Me lo meritavo?

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Stavo correndo in un tunnel. Cercavo di correre il più veloce possibile. Era buio, non riuscivo a distinguere niente. Ma continuavo a correre, nonostante le gambe non riuscivano più a reggermi in piedi. Continuavo a correre, finché due mani non mi costrinsero a fermarmi e a girarmi dall'altra parte. Due lampioni verdi. "Lou, stai correndo dalla parte sbagliata".

Solo in quel momento mi accorsi che avevo corso tutto il tempo per allontanarmi dalla via di uscita, dalla luce.

"Lou, vieni con me".

Ma io continuai per la mia strada, osservandolo sparire dietro di me.

Non ero ancora pronto per la luce.

Aprii gli occhi ritrovandomi seduto nel mio letto. Il sudore scendeva lentamente sul viso ed ero di nuovo in mezzo al buio, questa volta della mia stanza.

Dannazione. Ho sognato Harry tutto il tempo. I suoi occhi dovevano tormentarmi anche nei sogni.

Oppure tentavano di salvarmi.

Erano le tre del pomeriggio. Quella mattina appena ero tornato mi ero fatto una canna ed ero crollato. Avevo bisogno di prendere sonno subito, per non pensare a come avevo lasciato Harry e Niall al bar. Avevo bisogno di non tormentarmi più del dovuto.

Mi aveva preso alla sprovvista, con quel contatto. Non tanto le nostre mani, ma l'incrocio di gambe mi aveva totalmente destabilizzato. Era troppo intimo. Le nostre gambe sono sembrate combaciare perfettamente, nonostante le sue fossero chilometriche.

Mi alzai velocemente dal letto. Una doccia mi avrebbe tranquillizzato. Alzarmi con Harry tra i miei pensieri non è stata una brillante idea...

Mi infilai sotto al getto dell'acqua e i pensieri cominciano a scorrere con essa.

Non ero pronto a quello che stava accadendo con Harry. Era ancora troppo presto. Erano passati sei mesi dall'ultima volta che avevo visto Stan, da quando lui è uscito dalla porta di questa casa per non rientrare più. Mi aveva deluso, tradito e umiliato. Era riuscito a farmi abbattere le mie barriere costruite con sudore durante gli anni, per poi lasciarmi vuoto, logorato dentro e senza appoggi.

Ma soprattutto era riuscito a lasciarmi dentro sensi di colpa di cui non concepivo la provenienza.

Per lui ho affrontato mia madre, dicendole tutta verità. Le dissi che non ero il figlio che lei aveva cresciuto, che avevo trovato una persona e che era un uomo. Non potevo mentirle. Non riguardo a Stan. Non quando Mark se ne era accorto anni prima.

Non è stata una notizia che lei si aspettava. Ricordo ancora perfettamente la sua faccia che da stupita, schifata si trasforma in arrabbiata.

Perché ha capito che gliel'ho nascosto per tutto questo tempo.

Perché ha capito che Mark ne era a conoscenza prima di lei.

Perché ha capito che non ero più il suo bambino.

Non ha mai voluto incontrare Stan, né tanto meno ha mai voluto venire da me. Da noi. Non voleva venire a cena da due froci.

Ci ha definiti così.

Con il tempo aveva cominciato ad accettare me, ma non Stan. Con lui era durata più di tre anni, prima che scoprissi chi era.

Se ne era andato e io lo stavo dimenticando. Con il tempo stavo cercando di guarire le mie ferite. All'inizio le avevo solo anestetizzate, ma dovevo guarirle. Per me stesso. Per andare avanti. Per farmi una vita. Per dimenticare Stan.

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