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Morfeo mi assalii, facendomi crollare in un sonno, sulla piccola e docile brandina, accanto al mio zaino, e le coperte disordinate con su impressa la mia sagoma.
Mi sentii improvvisamente toccata, scossa e moimentata da delle mani, che improvvisamente si appogiarono su di me, mettendomi subito in allerta, quasi impaurita. Aprii immediatamente gli occhi, trovandomi dei lunghi capelli castani, quasi neri dritti sul mio viso.
Istintivamente, mi misi seduta sul letto, incrociando quegli occhi marroni, e le braccia contornate di tatuaggi di ogni tipo. "Rosa!" urlai io, allargando le braccia per abbracciarla e così feci.
Strinsi a me la mora, che anche lei si gettò su di me, stringendomi in un abbraccio caloroso.
Io e la ragazza ci conoscevamo già da piccole, quando precisamente i nostri padri si conobbero per vari affari. Andammo a scuola insieme, ma poi al liceo persi completamente le sue tracce. Che ci faceva in carcere?
Mi distaccai un attimo per guardarla: era stupenda, ed era rimasta tale e quale alla bambina che conoscevo quando ero piccolina. Gli occhi vispi e sottili, i capelli liscissimi, le guance rosate, bassina e magra, solo che a differenza di dieci anni fa, le braccia erano completamente tatuate.
"Cat, che ci fai qua?" si sedette vicino a me, mettendosi comoda. "Casini" replicai soltanto, sorridendo, grattandomi la nuca.
Lei, dolcemente mi spostó una ciocca dei miei capelli castani dietro l'orecchio: "Ti sei fatta proprio bella" La Ricci, continuó, ridacchiando.
Passammo l'intero pomeriggio a chiaccherare tra noi, parlando del più e del meno, sopratutto delle nostre avventure fatte durante gli anni in cui persimo completamente i rapporti.
"Dai è quasi ora di cena, andiamo!"
mi tiró su, stringendomi la mano per sollevarmi, per poi correre tra i corridoii insieme, giungendo alla mensa, dove già alcuni visi familiari, che incrociai poco prima nei corridoii, erano pronti ad osservarmi. "Lasciale stare a ste cesse!"
ci accomodammo ad un tavolo, dopo aver preso i nostri vassoii. Il cibo servito quella sera era tremendo, prevedeva una cotoletta di pollo ed una classica bottiglietta. "Come sta papá?" rosa chiese, incuriosendosi di mio padre. "Bene, bene...invece Don Salvatore?" alzai un sopracciglio, interessandomi anchio.
"Lo hanno sparato da poco" a quelle parole la mia bocca si spalancò in senso di stupore, rimanendo completamente sconvolta alla sua affermazione.
"Cazzo, mi dispiace" sussurrai, tornando a mangiare, "Chi lo ha sparato, ro'?" alzai il capo ma non ricevetti alcuna risposta.
Dopo la cena, la quale mangiai poco se non nulla, tutte le ragazze tornarono nella zone celle, dove ci misimo a dormire.
Una luce blu si accese lungo il carcere e non riuscendo in alcun modo a dormire mi affacciai alle sbarre della finestra, osservando la bianca schiuma del mare apparire nella notte. Con in sottofondo le onde selvagge e prive di vergogna, ululare insieme al vento, facendo sentire a tutti quanti la possenza del mare. Quest'ultimo lo amavo tantissimo, era stupendo poter giocare in acqua, schizzandosi a vicenda oppure imbrattarsi di sabbia e venir sgridati per aver sporcato la macchina e i suoi tappetini.
Da piccola amavo portarmi l'oceano, il mare, i fiumi o i laghi a casa, rubavo sempre qualche pietra che mi ricordava qualcosa di prezioso e lo depositavo nel mio comodino.
Sorrisi istintivamente a questa marea di ricordi, che mi fecero scendere una lacrima, che cadde proprio sulle mie labbra, ancora incurvate a sorridere.

Judas ✭ Edoardo ConteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora