Il giorno dopo mi svegliai con una fatica aberrante, sentivo gli occhi chiudersi autonomamente, i miei pensieri non erano chiari. Bevvi un caffè e iniziai a pensare. Scavai a fondo dentro di me. – Andrò.- pensai. Uscii di casa e mi diressi al lavoro. Alle 15:00 arrivai al bar. Non c'era nessuno all'esterno, così entrai e non la vidi da nessuna parte. Dentro di me credevo che si fosse ravveduta, non poteva veramente basarsi su così poco; invece la scorsi attraverso le finestre, con uno sguardo di ghiaccio sul viso mi cercò all'esterno, così uscii.
–Vedo che hai capito.- disse. -Ora andiamo, non c'è tempo da perdere.
Non dissi una parola riguardo a ciò, però le chiesi:
– Dove andiamo?
– Si parla di un pazzo, quale posto migliore di un manicomio? Prendi la macchina ti guido io.
Prendemmo la macchina e Veronica mi condusse verso il manicomio. Arrivati entrammo nella struttura. È candida, bianca come la più soffice delle nevi, l'unico aspetto che rompe questa omogeneità è una leggera striscia color cobalto pastello che percorre il perimetro dei muri interni. Una gentile signora anziana ci accolse con i modi più educati che abbia mai sentito; tutt'ora vedo questa signora frequentemente, mi porta spesso dei nuovi fogli. Le parlammo e ci indicò la stanza di questo ex-paziente, una stanza che anche oggi non riesco a togliermi dalla testa, che naviga nella mia mente come una nave senza meta, ogni giorno la vedo sempre meglio. Arrivammo davanti all'ex-paziente: Philip Bell.
– Signor Bell dico bene?- dissi interrompendo la sua concentrazione.
– Si s-sono io.- rispose
– Sono l'investigatore Fitzgerald.
– E c-c-cosa ci fa qui da me?
– Sono qui per farle qualche domanda, tranquillo, niente di particolare.
A questo punto Veronica si fece avanti e disse con aria innocente e gentile:
– Salve signor Bell, si ricorda di me?
– S-sì dottoressa, è un piacere vederla.
– Bene senta sarò diretto, lei sa qualcosa riguardo a quest'uomo?- dissi mostrandogli una foto dell'assassino mettendo da parte Veronica.
– N-no
– È bene che la informi che si è ucciso.
– Oddio, m-mi spiace per lui.
– Ma non sono qui per parlare di questo, bensì...- Venni interrotto da Veronica, che mi fece cenno di andarci più piano, e così feci, dopotutto la psicologa è lei.
– Mi ascolti, la voglio rassicurare lei non c'entra nulla con l'uomo in sé, ma su quello che quest'uomo mi ha detto.
– N-non capisco.
– Poco prima di uccidersi quest'uomo parlava di una presenza misteriosa, una sottospecie di essere. Lei per caso ne sa qualcosa in più di me?
Philip a questo punto cominciò ad agitarsi e non rispose alla mia domanda.
A questo punto Veronica si mise in prima linea -Signor Bell mi dispiace per l'irruenza del mio collega.- disse tirandomi un'occhiataccia -vuole solo sapere questo e poi la lasceremo in pace.
– L'uomo- disse Philip con aria terrorizzata -l'ha trovato.
– Cos'ha trovato?- chiesi
– Ha trovato ciò che ho cercato per anni. Ciò per cui ho speso anni e anni della mia vita.
Quando pronunciò quelle esatte parole nella mia testa si creò un collegamento e dissi:
– Lei è Philip Bell; l'investigatore Philip Bell. Colui che scomparve ad un passo dal completamento delle sue presunte ricerche, le quali lo avrebbero portato a scoprire l'ignoto.
– Sono proprio io.- disse con tono sicuro a differenza di prima. -Volete sapere cosa ho cercato per anni?
– Sì signor Bell.
– Ciò che ho cercato è qualcosa di ben distante dall'immaginazione umana. Ero sulle tracce di un essere...
– E?- Fu in questo momento che la situazione iniziò a degenerare in modo terribile.
– Cos'altro ha scoperto signor Bell?- Philip iniziò a tremare, i suoi occhi celesti si iniettarono di terrore.
– No...NO!- iniziò a gridare con voce soffocata, come se non avesse fiato per parlare, iniziò a borbottare parole incomprensibili e si agitava di più ogni secondo che passava. – Signor Bell si calmi, non c'è nessun problema, faccia dei respiri profondi e mantenga la calma.- disse Veronica invano.
La sua calma era svanita e la stanza era permeata da un'aria che faceva rabbrividire le ossa. Dopo qualche interminabile secondo di questa scarica di incontrollabilità Philip riprese la calma, nonostante avesse inciso sul volto un sorriso preoccupato.
Si avvicinò al muro e iniziò.
Il muro percepiva il dolore che provava Philip, si crepò, la gioia con cui mise in atto questo gesto mi è rimasta in testa come un'immagine limpida e chiara. La sua consapevolezza che da quel momento non avrebbe più avuto un cranio con cui pensare era inebriante. Si leggeva nei suoi occhi il desiderio di libertà che veniva amplificato ad ogni colpo che gli apriva sempre più violentemente la testa. Veronica era dietro di me; si coprì gli occhi, come biasimarla, non so nemmeno come feci io ad assistere ad uno spettacolo del genere senza emettere un verso. Quando l'ultimo colpo venne incassato dal muro le membra stanche e purificate di Philip si accasciarono a terra con un ultimo gemito misto tra il dolore e la felicità. Chiusi gli occhi nell'aria gelata che mi circondava e mi concentrai solo sui suoni per distogliere l'attenzione da ciò a cui avevo appena assistito. Udivo le guardie in panico per l'avvenuto, udivo il mio cuore battere come una grancassa a tempo con il timpano di Veronica, la quale si strinse a me, udivo le mie articolazioni scricchiolare per la tensione generatasi, udivo i respiri affannosi dei presenti e infine udii quella risata, ancora una volta, risuonava nella mia mente ancora...e ancora...e ancora. Aprii gli occhi e vidi una figura oscura con la coda dell'occhio, ma, al tempo, credetti che fosse un'allucinazione data dall'ansia del momento. Presi Veronica violentemente e mi diressi all'esterno non sapendo nemmeno dove andare, so solo che dopo pochi istanti ero fuori al tepore di un Sole settembrino delle 17:00 del pomeriggio.
La tensione era palpabile, Veronica era a terra in ginocchio con le lacrime agli occhi. Io mi stavo riprendendo dalla scarica di adrenalina che mi aveva permesso di fuggire da quell'incubo sceso in terra. Veronica non emesse un gemito, ma poi un pianto viscerale invase la calma ritrovata all'esterno, piangeva dal profondo di quell'animo turbato a cui era legata. Mi avvicinai, mi chinai, e chiudendo gli occhi le diedi un abbraccio nel tentativo di calmarla, non sapevo cos'altro fare, potevo solamente trasmetterle il mio calore tramite questo gesto, siccome la mia gola era ancora occupata dal cuore che era risalito poco prima. Mi misi a piangere anche io. Poco dopo le asciugai le lacrime e accennando minime parole di conforto la accompagnai a casa senza emettere un suono durante il viaggio; infatti durante questo, oltre al rombo del motore, percepivo solamente i nostri respiri ancora affannosi.
Interruppi quel silenzio solenne:
– Dove si trova casa tua? Ti lascio lì, cosicché tu possa riposare.
– Accanto alla tua- disse con voce fioca.
– Bene- e qui cadde nuovamente il silenzio che colmava poco prima.
La lasciai davanti a casa sua e nel momento in cui stavo per ripartire la sua voce mi interruppe dicendo:
– Non è colpa tua- e senza dire altro entrò in casa.
Arrivai a casa, parcheggiai ed entrai finalmente nella mia tana di pace. Mi stesi sul letto a riflettere, ma prima di poter fare altro il sonno prese il sopravvento e mi addormentai.
Ho dei ricordi confusi dell'incubo che feci quel pomeriggio durante il sonno; ricordo l'ansia, la paura e le immagini risonanti nella mia testa di ciò che era accaduto poco prima. Ricordo l'immagine poco chiara di Veronica che piangeva, non aveva un volto, ma le lacrime che piangeva erano le più spaventate che avessi mai visto. Sentii che questo incubo non sarebbe mai finito, tutto ciò che mi era capitato recentemente turbinava intorno a me confusamente.
E poi mi svegliai.
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Il Divoratore
Mystery / ThrillerUn investigatore privato a New York dovrà fronteggiare un Essere inumano con tutte le sue forze, aprendo un vaso di Pandora.