Capitolo 1

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Da ragazzi tutti abbiamo pensato almeno una volta di scappare di casa.
Basta poco per far scattare quel pulsante dentro la testa che chiede urlando indipendenza e potere decisionale su sé stessi... ma per molti resta solo un pensiero.
La maggior parte di noi adolescenti si lascia bloccare dalla comodità della casa, dalle abitudini e dalla consapevolezza che - nonostante la rabbia e le punizioni ingiuste - i grandi ci amano realmente e farebbero di tutto per il nostro bene. Ma la parte più grande la fa la realtà dei fatti: fuori dalla porta di casa non dureremmo neanche 5 minuti.
Senza soldi, un posto in cui dormire, mangiare... che vita sarebbe?!
Forse a metterci questo pensiero in testa è la paura, e quella... quella si instaura tra le pieghe delle scuse più plausibili fino a quelle più improbabili e ci fa tornare indietro sui nostri passi convincendoci che la cosa giusta è restare a casa.
Ammetto che la paura avrebbe aiutato anche me... se la mia non fosse stata una situazione estrema: io dovevo scappare di casa.
Per molti anni avevo lasciato vincere questo sentimento, limitandomi a cercare una soluzione ai problemi più gravi e restando tra quelle quattro mura... ma si è sempre rivelato tutto inutile e scappare è l'unico modo possibile per sopravvivere.
Il punto massimo sulla lista che giovava a mio favore era che quella da cui scappavo non era la mia famiglia biologica quindi non avevo nessuna madre e nessun padre che mi guardavano amorevolmente nonostante gli sbagli... Lo dimostravano i miei ricordi mentre lasciavo l'orfanotrofio e lo dimostrava il certificato d'adozione che Ralf - il mio padre adottivo - aveva recentemente appeso alla parete del corridoio giusto per sbattermi in faccia ogni giorno la realtà dei fatti.
L'unica cosa che davvero mi dispiaceva in quel momento, mentre l'aereo scendeva sulla pista dell'aeroporto di Londra, era l'aver lasciato due ragazzine poco più che 12enni nelle mani del mostro che mi aveva presa in affido... ma loro erano davvero sue figlie, le amava come solo un vero padre può fare quindi avevo la certezza che non le avrebbe mai trattate come aveva sempre trattato me.
E poi non potevo portarle come me, pensai mentre l'aereo quasi mi faceva saltare la testa dal collo una volta toccata la pista Mi odiano peggio del padre e... fanno più post sui social che respiri quindi sarebbero riuscite a farci trovare nel giro di 1 minuto... Io invece ho bisogno di scomparire, di tornare nel mio paese d'origine senza essere rintracciata e riportata in quella tana di pazzi.
In fondo non ero ancora maggiorenne, quindi, per la legge italiana non ero ancora abbastanza matura per vivere da sola... ma lo era quello stronzo che si strusciava su una ragazzina.
La goccia che aveva fatto traboccare il vaso della mia pazienza era stato proprio il suo tentativo di infilarsi nel mio letto.
Dopo la morte della moglie, Sarah, avevo sopportato di tutto: i suoi modi orribili di chiamarmi, come ''orfanella'' o ''abbandonata''; i suoi momenti no in cui ogni parola era detta solo per ferirmi; le sue continue umiliazioni e offese che non si fermavano neanche quando crollavo in lacrime; gli schiaffi, gli sputi e le violenze varie che a volte erano volate senza un reale motivo... avevo sorvolato su tutto, finanche sulle occhiate viscide che nell'ultimo periodo mi avevano avvertita della piega che stavano prendendo i pensieri nella sua testa vuota. Ma quello... la vera violenza... Non glielo avrei mai permesso.
Quindi, dopo averlo tramortito con la lampada - cosa non molto difficile da fare dato l'elevato tasso alcolico nel suo corpo - avevo preso i miei risparmi ed ero salita sul primo aereo per Londra, prima che la mia foto venisse diramata in giro per l'Italia con la mia vera età spiattellata sopra.
Quando riuscii finalmente a superare il fiume di gente che usciva dall'aereo erano le 8 e 20 di mattina e dentro di me pregai che quello stupido fosse ancora tramortito sul letto intento a russare e non alla polizia. Dopo aver preso velocemente il mio bagaglio a mano corsi fuori dall'aeroporto e... mi fermai, non sapevo dove andare.
Avevo vissuto solo 5 anni in quella città ma l'unico posto che ricordavo, e nel quale non sarei mai tornata, era l'orfanotrofio.
In preda ad un'improvvisa frustrazione, mi lasciai cadere alla fermata del bus fuori dall'aeroporto e iniziai a controllare quei pochi spicci che mi erano rimasti nelle tasche... a parte la moneta italiana, che lì non accettavano, mi erano rimasti solo 5€ dato che il resto lo avevo speso per il biglietto lastminute. Non bastavano neanche per una notte in un ostello...
Sentendo il panico montare feci l'unica cosa che ormai sapevo potesse aiutarmi a non perdere il controllo: poggiai il mento sulle ginocchia che tirai contro il petto ed iniziai ad osservare tutto quello che mi circondava descrivendolo nella mia mente nel modo più dettagliato possibile.
Fu mentre cercavo di dare forma ad una nuvola normalissima che lo vidi... un puntino che sbatacchiava e sbandava nel cielo. Pensai potesse essere un uccello ferito o un aereo che stava per atterrare, quindi rimasi a guardarlo curiosa ma, più si avvicinava, più non aveva la forma di nessuno dei due.
Sembrava più.... Una motocicletta?!
Era di un azzurrino scolorito e alla sua guida c'era un uomo enorme con barba e capelli brizzolati portati lunghi e ricci. Quando quell'informazione raggiunse il mio cervello dimenticai i miei esercizi contro il panico e saltai in piedi urlando a squarciagola in cerca di aiuto. La cosa più strana fu che, nonostante tutti i miei tentativi di scatenare una qualsiasi reazione, la gente intorno a me dopo una rapida occhiata al punto che indicavo non entrava per niente nel panico... anzi, mi guardava stranita.
Come se fossi io la matta!
Ero forse finita in un mondo parallelo dove le cose volanti erano all'ordine del giorno?! Un mondo in cui le persone potevano cadere dal cielo in sella a motociclette che poi atterravano tranquillamente sulla strada?!
Un attimo.... Non si è schiantato?!
Con sgomento notai che, sì, l'omone su quella moto con dei buffi occhiali non si era assolutamente spiccicato al suolo come sarebbe dovuto succedere, anzi, adesso puntava dritto alla panchina su cui ero seduta.
Quando realizzai quell'ultima cosa però era troppo tardi per scappare quindi mi limitai a restare immobile mentre l'omone scendeva dalla sua moto.
''Finalmente ti ho trovato'' esclamò con una voce possente che mi fece accapponare la pelle ''Elisabeth, Jackson giusto?''
Il mio collo rischio di spezzarsi quando alzai la testa per guardarlo in volto.
Cercava me?! Allora quell'uomo non poteva che essere della polizia... quindi lo stronzo in Italia si era svegliato e aveva dato l'allarme! Cos'altro poteva spiegare la polizia in quel momento? Ero uscita tranquillamente dall'aeroporto...
Ma... da quando le motociclette della polizia erano vecchie, rotte ma soprattutto VOLANTI?!
L'unica parola che riuscii a formulare fu un secco ''NO!'' prima di afferrare la borsa per scappare via... solo che la sua mano gigante mi si parò davanti bloccandomi la strada.
''Non scappare, non voglio farti del male '' mi disse alzando poi le mani in segno di resa ''Voglio solo parlarti''
''Chi sei?'' chiesi sempre sull'attenti, pronta a correre via al momento giusto
''Rubeus Hagrid, custode delle chiavi, guardiacaccia e professore di Cura delle Creature Magiche alla scuola di magia e stregoneria di Hogwarts.''
''Hogwarts?!'' chiesi guardandolo come se fosse matto ''E cosa diavolo sarebbe?''
''Immaginavo non sapessi nulla della nostra scuola'' sospirò sedendosi sulla panchina che emise uno scricchiolio molto preoccupante ''Non sono più abituato a questo genere di cose... Almeno sai di non essere una comune babbana, no? Sai di avere dei poteri magici?''
Mentre l'omone parlava avevo cercato una via di fuga perfetta che sfruttasse il suo essersi seduto così che non mi si parasse di nuovo d'avanti, ed ero anche pronta a partire... ma a quelle parole mi bloccai.
Come faceva, quest'uomo a me sconosciuto, a sapere che avevo dei poteri? Nessuno lo sapeva... dopo le ultime reazioni di Ralf alle mie magie mi ero ripromessa di non dirlo a nessuno...
''Non so di cosa lei stia parlando'' mentii.
''Davvero?'' ribatté lui guardandomi con i suoi occhioni che adesso sembravano sorridermi ''Non sei capace di spostare gli oggetti con il pensiero? Far apparire e scomparire cose? Non sei più una bambina, credo che tu adesso li sappia anche gestire a tuo piacimento''
Mi tornò alla mente la lampada che dalla mensola della stanza si schiantava sulla testa pelata del mio padre adottivo solo perché glielo avevo chiesto io. Da lontano e con il pensiero.
''Nessuno lo sa'' cedetti torcendomi le mani ''Come può saperlo lei che mi vede adesso per la prima volta?!''
''Dammi del tu e siediti accanto a me, così ti spiego tutto'' rispose lui senza perdere il sorriso
Il signor Hagrid iniziò a raccontarmi della magia e di questa Hogwarts e, parola dopo parola, non sapevo se credergli o scappare a gambe levate perché era fuori di testa. Fu una frase in particolare a convincermi che le sue non erano pazzie.
''Anche tua madre e tuo padre erano maghi, come te ''
''Lei conosceva mia madre e mio padre?'' esclamai sentendo la solita vecchia speranza farsi strada nel mio petto ''Com'erano fatti? Di che colore erano i capelli della mamma? E quelli di mio padre? Lui era..''
Iniziai a riempirlo di tutte le domande che per anni mi avevano assillata, una dopo l'altra.
Da tutta la vita desideravo poter incontrare qualcuno che avesse conosciuto i miei genitori così da poter avere una minima idea di loro, dato che non li avevo neanche mai visti in foto. Desideravo sapere se i miei capelli castani erano gli stessi della mamma o gli stessi di papà, se gli occhi marroni erano di entrambi o solo di uno, lo stesso per il naso a patata, la bocca con il sorriso storto, la fossetta sulle guance, l'altezza, la... magia. Volevo sapere tutto...
''Mi dispiace... non conoscevo personalmente i tuoi genitori'' mandò tutto in frantumi Hagrid dopo le mie numerose domande ''So che erano dei maghi solo perché nel tuo fascicolo c'era scritto che lo erano... ma non so altro.''
''Oh...'' mormorai sentendomi improvvisamente svuotata da quella speranza, come al solito ''...Non... non fa nulla. Cosa diceva sulla magia?''
''Dicevo che devi imparare ad usarla ed Hogwarts è la scuola giusta per te.'' mi disse tornando a sorridere come un bambino '' Anzi, dovevi iniziare già qualche anno fa... Quanti anni hai detto di avere?''
''16 a dicembre'' risposi
''Perdinci devi recuperare ben 4 anni!'' saltò su facendomi prendere un colpo
''4 anni?!'' chiesi scioccata '' Quattro anni di cosa?!''
Hagrid si alzò e vidi le lamiere della panchina ormai curve.
''Ti spiegherà tutto la nostra preside una volta raggiunta la scuola. '' esclamò piazzandosi un casco sulla testa per poi porgerne uno a me.
Guardai la moto, poi guardai lui.
Potevo fidarmi? Ok che sapeva della magia ma, avete presente quei libri in cui la protagonista scopre un altro mondo ma proprio la prima persona che incontra si rivela la cattiva della storia? Ovviamente dopo che lei si è fidata e gli ha raccontato tutti i fatti suoi...
Ecco... e se fosse lui il cattivo della storia? Se il suo unico scopo era quello di farmi del male? Ma soprattutto, domanda delle domande, quella moto ci avrebbe portati a destinazione? Non sembrava poi molto nuova...
Non mi ci volle molto per decidermi, mi bastò vedere una macchina della polizia con le sirene spiegate frenare davanti all'aeroporto e degli agenti scendere veloci iniziando a correre in tutte le direzioni.
Quella è davvero la polizia... ovunque pur di non tornare in quella casa, pensai prima di afferrare il casco e salire con Hagrid sulla moto.

Una nuova vita.. HogwartsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora