Capitolo Dieci: "Il diario degli errori"

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Sono passati esattamente due giorni da quando Ambra ha varcato la soglia di casa mia e la maglietta che lei aveva indossato per stare in casa giace ancora sulla sedia in camera, ancora col suo profumo addosso. Non so come faccia, ma il suo profumo di pulito e fiori aleggia ancora in camera mia, dove lei non è mai entrata.


Quando si è seduta, legata i capelli, ha iniziato a parlare della professoressa e in generale della scuola le si sono illuminati gli occhi, sinceramente, non ho sentito mezza parola di quello che ha detto se non contiamo delle parole frastagliate l'una dalle altre. Mi sono focalizzato di più su di lei. Sui capelli lunghi biondi, i suoi occhi chiari, il modo in cui parla e come si morde il labbro quando non trova le parole adatte. Morde il labbro anche quando è concentrata, come quando si è messa a scrivere una serie di parole una dietro l'altra, senza sollevare mai il capo dal foglio. La posizione del corpo scorretta ma per lei comoda, le gambe a incrocio nella sedia, il quaderno storto, le dita vicine alla mina della matita e la mano sinistra che le regge il capo, vicino al tavolo da lavoro.

Ero talmente concentrata ad osservarla che quando ha alzato lo sguardo e mi ha chiesto una cosa ho dovuto farmelo ripetere per due volte e poi alla terza volta che l'ha ripetuto non ho capito lo stesso niente. Perso nei suoi modi di fare, nei suoi capelli che si erano sciolti da soli in morbide onde e nella mia maglietta larga su di lei, ho potuto solo annuire e far finta di aver capito per poi fiondarmi subito in bagno, con una scusa più che pessima. Mi sono sciacquato la faccia, cercando di diventare più lucido e poi sono uscito. Ci ho messo davvero poco a differenza di quando ci è andata lei, ma lo comprendo: è donna, avrà i fatti suoi e poi era in un bagno sconosciuto, con un ragazzo sconosciuto dietro la porta.

Secondo lei non l'ho sentita, non ne ha fatto portavoce, ma ho notato che abbia chiuso la porta a chiave, che abbia controllato che l'avesse chiusa davvero e poi il fruscio d'acqua ha invaso la stanza. Sinceramente, mi sono preoccupato per lei, non sapevo che cosa avesse, se il cibo non fosse stato di suo gradimento o se mi avesse mentito sul fatto delle allergie e intolleranze; quando è uscita dal bagno si vedeva che era un po' provata, il viso era umidiccio e le guance erano troppo accese - come se non fossero naturali - i capelli  erano sistemati alla perfezione, troppa perfezione, la maglietta aveva delle tracce d'acqua colata e si rigirava le mani tra di loro come se avesse in corso un attacco d'ansia o mi dovesse dire una cosa super importante. Ma quando si è seduta, ha legato i capelli e ha iniziato a parlare è come se l'Ambra che era tornata dal bagno non esistesse più, ora era l'Ambra appassionata d'arte che voleva diventare professoressa di scenografia - me l'aveva detto durante una piccola pausa che ci siamo presi.

Ancora non avevamo capito su che cos'era il progetto, tanto meno su che cosa farlo, quindi per il primo pomeriggio di studio abbiamo concordato di fare delle ricerche generiche su tutte le correnti artistiche e lei si è impegnata per farmi un recap su quello che avevano fatto loro in quei tre anni precedenti, anche se ai primi due anni non aveva avuto la stessa professoressa di adesso. Mi ha promesso che avrebbe parlato con Lena, una nostra compagna di classe di cui non sapevo nemmeno l'esistenza, che l'aveva avuta anche al biennio e che mi avrebbe passato tutte le informazioni che riusciva ad avere. E io l'ho ringraziata, non so in verità quante volte ma in quella cucina aleggiava nell'aria un rispetto, gentilezza  e aiuto reciproco che quasi riusciva a farci soffocare.

Difatti, in una delle tante pause che abbiamo fatto, siamo andati sul balcone.
Avevo necessità di fumarmi una sigaretta e lei mi ha fatto compagnia; ero poggiato sulla ringhiera, davo le spalle alla strada sotto di me e ai palazzi circostanti la mia abitazione, mentre lei era poggiata nel lato inverso. Era immersa nel paesaggio, aveva indossato il suo maglione sopra la mia maglia, stringeva le sue braccia al petto e potevo capire dal naso leggermente arrossato che ancora sentiva freddo; per questo ho posato la sigaretta nel posacenere, senza spegnerla, sono rientrato a prenderle un plaid. Le avrei dato anche una mia felpa, ma mi sembrava un po' too much, magari lei si sentiva di troppo e avrei mandato tutto a puttane. Che poi, "tutto" cosa?

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