La pazzia, sa, è il mio lavoro

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Passai buona parte della giornata ad indagare sebbene fossi scosso nel profondo e dopo infinite ricerche trovai un uomo che affermava di conoscere la prima vittima. Aveva voluto incontrarmi al bar nonostante io l'avessi messo in guardia della particolarità del caso, ma lui insisteva e quindi, pur di risolvere il caso per guadagnare qualcosa in più, accettai. Arrivai al bar di pomeriggio, era dietro casa mia quindi andai a piedi, quando entrai vidi diverse persone nonostante fosse pomeriggio, c'era un uomo addormentato su un tavolo, qualcuno al bancone e una ragazza con una tazza in un tavolo a lato del locale. Quando entrai un uomo mi gridò contro.

– È lei il detective?

– Sì sono io risposi, potrebbe non gridarlo a tutti, grazie.- Dissi con uno sguardo ironico –Senta, facciamo rapidamente. Lei conosceva quest'uomo?- Dissi mostrandogli un'immagine della prima vittima.

– Si lo conoscevo- rispose in modo freddo.

– Bene, mi parli un po' di lui.- A questo punto il testimone parlò della vittima molto dettagliatamente.

– Si chiamava Manfred, è stato mio amico per una vita, abbiamo combattuto la guerra insieme, siamo sempre stati in contatto, ma negli ultimi tempi abbiamo perso un po' i contatti siccome lui lavorava molto fuori città, ci vedevamo sempre meno e poi abbiamo iniziato a non sentirci praticamente più.

– E da quanto tempo non lo vedeva il suo amico?

– Circa sei mesi.- rispose con tono abbattuto.

– C'è qualcosa che non va signore.

– No no.- rispose.

– Beh, mi dispiace informarla che è stato presumibilmente ucciso in un raptus di rabbia di una persona che si è suicidata poco dopo; lo sa, di pazzi ce ne sono in giro, ma come questo non ne avevo mai visti. Senta, se ne volesse parlare un'altra volta ecco il mio biglietto. Lo so che è difficile da accettare, ma la vita è così.- risposi vedendolo evidentemente turbato.

Rispose grazie, si alzò e se ne andò di fretta come se avesse un altro impegno urgente. Ordinai un caffè, ma poi di scatto mi alzai e mi diressi ad un tavolo vicino, con passo sostenuto, nella mia mente vedevo solo il tavolo a cui mi stavo dirigendo, allontanai la sedia e mi sedetti.

– Perché stavi origliando?

Parlavo ad una donna, ma non una qualsiasi; colei che tutti i giorni viene qui a trovarmi, colei che ancora adesso, che non mette in dubbio ciò che dico.

– Perché...stavi...origliando?

– Ho sentito qualche vostro discorso- disse lei -Parlavate di pazzia, sa, è il mio lavoro.

– E quale sarebbe il tuo lavoro?

– Lavoro per la polizia come psicologa.

– Se ti interessa tanto io sono un detective e, siccome lavori per la polizia, avrai sentito del caso di stamattina.

– Di sfuggita.

– Ne sa qualcosa per caso? Dei recenti sviluppi non ho sentito.

– L'unica cosa che sò riguarda l'assassino; mi è stato detto dai miei colleghi che era un mio paziente, ovviamente non potevano non aggiungere nulla su quanto io sia stata una brava psicologa.- disse in tono ironico.

– Ascolta, sono consapevole dell'esistenza del segreto professionale, ma qui parliamo di un assassino, sai dirmi qualcosa a riguardo.

– Bè, se la polizia scoprisse che ho violato il segreto professionale mi licenzierebbe, ma sinceramente sarebbe una buona scusa per andarmene siccome odio quel posto tanto quanto loro odiano me. Ma ti chiedo solo un favore, devi provarmi che non sei come loro. Ho bisogno di avere una prova per fidarmi di te.

– E perché dovrei fare una cosa del genere per accontentarti?

– Perché senza il mio aiuto avresti un bel vicolo cieco su cui lavorare. Io ho una pista, e a meno che tu non la voglia sprecare così la tua unica chance di capire cosa sia successo devi farlo.

– Cosa dovrei fare?

– Rispondere ad una sola domanda. Fin dove ti spingeresti per la risoluzione di questo caso?

– Oltre i confini del mondo.- Risposi con una certa titubanza che però nascosi.

– Ottimo, ora abbiamo bisogno di un posto più appartato, non sono ciance da bar quelle che sto per riferirti.

Decidemmo di andare a casa mia siccome lei aveva due coinquiline. Usciti dal bar ci avviammo e arrivati a casa mia la feci accomodare alla sedia davanti alla mia scrivania. Parlai prima io.

–Bene, ora siamo al sicuro dai ficcanaso, vero ficcanaso?- dissi con un accento scherzoso. Mi resi conto di non conoscere il suo nome. -A proposito ficcanaso, come ti chiami?

– Veronica. Tu?

– Ean, piacere.

– Piacere.

– Bene, tralasciando i convenevoli, illuminami con la tua conoscenza.

– Tu prima parlavi della vittima, non ho sentito molto, sai dirmi altro?

– Si chiamava Charles ed era amico del testimone con cui ho parlato prima, ma non si sentivano molto in questo ultimo periodo. Questo è tutto ciò che so.

– Invece dell'assassino?

– Era molto spaventato e mi ignorava completamente e che... si è ucciso. Non ricordo altro.- dissi guardando un punto fisso con aria spaventata.

– Era più instabile di quello che credessi.- disse Veronica con aria pensosa.

– Cosa intendi?

– Ricordi? Era un mio paziente e aveva diversi disturbi psicologici; probabilmente avanzati, se è arrivato a tanto.

– E con ciò? Questo a cosa ci porta?- Dissi impazientemente

– Questo a nulla, ma c'è stato un altro mio paziente che coincide con la descrizione comportamentale che mi hai fatto.

– E allora?! Sai quanti pazzi ci sono nel Mondo, non sarebbe la prima volta che due hanno comportamenti simili!- Esclamai impazientemente.

– Hai ragione, ma sono tutti e due avvenuti recentemente e sono arrivati entrambi a episodi di paura estrema e isolamento.

– Bene quindi ci dobbiamo basare sulle supposizioni che stai facendo in questo momento? Supposizioni costruite su dei "forse"?

– Hai qualcosa da ridire? Senza queste informazioni tu saresti al punto di partenza, ma sorvolerò.- Disse tirando un sospiro. –Ti dò solo un consiglio, cioè di fidarti di me, perché sono la tua unica speranza. Questo mio ex-paziente è recluso in un manicomio non troppo distante da qui. Se domani vorrai andarci con me mi troverai davanti al bar alle 15:00, altrimenti puoi anche arrangiarti.- Disse con una piccola scarica di rabbia seguita da una ritrovata calma.

Mi aveva fulminato con queste parole, aveva ragione, non avevo potuto dire altro e siccome si era fatto tardi la invitai a tornare a casa, ma non volle alcun tipo di passaggio. Quando uscì nella mia testa ronzavano molti pensieri, non sapevo cosa fare. Presentarmi e seguire questa pista o rassegnarmi. Mi preparai un tè caldo e iniziai a rilassarmi leggendo un libro. Cercavo di levarmi dalla testa quelle immagini che avevo visto oggi che rimbombavano nella mia testa come tuoni, non sapevo come calmarmi. Uscii di casa per fare una passeggiata per schiarirmi le idee, feci il giro intorno all'isolato, erano circa le 11:30. L'asfalto era pregno dell'umidità autunnale che bagnava gli alberi, un'atmosfera cupa, illuminata solo dalle luci fioche dei lampioni, mi circondava e mi rasserenava. Avevo percorso metà della strada quando un gelido brivido corse lungo la mia schiena fulmineo. Intravedevo casa mia nell'oscurità e mi stavo avvicinando a passo leggero e calmo quando...una voce...una voce puerile distrusse il silenzio che mi circondava. Una risata echeggiò nella mia testa, come se non provenisse dall'esterno ma dall'interno, una risata acuta e con un tono di malignità. Smontò la pace che si era creata tra i miei pensieri, entrai in casa e chiusi frettolosamente la porta, ero molto spaventato. Ci misi ore a prendere sonno, ma alla fine riuscii a dormire almeno qualche ora.

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