Cardigan (Sherlock)

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Note: non so quanti di voi siano familiari con Taylor Swift e il triangolo amoroso che si cela dietro il suo album "Folklore". Comunque, tre delle canzoni dell'album (in realtà un po' tutte ma queste tre sono proprio principali) descrivono un ipotetico triangolo amoroso tra tre persone: Betty, Augustine e James. Tutti e tre, attraverso la voce di Taylor, descrivono un punto di vista di un'estate. Io ripropongo semplicemente questo triangolo, cambiando Betty con Sherlock, Augustine con Mary e James con John. I titoli dei tre capitoli sono le tre canzoni: Caridigan è di Betty, August è di Augustine, Betty è di James (strano ma è così). Buona lettura!


Cardigan (Sherlock)


Ho sognato di uccidermi. Non di morire, che è radicalmente diverso, ma di vedere me stesso e, attraverso le mie mani, strangolarmi. È stato chiaro, lampante, che avessi intenzione di distruggere quella parte di me che ha ceduto ai sentimenti. Mycroft mi aveva avvertito, me lo aveva detto, ma io sono testardo e ho fatto finta di non vedere quando in realtà non perdevo neanche una mossa. È una strategia degli scacchi, fingersi distratti, farsi sottovalutare dal tuo avversario in modo da prenderlo in contropiede: nonostante ciò, mi ha fatto scacco matto. Mi ha preso in contropiede, messo le spalle al muro, e dopo mi ha lasciato con le briciole. Faccio lo sveglio, l'intelligente, che di buono ha solo il cervello, nascondendo la mia anima, costringendola in un baule dietro le mie sinapsi, perché devo evitare di farle male. Ma niente è servito a proteggermi da lui, dal suo sorriso, dalle sue mani, dai suoi sentimenti. Ho lasciato che le emozioni mi travolgessero come onde, ed ora sono all'asciutto. Incastrato, come un pesce, nella sua rete di parole, menzogne, scuse. E la cosa peggiore è che non riesco a liberarmi: sono bloccato nel mio amore che provo per lui e ho paura di non riuscire a vivere senza.

Quando l'ho conosciuto i suoi capelli erano talmente biondi da sembrare bianchi, la sua pelle era rosea e piena di brufoli, le sue braccia e il suo corpo magre come se non mangiasse niente. Avevamo quattordici anni ma, mentre lui doveva ancora svilupparsi, io avevo già perso quell'aura bambinesca per lasciare spazio a una fisicità più rigida e robusta, una voce bassa, un carattere più duro. Scherzavo con lui, dicendogli di non essere mai stato un bambino, e mi rispondeva che era impossibile. Mi innervosivano le sue risposte ovvie, i suoi comportamenti infantili, e allo stesso tempo mi lusingavano i suoi complimenti e lo scarto cognitivo tra me e lui anche se, dovevo ammetterlo, non era affatto stupido. È stato il primo amico, per me, e per molto tempo anche l'unico. Il liceo era un inferno sulla terra, un posto in cui tutti i peccati sono ammissibili, perché giustificati dal nostro essere adolescenti. John era il mio Virgilio, la mia guida per la sopravvivenza: senza di lui mi sarei dato alla cocaina molto tempo prima. L'unica classe che condividevamo era chimica, e lui si metteva sempre vicino a me per farsi spiegare le cose. Disprezzavo la sua ignoranza ma mi piaceva essere il suo insegnante; mal sopportavo le sue domande stupide ma adoravo rispondergli; odiavo tutti ma...

Amore. Una parola che non avevo mai incrociato in tutta la mia vita ma che, da quando l'ho incontrato, non mi ha mai più lasciato solo.

John era mio amico, prima di tutto. Forse quello che fa più male è l'aver perso quella parte di lui e poi tutto il resto. Ed era un amico fantastico: mi ha insegnato come essere un essere umano; mi ha fatto ridere, mi ha fatto arrabbiare, mi ha fatto provare emozioni assurde, che non pensavo esistessero; ha reso pregi quelli che gli altri consideravano difetti. Grazie a lui sono sopravvissuto al primo anno di liceo.

Grazie a lui sono sopravvissuto. Anche dopo l'estate, quando l'ho visto per la prima volta nei corridoi, e la pubertà aveva colpito anche lui: spalle grandi, capelli più scuri, mascella dura e spigolosa. E la voce, dov'era finita la sua voce da bambino? Nascosta da qualche parte sotto quel sottile strato di muscoli che aveva sviluppato con l'allenamento. Era lui, certo che era lui, ma allo stesso tempo no. Comunque il suo cambiamento non ha cambiato noi, ma come gli altri lo guardavano. Tutti, le ragazze per farsi notare, i ragazzi per invidia: io lo guardavo perché era John, e non avevo bisogno di altra spiegazione.

Eravamo io e lui, Sherlock-e-John, indivisibili. E così per tutto il liceo. John cambiava partner periodicamente ogni due-tre mesi; io lo guardavo fallire nel cercare qualcuna adatta a lui. Dal mio piccolo provavo di dirgli che stava cercando la cosa sbagliata, ma avevo paura. Paura di dire qualcosa di fuori posto, di espormi troppo, di fare qualcosa che lo avrebbe allontanato da me. Non sapevo tante cose, quando ero piccolo: non sapevo il sistema solare, chi fosse il re d'Inghilterra, e soprattutto non sapevo di poter amare un uomo senza essere definito un mostro. Non sapevo che i miei sentimenti per lui potessero sforare l'amicizia senza che fosse peccato; non sapevo che anche lui stava cominciando a provare lo stesso.

Tanto quanto non sapevo niente di questo, conosco tutto di lui. John, il mio Virgilio, che ama viaggiare, gli animali e la medicina, ma odia le vespe; vorrebbe fare il dottore e il soldato, guarire e ammazzare; è fissato con i suoi capelli e se ne prende cura maniacalmente. John che bacia con la testa inclinata a sinistra, abbracciando la ragazza di turno per tenerla più vicina a lui, passandole una mano tra i capelli e accarezzandole le guance. John che ama i cartoni animati e i fumetti, ma anche le poesie di Keats e le melodie che gli suono al violino.
Dicono che quando si è giovani non si sappia niente, ma io, John, lo conosco. I suoi modi di fare, le sue battute sconce, la sua risata vera e quella finta. Conosco i suoi pensieri, i suoi movimenti, i suoi sorrisi e i suoi pianti. L'unica cosa che non conoscevo, allora, erano i suoi occhi quando io non li guardavo.

Ogni sfumatura era un pezzo della sua anima, ma al mio puzzle mancava un tassello.

Amore. Qualcosa che stavo imparando ad accettare di me: amore per un uomo, amore per John, amare e non essere ricambiati, amare e tenerlo per sé stessi. È davvero amore quando nessuno lo sa? Esiste?
Io queste domande me le facevo, mentre il mio palazzo cadeva in rovina e la mia mente crollava su sé stessa. Io quelle domande le avevo marchiate a sangue e non davano segno di cedimento.

Tutti intorno a noi lo avevano notato, tutti, tranne noi. A posteriori vorrei non aver mai saputo, avrei voluto evitarmi l'immenso dolore che provo adesso, ma allo stesso tempo mi rendo conto che così facendo non avrei mai conosciuto il modo in cui baciava me, il modo in cui amava me.

Tra i due, il primo che se ne è accorto sono stato io, non perché sia più intelligente, ma perché lo osservavo sperando di trovare segnali del suo sentimento ricambiato. All'inizio non ve ne erano, i suoi atteggiamenti erano amichevoli, scherzosi, ma sempre distaccati. Qualcosa è cambiato quando, ridendo a una mia battuta, mi ha stretto il braccio: da quel momento gli episodi si sono intensificati, giorno dopo giorno, esponenzialmente, fino a che non vi erano più dubbi. Dagli occhi, ai polsi, al respiro, tutto di John mi diceva che non erano solo mie fantasie, che anche lui provava quello che provavo io. La certezza di questo, però, mi aveva reso ancora più schivo, perché la paura di non essere ricambiato è stata sostituita da una peggiore: quella di non essere abbastanza. È stata una sensazione tremenda quella che ha preceduto il miglior periodo della mia vita: John sembrava non vedere, sembrava che non riuscisse a capire quanto grande fosse il mio amore per lui. Allo stesso tempo avevo paura mi notasse, perché sapevo di non poter soddisfare le sue aspettative, soprattutto dopo aver visto il modo in cui si comportava con le sue ragazze. Io non avrei mai potuto essere come loro, non sarei mai riuscito ad essere come loro. Ho iniziato così a sperare che quei sentimenti sparissero, e se li avessi ignorati forse ci sarei riuscito. Ho già detto, che sono state le settimane peggiori che abbia vissuto prima di adesso, perché cercavo di stare il più lontano da lui quando lui voleva stare più vicino a me. Volevo che mi lasciasse in pace ma lo volevo vicino a me. E alla fine lui si è stufato.

Forse dovrei essere triste, ripensando adesso a quel giorno, e per la maggiore lo sono. Ma il ricordo mi avvolge ancora come una coperta di pile, confortandomi in qualche modo, perché è la prova tangente che io ho amato, che io amo tuttora.

Se il dolore è il contrario del piacere, per narrarlo bisogna partire dall'apice della felicità. Quel giorno, al penultimo anno di liceo, era la seconda settimana di fila che non parlavo con John: la consapevolezza dei suoi sentimenti non faceva altro che rendermi più insicuro che mai. John d'altro canto cercava disperatamente un contatto con me, un contatto che gli veniva costantemente negato.

Nevicava quando John ha bussato alla mia porta: a casa c'ero solo io, perché i miei genitori erano andati in settimana bianca con Mycroft. Io odiavo (odio tutt'ora) gli scii, e ho preferito stare a casa. John non aveva il cappotto e si vedeva che stava morendo di freddo, nonostante ciò, era fermo come un soldato. Lo tradivano il naso rosso e gli occhi lucidi, ma questi non erano causati dal freddo. Aveva pianto, si poteva leggere attraverso tutti i tratti del suo viso, tutti i suoi muscoli.
«Io non so cosa ti ho fatto, per meritarmi il silenzio» ha esordito. Io lo guardavo senza sapere cosa pensare, la sua sola vista mi faceva male.
«Non so se pensi di essere migliore di me, se hai iniziato a odiarmi come odi il resto del mondo. Ho il diritto di saperlo: cosa è successo?» ha chiesto, allargando le braccia e accennando una risata che non aveva niente di divertente. Non sapevo cosa dire. Anche su questo, John ha il primato: la prima persona che mi ha lasciato senza parole.

«Sherlock» mi ha esortato ancora, e ancora io non parlavo. John, sotto la neve, mi guardava e mi implorava; io, dentro casa, non sapevo cosa fare. Ma come sempre lui, il mio Virgilio, mi ha guidato verso la direzione giusta. Il suo sguardo si era irrigidito e le sue mani si erano strette in pugni talmente rigidi da fagli diventare le nocche bianche. Era rabbia di dolore, la peggiore che si potesse vedere su John. Ho provato a dire il suo nome ma è uscito un rantolo di supplica che John non ha sopportato, e la sua rabbia si è scagliata dalle sue mani verso il mio petto. Ha cominciato a spingermi forte verso casa, entrando anche lui. Vorrei non pensarci adesso, non adesso, non mentre la siringa è così vicina a me: gli ho promesso di non farlo, non lo farò. E in tanto ripenso a quando gli ho bloccato i polsi con le mie mani, costringendo vicino a me.

«Perché?» mi ha chiesto ancora mentre sotto i miei palmi il suo cuore correva. Piango ancora, l'ennesima volta di questi mesi, mentre ripenso a quello slancio di coraggio che il suo cuore mi ha fornito, quella notte d'inverno, quando l'ho baciato.

John baciava tutte le ragazze allo stesso modo ma non ha mai baciato qualcuno come ha baciato me. Vorrei poter non chiudere gli occhi per il resto della mia vita, perché ogni volta che lo faccio i ricordi di quell'esatto momento invadono i miei pensieri fino a bloccarmi.

Ero convinto saremmo stati insieme per sempre, ma sono solo. Mi ha fatto credere di essere il suo preferito, quando in realtà ero un vecchio cardigan buttato sotto al letto, rotto e senza bottoni. Il freddo di questo nuovo gennaio mi uccide e mi congela le interiora. Butto la siringa e l'eroina. Lascio che il telefono mi scivoli dalle mani, sulla schermata è rimasta impressa la chiamata con Molly Hooper: è stata lei a dirmi di averlo visto in macchina con un'altra, ad agosto. Io dovrei non crederci, non dovrei perché lei dice sempre bugie, ma questa volta so che è vero. John è con un'altra, e le ferite che mi ha curato ricominciano a sanguinare.

So di non sapere niente di sentimenti, o di amore. Ma conosco lui, e so che gli mancherà quel senso di avventura che aveva solo con me, quel brivido che gli trapassava la colonna vertebrale quando era abbracciato a me e che io riuscivo a percepire quando eravamo nudi insieme. So che gli mancherà il senso di libertà che aveva quando correvamo insieme all'alba dopo una notte insonne; so che con lei non avrà le mie spalle su cui poggiarsi, la possibilità di piangervi sopra come un bambino in cerca di sicurezze. So che, quando si sveglierà dal brivido di quella ragazza, vorrà tornare dal mio: perché io, qui, ci sono sempre.
Non eravamo esclusivi, lo capivo da come ci bastavano i baci in macchina e le uscite appartate, dal suo essere così prudente con me davanti agli altri. Non eravamo una coppia perché non sapevamo di poterlo essere davanti a tutti: a nessuno qui importa di un ragazzo che ama un altro ragazzo. Io lo so che tornerà da me, so che la sua è solo paura. È John a non sapere che con me, la sua paura, è al sicuro.

Ora la neve scende a fiotti, leggera e pesante allo stesso tempo. Dalla mia finestra non si vede altro che buio e le luci delle macchine che arrivano sotto casa. Molly ha insistito tanto per farmi festeggiare e alla fine ho ceduto, ma adesso vorrei che tutte quelle persone sparissero per sempre, anzi che tutto il mondo sparisse. Voglio che Molly sparisca, e Greg che l'ha appoggiata in questa follia, e quella donna che l'ha avuto dopo di me, e John che in realtà è l'unico che vorrei vedere, l'unico che dovrebbe venire, con la sua jeep vecchia e decrepita, in cui ci siamo scambiati più dei baci, più del corpo e più del sesso, e dove ora non aleggia più il mio profumo ma quello di lei. Sento Greg chiamarmi da giù, e quindi indosso la mia maschera d'indifferenza, ma questa volta deve essere più spessa, in modo da contenere tutto quell'amore e quel dolore che ho. Prendo un respiro profondo, facendomi forza, e scendo al piano terra. Chissà se questa assurda idea di Molly possa alla fine rivelarsi utile.

Folklore (Johnlock's version)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora