Capitolo 44

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Premessa:
In questo capitolo troverete la continuazione della lettera di Dom che Rylee ha ritrovato nel capitolo 34. Se non ve la ricordate e volete recuperare il filo del discorso, vi consiglio di rileggerla.
Buona lettura!

***

Rylee

Quella notte dormii uno scarso paio d'ore. Ero tormentata dal desiderio di andare a New York, di tornare a casa. Più ci pensavo, più accresceva l'impulso di uscire dall'appartamento e rinchiudermi nella mia auto.

Fu ciò che feci. Ubbidii alla parte di me più istintiva e, quando le prime luci dell'alba illuminarono Worcester, io salii a bordo della vettura senza guardarmi indietro. Avevo lasciato un misero bigliettino a Lewis per informarlo del motivo della mia assenza ‒ anche se non ne era ignaro ‒, e mi ero chiusa la porta alle spalle senza rimorsi né rimpianti.

Come avevo comunicato qualche ora prima al mio amico, dentro di me covavo la necessità di fuggire da quel clima pregno di problemi e di rintanarmi in un'atmosfera famigliare. Volevo sentire la vicinanza di persone che non vedevo da anni. Prima tra tutte, la madre di Dom.

Conoscevo a memoria la strada che mi conduceva alla Grande Mela. Sotto il calore imminente della giornata finalmente soleggiata, percorsi le solite quattro ore che collegavano Worcester al distretto di Brooklyn. Immettersi nelle strade di New York soleva essere arduo, complice il traffico, ma d'estate la situazione era più calma. I cittadini partivano, e i turisti preferivano di gran lunga la costa. Le strade dove abitavo erano deserte.

La famiglia Morgan, a differenza mia, non aveva mai vissuto a Brownsville. Dom vi si recava solo per me, per far sì che io non corressi rischi dopo il turno lavorativo della sera. In quel quartiere aveva addirittura comprato un appartamento dai muri ammuffiti e dai soffitti decadenti, bisognoso di una ristrutturazione, con il solo obiettivo di condividerlo con me una volta sistemato. Avevamo trascorso qualche notte lì, nella solitudine che ci univa ancora di più, dopo aver passato i giorni liberi a ridipingere le pareti. Dormivamo su un materasso spiaggiato sul pavimento, ma andava bene.

Quella doveva essere casa nostra.

I suoi genitori, tuttavia, erano rimasti nel quartiere limitrofo di East Flatbush, legati alla loro casetta che si ergeva nella zona residenziale di Remsen Village. Era un posto tranquillo, a differenza del complesso dove abitavo io, ed erano innumerevoli i pomeriggi che avevo trascorso lì. Imboccando l'ottantottesima, infatti, i ricordi riaffiorarono.

Rallentai, risalendo quella strada, e mi persi a osservare le abitazioni che mi circondavano. Erano tutte costruite su due piani, con i mattoni rossi a vista che emanavano un'aria accogliente e famigliare. La carreggiata era costeggiata da alberi rigogliosi, le cui chiome si stagliavano libere sullo sfondo blu del cielo, e si sposavano perfettamente con la natura che adornava i piccoli giardini delle case.

Anche se erano tutte uguali, riconobbi seduta stante la residenza dei Morgan. Un dettaglio la contraddistingueva: nel cortiletto avevano una sedia a dondolo, di un giallo che spiccava da lontano. Il parcheggio dinanzi all'abitazione era libero, quindi lo imboccai e raddrizzai il veicolo nel miglior modo possibile.

Quella casa era portatrice di rimembranze dolorose. Più la guardavo, e più i pezzi in cui il mio cuore era sgretolato si sbriciolavano, fino ad annullarsi del tutto. Rammentai le notti trascorse con Dom sul dondolo, a cercare di individuare le stelle poco visibili, vista l'eccessiva luce della città; ricordai i pranzi e le cene trascorsi con la sua famiglia, che mi aveva accolta a braccia aperte nel calore del loro legame. Mi avevano inclusa, e a me sembrava troppo bello da credere.

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