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Omelette 

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Omelette 

Brackley, Inghilterra,
Giugno 2022

🏎️

Le due settimane di permesso iniziarono e andai in Inghilterra, passando le mie giornate nel mio paese di nascita, Brackley.

Inizialmente mi sembrò così strano che non sapevo che cosa fare, mi sembrava di non avere uno scopo. Charles era pieno d'impegni e non avremmo potuto vederci fino alla prossima gara.

Mi incontrai con Kyla solo qualche volta, la stesura degli articoli sulle gare stava andando benone, era la terza volta che veniva mandata a un Gran Premio e il prossimo sarebbe stato proprio Baku. Non avevo ancora letto nessuno dei suoi lavori, ma mi appuntai di farlo nei giorni seguenti.

La cosa che mi fece stranezza fu che il monegasco non chiamò, ci fu solo un enorme scambio di messaggi da parte di entrambi, ma ogni volta che provavo a telefonare, mi metteva giù, parlando sempre di alcuni impegni che avrebbe dovuto gestire.

Le giornate andarono avanti e Carlos fu l'unica persona del lavoro che sentii.

«Sei a Barcellona?» Domandai osservando il suo viso schiacciato contro il cuscino.

«Sì e le pause così lunghe non mi piacciono per niente. Mi trovo senza cose da fare e per rimanere normale faccio dei lunghi giri in auto immotivati e senza meta.» Ridacchiò smuovendo le coperte che si abbassarono giù dalle spalle, rivelando il suo petto privo di maglietta.

«Ho fatto qualcosa del genere anche io» Ammisi sorridendo «A proposito, hai sentito Charles? Sono giorni che provo a chiamarlo ma non può mai rispondere.» Cambiai argomento per non dover continuare a osservare la sua figura.

Lui mi disse che l’aveva chiamato il giorno precedente e che avevano parlato della prossima gara, delle vacanze e altre cose futili. Nuovamente rimasi confusa, cercando un senso alle azioni del mio ragazzo, che non si fece più sentire concretamente dal lunedì dopo la serata di Monaco.

«Forse dovresti farmi vedere la Sagrada Familia, almeno faremo qualcosa, al posto che rimanere sotto le coperte con trenta gradi. Perché da te fa caldissimo immagino, qua si sta abbastanza bene e il lenzuolo serve davvero.» Lo presi in giro, spostando il mio telefono per mostrarli la posizione. Lui si alzò per prendere dell’acqua e appoggiò il telefono all’altezza della cucina per bere con entrambe le mani dalla bottiglia.

«Io sono senza maglia, così posso avere quel fresco da dovermi coprire. E’ intelligente.» Mi fece l’occhiolino per poi riprendere il telefono in mano e sdraiarsi nel letto.

Passare il tempo con lui mi dava sensazioni strane, spesso avrei voluto staccare il telefono e non pensarci, altre parlare con lui per il resto della serata. Carlos era l’unica cosa che in questo momento mi impediva di andare fuori di testa e farmi troppe paranoie.
«Cuciniamo qualcosa?» Domandò in un momento di silenzio, così tranquillo che avevo socchiuso gli occhi: «Però questa volta non posso fare tutto io, devi saper cucinare anche te.» Disse facendo riferimento al nostro lento della settimana prima.

«Oh, ma io so cucinare benissimo, devi assolutamente provare la mia pasta con il sugo. Il mio patrigno mi ha insegnato a farla all’italiana.» Mi elogiai e nel mentre camminai verso la cucina.

«Cosa ti piacerebbe mangiare? E’ quasi ora di cena.» Chiese aprendo il suo frigorifero e controllando quello che conteneva. 

«Che ne pensi delle omelette?» Dissi una volta appoggiato il telefono sul piano cottura, e aver controllato che avessi le uova.

«Con prosciutto e formaggio? Io li ho.» Questa volta fu il mio turno di controllare gli ingredienti e fortunatamente li avevo tutti. Tirai fuori il latte e le uova, che appoggiai sul tavolo e arrivò il momento dell’affettato e il formaggio.

Mostrai a Carlos il cibo e aspettai che tirasse fuori tutto quanto, gli dissi che avrei voluto che seguisse la mia ricetta e iniziammo. Sembrava un programma di cucina.

In un recipiente ruppi le uova, mescolate con sale e latte, voltai lo sguardo verso il telefono e ancora una volta uno spagnolo privo di maglietta seguii i miei ordini alla perfezione.
Tirammo entrambi fuori una padella, mettendo dell’olio e facendolo riscaldare, poi versammo il contenuto preparato prima e aspettammo che il composto diventasse dorato.

«Sembri molto concentrata, neanche a lavoro sei così.» Sbuffò una risata iniziando a mettere il ripieno nell’omelette.

«Se una cosa la so fare bene, sono molto concentrata.» Ribattei sorridendo e guardando come si muoveva in cucina, per poco bruciai il cibo.

«Le mie saranno sicuramente più buone.» Ruppi il silenzio che si era creato, entrambi mangiavamo come se non lo facessimo da una vita e mi resi conto dopo, di aver saltato il pranzo.

«Non posso assaggiare, per cui non ti credo sulla parola.» Sparecchiammo subito dopo aver finito, lui mi disse che era stanco, e che la mattina dopo avrebbe avuto un’intervista, che mi chiese di seguire. Ci salutammo e misi la sveglia per ricordarmi dell’avvenimento.

Passare il tempo con lui era normale, senza pretese, si poteva stare in silenzio oppure parlare, ma bastava semplicemente fare compagnia l’un l'altro. L’intervista del giorno successivo fu un po’ imbarazzante, al posto che chiedere del suo lavoro, pressarono lo spagnolo di domande su di me e il predestinato, chiedendogli più spesso di quanto si possa pensare, se noi due fossimo fidanzati alle spalle del numero 16. 

Dovetti rimuginarci un’intera serata al telefono con Kyla, chiedendo qualche idea per poter far cambiare i gossip, ma non ci venne in mente niente, se non di postare qualche foto di me e il ragazzo insieme. Non servì comunque a nulla, mi trovai a dover disattivare i commenti per le troppe domande e brutte parole nei miei confronti.

I giorni passavano, il ritorno a lavoro era sempre più vicino e ritornare nel mio ambiente mi mancava da morire, ma soprattutto mi mancava Charles. Decisi che avrei riprovato a chiamarlo, cosa che nei giorni precedenti avevo smesso di fare, limitandoci solo nello scambiarci una marea di messaggi e foto. Inaspettatamente dopo qualche squillo rispose.

«Abigail… Ciao.» Disse in italiano e subito dopo aggiunse la versione nella mia lingua. La sua voce mi fece prendere un sospiro di sollievo, avendo temuto il peggio per troppi giorni consecutivi. Viaggiavo costantemente con un peso al cuore così grande, che per il mio così piccolo era troppo. Un bisogno di prendere un grande respiro che il mio corpo non poteva affrontare.

«Quanto mi mancava la tua voce, ma che è successo?» Domandai e lui prese a parlare di tutti gli impegni che aveva dovuto sostenere, ma ripetendo più volte che l’importante era che ora fossimo riusciti a sentirci e io non potei fare a meno di concordare. Cavolo quanto mi era mancato.

Parlai del fatto che nei giorni seguenti sarei tornata a Maranello e successivamente ci sarebbe stata la trasferta fino in Azerbaijan, avremmo potuto vederci solo in quel momento, ma mi assicurò che saremmo stati più tempo insieme. 

Arrivò anche il momento di partire e di salutare i miei genitori, che per via del loro lavoro avevo visto, sì, ma non passato tutti i momenti insieme. 

Mi recai all'aeroporto di Londra esausta, come se queste quasi due settimane di pausa fossero state intense. 
La verità era che nella maggior parte del tempo ero stata a letto, in video chiamata con Carlos o a scambiarmi messaggi con il monegasco, perciò cercai di limitare la mia stanchezza agli occhi degli altri, una volta tornata nella sede della Ferrari.

Gli aerei non bastavano mai… E giunse il momento di prendere un altro.

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Heylà ✨ Mancano solo quattro capitoli alla fine, vi avviso che tra una mezz'oretta uscirà anche il capitolo 17.

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Il Predestinato | Charles Leclerc | Vol. 1Where stories live. Discover now