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CAPITOLO 1.
Un rumore di passi svelti seguito da qualche mormorio, ipoteticamente a pochi metri dal suo ufficio, lo costrinsero a distogliere l'attenzione dal portatile per guardare la porta chiusa dalla quale provenivano le ombre di almeno tre persone.

Come pensava, dopo un paio di secondi di silenzio, qualcuno bussò.

Alessandro sospirò, si sfilò gli occhiali per posarli sulla scrivania e si portò le mani in grembo: "Sì, entra".

La sottile figura di Noemi si fece avanti scoprendo dietro di sé altri due individui, ai quali lui non prestò attenzione, che restarono sull'uscio: "Signor Riva, sono arrivati gli stagisti. Li faccio entrare?"

"Non ce n'è bisogno, portali in sala riunioni da Pietro" gettò un'occhiata alle sue spalle, intravedendo appena la faccia corrucciata di uno dei ragazzini prima di ritornare a guardare il compute: "Io ho da fare qui".

La donna annuì e si congedò con una specie di inchino.

"Cos'è, l'Imperatore, che gli chiede ricevimento e si inchina?"

La risatina che seguì quella battuta arrivò alle orecchie del direttore come una freccia. Alzò nuovamente la testa e alzò un sopracciglio: "Scusa?"

"Beh, niente, è un' usanza strana. Tutto qui" rise ancora il ragazzo, a cui Noemi aveva inutilmente fatto cenno di silenzio.

Fu all'ora che Alessandro lo vide: dal colore abbronzato della sua pelle doveva essere il grafico spagnolo di cui Pietro gli aveva parlato qualche giorno prima a cena. Era alto e portava i capelli leggermente lunghi, che quasi gli coprivano gli occhi grigi. Aveva lo stesso ghigno di un bambino dopo aver fatto un dispetto.

"Beh, non sei stato assunto per fare considerazioni sulle nostre usanze" rispose stizzito.

"Va bene, signor Imperatore, lo terrò a mente"

"Ottimo" finse un sorriso "Ora sparisci".

"Certamente" si portò un braccio all'altezza del petto e si piegò in avanti a mo' di inchino. Si rialzò ridendo e Alessandro si morse le labbra per evitare di fare altrettanto.

Noemi mormorò delle scuse e spinse il ragazzo fuori di lì, si chiuse la porta alle spalle e Alessandro scosse la testa. Gli sarebbe presto passata la voglia di ridere, pensò.

Non fece in tempo a riprendere il suo lavoro che il cellulare prese a squillare. Sbuffò e rispose senza nemmeno guardare il mittente: "Pronto?".

"Signor Riva, sono Fiore. I bambini hanno appena terminato le lezioni, chiedono di vederla..." gli schiamazzi in sottofondo gli suggerirono che la babysitter dovesse trovarsi davvero in difficoltà.

"Sto lavorando" rispose secco.

"Papà" gridò una vocina acutissima.

"Anita" sospirò.

"Papà mi manchi" piagnucolò e lui se la immaginò con le labbra all'infuori e gli occhi spalancati.

"Anche a me, anche a me!" Disse qualcun altro con lo stesso tono che avrebbe definito lamentoso.

"Ok, ok, ridate il cellulare a Fiore adesso"

"Signor Riva?"

"Sono in ufficio. Portali pure da me"

L'arrivo dei suoi figli in ufficio fu segnalato da un intenso calpestio e da gridolini tanto acuti da far vibrare le finestre. Incredebile come due bambini di venti chili ciascuno riuscissero a fare tanto chiasso.

Dall'apertura della porta al balzo che portò i suoi figli tra le proprie braccia trascorsero pochi centesimi di secondo. E ancora meno fu il tempo che gli servì per dire addio ai suoi timpani.

"Vi ho detto mille volte di non gridare in questo modo" disse puntando l'indice davanti al naso di Nicholas. I due si zittirono e si guardarono.

"Scusa papo"

"Mh. Avete fatto i bravi a scuola oggi?"

"Sìsì" rispose la più piccola.

"La maestra ha scritto bravissimo sui miei compiti"

"Bravo il mio ometto" lo strinse più forte e gli scompigliò i capelli. Allora Anita mise il broncio intrecciando le braccia e lui gli fece la linguaccia per farla ridere: "Anche tu sei brava".

"Allora possiamo mangiare la pizza stasera?"

"Ancora?" Sgranò gli occhi "L'avete mangiata due giorni fa!"

"Sì...ma..."

"Io ne ho proprio tanta voglia..."

Alessandro alzò gli occhi al cielo. Fece scendere i bambini dalle sue gambe e annuì: "Se vi sedete e non fate rumore, ci penserò".

Li guardò mettersi a sedere sul divanetto nero all'angolo della stanza e sorrise, soddisfatto di potersi nuovamente concentrare sulla quantità di documenti da leggere e firmare per quel mese. Alle solite scocciature burocratiche si erano aggiunti i contratti dei nuovi stagisti tanto voluti da Pietro, con tutte le conseguenze che comportavano. Decisioni di quel tipo le aveva sempre lasciate a lui, limitandosi a occuparsi del lavoro d'ufficio, come smaltire le pratiche.

Non aveva nemmeno guardato i curriculum dei candidati che gli aveva inviato, dandogli completa libertà d'azione. Si fidava delle sue capacità.

Scorrendo tra i vecchi documenti da spostare nel cestino si scoprì, suo malgrado, curioso. Quindi cliccó sulla cartella "curriculum" fino ad all'ora ignorata e lesse velocemente tutti i nomi fino ad arrivare a quello che gli sembrava il più spagnolo. Adrian Saez.

La foto che si aprì sullo schermo gli confermò di aver scelto bene. Gli occhi luminosi della miniatura corrispondevano a quelli dello stagista indisponente scelto da Pietro.

Adrian Saez. Spagna. Ventidue anni. Diplomato in grafica. Parla tre lingue.

Annuì tra sè e sè mentre leggeva.

Ha lavorato come grafico presso la casa editrice Sueños per tre anni. Esperienza montaggio video per la Rubio Agency.

Aggrottò la fronte nel leggere il nome di quell'agenzia che, pur credendo di non aver mai sentito, gli era stranamente familiare.

Inserì il nome nella barra di ricerca di Google e divenne paonazzo quando la pagina finì di caricarsi. Poi scoppiò a ridere.

"Perché ridi, papo?" Chiese incuriosita Anita. Entrambi i bambini lo guardavano con le testoline piegate su un lato e un cipiglio incuriosito in volto.

"No, niente, amore" chiuse la pagina e si premurò di cancellare la cronologia: fosse mai che qualcuno potesse pensare si intrattenesse durante l'orario di lavoro "Allora, come la prendiamo questa pizza?"

NATALE IN UFFICIODove le storie prendono vita. Scoprilo ora