PROLOGO

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Lontano dalle lunghe careggiate imbiancate e scivolose vi era un piccolo autogrill fatiscente. Da un grosso camion bianco pieno di adesivi e scritte ormai sbiadite su cofano e fiancate, scese con un balzo dal sedile del passeggero un giovane uomo. Oltrepassò il parcheggio e le pompe di benzina recandosi verso i bagni. Per ripararsi dal freddo aveva solo un paio di jeans sgualciti e una vecchia camicia di flanella a scacchi blu e gialli. Al di sotto del cappellino da baseball datato che gli copriva la testa, sbucavano dei capelli lunghi fino alle spalle. Stretto con le braccia allo stomaco a grandi falcate raggiunse i servizi. Lo scheletro di una porta smaltata più volte di blu scuro, cigolò stridente quando il giovane la spinse con la punta degli anfibi. Il tetto era formato da una serie di quadrati, la luce a neon andava e veniva dando a quel posto lurido e puzzolente un aspetto sinistro. Le piastrelle formate da rettangoli bianchi e verdi erano usurate e in alcuni punti assenti, da quelle, si vedeva il cemento sottostante. Il giovane che avrà avuto più o meno vent'anni, si diresse verso un lavabo incrostato e aprì l'acqua, chissà per quale volontà divina, come un miracolo questa fluì. Era gelida ma poco importava. Tolse il berretto e si sciacquò il viso più e più volte. Gli specchi in frantumi ancora affissi alla parete mostravano il ritratto di un giovane sfatto, stanco, perso. Quegli occhi così azzurri come gemme riuscivano nonostante ciò ad illuminare ogni cosa. Da sotto la camicia fece scivolare interra alcuni indumenti: un pantalone militare e un maglione nero, si cambiò gettando poi i suoi vecchi indumenti tutti appallottolati, nel cassetto dei rifiuti. Rimise il cappellino da baseball e uscendo dai servizi si diresse verso il market. Anch'esso piccolo, logoro e semi abbandonato. Dietro al bancone proprio all'ingresso, vi era un uomo sulla sessantina, grasso e stempiato di origine filippina. Se ne stava seduto dietro al bancone a fissare il giornale intento in chissà quale articolo. Gli occhiali gli scivolarono sul grosso naso e la catenella rossa che li teneva oscillò. Il giovane si diresse svelto al banco frigo, lo aprì ed estrasse una confezione in cartone di spremuta d'arancia, senza pensarci su due volte svitò il tappo e lo tracannò. Il proprietario alzò gli occhi ma restò seduto il giovane infatti aveva tenuto la confezione in mano mentre si accingeva a prendere alcuni snack. Era molto più di quanto avesse potuto chiedere l'uomo, la maggior parte delle volte, chi entrava in quel market prendeva quel che gli pareva senza lo scrupolo di pagare all'uscita. Il giovane adesso alla cassa pagò con una manciata di spicci e delle banconote di piccolo taglio notevolmente accartocciate. Il proprietario posò il giornale e fissò in malo modo quelli spicci facendo capolino da essi al giovane che era rimasto a capo chino con il volto nascosto sino alle labbra dalla visiera del cappellino.

- Va via prima che cambi idea! – esclamò il proprietario del market con tono aspro. Il giovane girò sui tacchi ed abbandonò il locale. Corse per la strada infreddolito mentre dal cielo venivano giù timidi fiocchi di neve, aprì lo sportello e saltò sul camion. Il tepore dentro l'abitacolo per un istante gli fece dimenticare...

Seduto al volante, un omone tutto tatuaggi, con lunghi capelli grigi si allungò verso di lui e prendendogli il viso tra le mani pronunciò:

- Ce ne hai messo di tempo!

Poi, prese bruscamente e volgarmente a baciarlo.

Run to another lifeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora