II.

80 6 0
                                    

Nel dormiveglia Louis avvertì il clangore di chiavi in una toppa e il rumore di una maniglia che veniva girata.

In un primo momento non si allarmò, la testa troppo ovattata per reagire. Un istante dopo però si riscosse, improvvisamente sveglio. Si alzò dal divano e controllò l'ora: le quattro del mattino.

Potevano essere Daisy e Phoebe di ritorno, ma non sentiva i risolini soffocati che le contraddistinguevano sin dall'infanzia quando stavano per fare qualcosa che richiedeva silenzio.

Si avvicinò all'ingresso, dove la porta aperta lasciava entrare l'aria fredda e la fioca luce dei lampioni esterni.

Louis intravide un'ombra dai contorni sfocati sul pavimento piastrellato, alta e longilinea, avvolta in un cappotto lungo; ombra che conosceva molto bene.

Represse il brivido che gli aveva trafitto la colonna vertebrale durante la precedente realizzazione, bloccandogli il fiato nel petto.

Espirò, costringendosi a trovare il coraggio per guardarlo negli occhi.

Sapeva chi aveva davanti, ma non se sarebbe riuscito ad affrontarlo, ancora immerso nel sonno.

«Lou» lo chiamò lui, articolando la propria voce roca in un tono piatto, atono, che così poco gli si addiceva.

Gli occhi blu del maggiore schizzarono verso il suo viso, illuminati in pieno dalla luce proveniente dalla strada, che al contempo li accecava.

Anche se non poteva vederlo, Louis percepiva fin troppo bene la sua presenza, a un metro da lui.

Avrebbe voluto non sentirlo più.

Avrebbe voluto smettere di sentire l'effetto che gli faceva.

Avrebbe voluto smettere di sentire quel vuoto nel suo cuore espandersi, un vuoto che aveva creato da solo, pensando che fosse per il proprio bene.

E lo credeva ancora.

Non lo salutò, non erano in quei rapporti, o almeno Louis non voleva che lo fossero.

Andò dritto al sodo.

«Che ci fai qui?»

«Volevo passare qualche giorno a casa, prima del grande caos natalizio che intaserà tutte le strade. Non ti ho avvisato perché in questo periodo tu di solito sei a Doncaster, quindi non avremmo rischiato di incrociarci» rispose con gli occhi bassi, conscio della rabbia che in quel momento si agitava in Louis.

Quest'ultimo si accorse solo in quel momento dell'acqua che gocciolava dal cappotto e dalla valigia dell'altro, oltre che del ticchettio costante della pioggia contro i tetti.

Si morse la lingua maledicendosi per ciò che stava per fare, da cui non sarebbe più tornato indietro.

«Entra, è anche casa tua questa» disse freddamente, facendosi da parte per lasciarlo entrare.

Le scarpe Gucci bagnarono la piastrella.

Louis odiava avere il pavimento bagnato, ma in quel momento non se ne accorse neppure.

Perché Harry era appena entrato in casa.

Era lì dentro.

Era stato Louis a farlo entrare.

Harry era in casa per colpa di Louis.

Erano di nuovo lì, l'uno davanti all'altro. Nella loro casa. Nel punto in cui anni prima avevano deciso che quello sarebbe stato il posto dove i loro sogni sarebbero diventati qualcosa di più.

Dove due anni prima avevano passato interi mesi con la sola compagnia reciproca, vivendo per la prima volta ciò che desideravano da sempre.

Una quotidianità insieme, nel loro piccolo mondo.
Ma nulla dura mai per sempre, neanche il migliore dei sogni.

That's the way love goes - Larry StylinsonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora