Capitolo 23

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Rylee

La domenica di quella settimana mi recai al luna park. Ava, come mi aveva accennato la sera del drive-in, aveva avuto l'idea di uscire con me e prendersi un paio di ore libere dal lavoro, lasciando lo stand nelle mani di suo fratello. Vista la mia situazione con Lewis, il primo intento della mia amica fu quello di distrarmi, tra una passeggiata e un paio di chiacchiere. Non avrei potuto sentirmi più grata di così, con quell'angelo al mio fianco, accorso sotto forma di una ragazza fin troppo altruista.

L'Elm Park non era affollato come soleva essere durante il resto dell'estate. Nel pieno di luglio, parte degli abitanti di Worcester partiva per le vacanze verso mete marittime, sulla costa orientale degli Stati Uniti, ma il resto di loro scorreva per le stradine sterrate del parco come un fiume in piena.

Il mio comportamento, però, era marchiato dalle stranezze. Io che amavo le battute e ripudiavo i silenzi, mi stavo rinchiudendo in uno di questi ultimi ed ero imprigionata nelle celle dei miei pensieri. C'erano troppe questioni che volevo comprendere e altre che volevo sistemare, ma la mia impotenza simboleggiava un grande ostacolo per il compimento di tale impresa.

I miei occhi contemplavano le luci colorate del parco, io mi lasciavo inebriare dall'odore di frittura che proveniva dalle bancarelle del cibo. La musica era sempre assordante, ma si disperdeva nell'ampia distesa verde, sovrastata dalle grida dei più temerari che affrontavano le salite, le discese e le torsioni dei binari della montagna russa a pochi metri da noi.

«Non potrai evitarmi per tutta la sera, Lee» mi risvegliò Ava. Confusa, scossi il capo per riacquistare lucidità.

«Dicevi?»

«Ti vedo stanca» confessò. «Stai bene?»

«Più o meno», risi nel tentativo di sdrammatizzare, arrendendomi alla sua volontà di fornirmi un ausilio. «Diciamo che i problemi sono più di uno».

«Oh, giusto» ridacchiò anche lei. «Due uomini, due questioni diverse».

Calciai una pietra capitata davanti al mio piede, concentrandomi sui sassolini che si dispersero al suo fianco. Dal terreno si innalzò un sottile pulviscolo. Concentrarmi sulla stradina sterrata era una fuga che, però, si rivelò priva di successo.

Ava era estremamente intuitiva. Capace di captare anche la più impercettibile sfumatura che cambiava un'espressione facciale o un discorso, lei s'infiltrava nei meandri delle menti altrui e le sondava come territori inesplorati, ma di cui coglieva ogni particolare. Non mi sorprese, infatti, che Lewis e Blake fossero diventati nell'immediato gli oggetti della sua curiosità.

«Con Lewis posso parlarne, di solito mi ascolta». Affiancata dalla consapevolezza di aver dato voce a una fandonia, deglutii il nodo di insicurezza che si formò nella mia gola. «Rimane tuo fratello».

Lei sospirò. Camminando accanto a me, guardò in tutte le direzioni per evitare di focalizzarsi sulla mia figura. I suoi occhi verdi viaggiavano di stand in stand, di attrazione in attrazione, e io non potei far altro che emulare i suoi movimenti.

Nel mio inconscio stava fiorendo una lieve infatuazione per Blake. Era un'ovvietà, tanto innegabile quanto inaspettata. I suoi modi portavano il peso della colpevolezza di avermi colpita in pieno, affondando ogni mia intenzione di non desiderare una persona che non fosse l'uomo della mia vita, il padre del figlio che avevo scelto di non dare alla luce, con il fine di non accudirlo nella sola compagnia della sua assenza.

Forse, l'unico modo di spiegare i miei dubbi e i miei timori ad Ava era di anticiparli con un racconto della loro origine. Odiavo la sola idea di abbattere i miei muri e cedere alla vulnerabilità, ma a chi potevo parlarne, se non alla sorella del diretto interessato?

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