Un monolocale senza porte, col fornello incrostato e la muffa dietro i cassetti.
Costava mille euro di affitto, a Milano.
Escluse tasse e utenze.
Diana lavorava per poterne pagare metà, in aggiunta alle tasse universitarie. Al resto ci pensavano i suoi genitori, alla spesa, e all'altra metà di affitto.
Diana sedeva dietro una scrivania per ore; tutto sommato non faceva nulla di faticoso, rispondeva a qualche telefonata, leggiucchiava delle mail, nel frattempo studiava. Non le era andata troppo male, ma neanche troppo bene. Invidiava le sue colleghe ed i suoi colleghi milanesi che potevano permettersi di studiare tutto il giorno, senza preoccuparsi di nient'altro. Di tornare a casa col pranzo o la cena pronti, in un letto confortevole e sempre pulito.
Lei invece veniva da Macerata, ed i suoi genitori erano cecoslovacchi.
Si preoccupavano molto per lei, ma il suo tono di voce sapeva essere rassicurante, per telefono.
Concretamente, Diana se la stava cavando.
Non le era mai mancato da mangiare, né ritardava a pagare l'affitto, la casa era pulita, nonostante fosse disordinata.
I suoi libri erano disseminati ovunque, e si potevano trovare nei luoghi più bizzarri dell'appartamento, vicino allo shampoo, sopra i coperchi delle ceste dei panni da lavare, tra i barattoli dello zucchero e del sale, sotto le coperte del letto e del divano, per terra, e persino incastrati tra le ventole del soffitto.
Alberto c'era stato nell'appartamento, ma per l'occasione era tutto pressoché in ordine e pulito, sebbene la struttura rimanesse fatiscente. I libri erano ammassati sulle mensole e sul tavolo da caffè in molteplici pile disomogenee.
— Non ti piace leggere, vero?
Diana non si girò neanche a guardarlo.
Lui si era già abituato a quel comportamento, che non era mutato nonostante si conoscessero meglio, era stato piuttosto Alberto a venire a patti col fatto che la chiacchiera per riempire i silenzi, a lei non piacesse per niente.
Osservò il primo libro di una pila, qualcosa sullo "spirito" ed il "comportamento". Le sue dita abbronzate sfiorarono la copertina e sfogliarono delle pagine vecchissime, imbrunite su tutta la cornice, logore e che minacciavano di sgretolarsi da un secondo all'altro.
— Non toccarlo, non lo stampano più dal cinquanta.
Alberto ritirò comicamente la mano all'indietro, per poi infilarla in tasca, con gli occhi sbarrati e le labbra strette tra loro. Dopodiché guardò la ragazza in volto, per dei silenziosi secondi.
Lei soffocò una leggera risata, per poi voltarsi verso la cucina, lasciando muovere dietro di sé i capelli spenti dalle luci grigiastre dell'appartamento.
Alberto sorrise e la seguì verso il bancone della cucina.
Osservò i libri impilati anche lì, accanto un cartone di latte vegetale.
Era di noce.
In un cestino della frutta c'erano un paio di kiwi e qualche mandarino, più una mela dalla buccia gialla e lucida.
Diana aveva già preparato la moka per due, e l'aveva messa sul fuoco.
Alberto stava facendo roteare velocemente la mela tenendola dal picciolo con due dita.
Lei la fermò poggiando il palmo della mano sotto, lasciando che abbandonasse la presa di Alberto, e posandola di nuovo nel cesto.
— Noi non parliamo di niente.
Lo disse così seria, così convinta, che Alberto le lanciò uno sguardo preoccupato.
— Fino a che punto importa della somiglianza?
Domandò poi, afferrando tra le dita sottili il polso sinistro di Alberto e spingendolo sul bancone, con calma e delicatezza, soltanto guidandolo mentre lui la assecondava.
Con entrambe le mani, Diana distese le dita del ragazzo sul bancone, col palmo ingiù. Dopo la tensione, visto che Alberto si aspettava che lei gli piantasse una forchetta a centro dorso, magari emulando qualche tipo di fantasia teatrale sulla Passione di Cristo, tornò a respirare nell'osservare che aveva soltanto iniziato a tracciare i bordi del suo tatuaggio con le unghie arrotondate e lisce come mandorle.
Iniziò dal simbolo sulla nocca del pollice, per poi procedere col resto del disegno.
Nel frattempo, si raccapezzava su ciò che aveva detto la ragazza poco prima.
— Non lo so, credo che la somiglianza non serva, altrimenti non sarei qua.
Disse teneramente, e Diana di queste frasi apprezzava soltanto il tono.
Forse era proprio il modo di parlare di Alberto che la spingeva sempre a tornare, ad accettare, a volerlo.
Per il resto, Alberto proferiva sempre gli enunciati più qualunquisti che lei avesse mai sentito dire in tutta la sua vita.
— Sì, certo
Bisbigliava tra le labbra, fissando solo le linee della figura che stava tracciando.
Fu spinta a voltarsi sentendo il caffè salire nella moka, separandosi da Alberto con un sospiro sconsolato, che lui non comprendeva mai, ed afferrando due tazze da uno sportello infisso al muro, sopra il lavandino.
— Andiamo a fumare?
Chiese Diana, recuperando la sua busta di tabacco da un angolo della cucina.
Alberto sorrise, e prendendo tra le dita la sua tazzina di caffè amaro, si diresse verso la porta del terrazzo.

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Paglie | Tananai
FanfictionLe storie d'amore non sono sempre fatte per finire bene. Di ciò di cui non si può parlare, si deve tacere. Solo perché è legale, non è morale. [Storia puramente e radicalmente inventata, non si intende nessuna associazione dei contenuti all'artista...