante una domenica uggiosa Manuel glielo aveva anche detto. Erano stesi sul divano coperti da un plaid palesemente troppo piccolo e stavano guardando un vecchio western. Il maggiore si era girato a guardarlo e aveva affermato semplicemente: «me piace proprio 'sta vita».

Simone gli aveva risposto senza staccare gli occhi dallo schermo: «ti piace passare la domenica a guardare film che hanno più anni di me e te messi assieme?» e aveva ridacchiato, affondando la mano nell'enorme ciotola di popcorn posta sulle sue gambe.

«Me piace che dopo ogni mattinata di lezioni, dopo ogni turno faticoso a lavoro, dopo ogni giornata de merda io possa comunque tornare e trovatte sempre qua».

Poi, dopo la laurea magistrale, a Simone era stato offerto un dottorato negli Stati Uniti e, si sa, tre anni sono lunghi.

C'erano state lacrime, urla, abbracci, riappacificazioni ed altre lacrime. Promesse, valigie, e poi vuoto. Letti troppo grandi per una sola persona, videochiamate che provavano a sostituire i tanti baci mancati.

Simone che metteva i western in tv e poi non riusciva a seguire neanche una parola, che spostava la mano sul lato destro del suo divano quasi sperando di trovarci Manuel e Manuel, a Roma, che versava il caffè nella tazzina verde di Simone e la avvicinava alle labbra alla ricerca del suo sapore.

Dopo quattro mesi, il più piccolo era riuscito a tornare a casa per Natale e tutto sembrava essere tornato come prima. Poi di nuovo valigie da riempire e, con esse, erano tornate le lacrime, gli abbracci e le promesse d'amore.

Erano passati altri quattro mesi, Manuel era stato chiamato da poco come supplente di filosofia nella loro vecchia scuola superiore e aveva approfittato delle vacanze di Pasqua per andare a trovare il fidanzato.

Quella era stata l'ultima volta che si erano visti.

Simone aveva accompagnato Manuel all'aeroporto, gli aveva baciato la fronte con gli occhi pieni di lacrime e lo aveva ascoltato mentre gli sussurrava dolcemente che ad agosto, appena dopo gli esami di Stato ai quali doveva prender parte, sarebbe tornato da lui.

Ma se è vero che il tempo spegne solo ciò che non bruciava, è anche vero che la distanza fa divampare incendi distruttivi fatti di incomprensioni.

Le videochiamate non erano più riuscite ad attenuare la mancanza di contatto fisico ed era finita che ad agosto neanche si parlavano più.

Le liti erano diventate più frequenti. Manuel non lo avrebbe mai ammesso ma sentiva che anche Simone lo aveva abbandonato. Simone, dal canto suo, non avvertiva più il supporto del compagno e si sentiva sempre più risucchiato dagli impegni accademici.

Tutte le volte che ho detto ti amoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora