VIII

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— Perché hai quella faccia?
Chiese Diana seria, osservando la sua amica che non smetteva di tenere gli occhi neri puntati verso il suo pacchetto di sigarette abbandonato sul tavolino del bar.
— Me ne voglio andare.
Rispose lei seria, iniziando a strofinare tra loro le mani, e picchiettare le unghie smaltate di nero tra loro.
Diana rimase zitta, sapeva cosa intendeva dire, eppure una sensazione di ingiustizia le percorse tutto il corpo, dalla testa alle gambe, agitandole il cuore.
— Perché?
Domandò con un filo di voce, abbassando gli occhi.
Eppure Agata era davanti a lei ancora, ma già sembrava trasparente.
Sapeva di dovere volere il bene per la sua amica, ma non c'era modo di assimilare in maniera positiva ciò che stava accadendo.
— Lo sai perché. Non ne posso più.
Già nelle sue parole, vi era la risposta alla domanda.
Non nelle sue parole in quell'istante, ma nel suo accento, nella sua cadenza, la risposta se la portava d'appresso come un peso legato alle caviglie, ed ormai, come una targa sulla testa.
Agata veniva da Catania, e non conobbe altro che Catania fino ai suoi vent'anni.
Si trascinava come un profumo diverso dentro Milano, perché lei non ci teneva a nasconderlo, di venire dal Sud, che più Sud non si può.
Agli esami, veniva bocciata perché "Lei si esprime male".
Agata non si esprimeva male, aveva un vocabolario vasto, ed era persuasa mentre parlava, era sicura.
Non voleva cancellare parte della sua personalità per compiacere a qualcuno, non l'aveva mai fatto.
Agata faceva parte di un collettivo transfemminista, ed ogni giorno si occupava di proteste e manifestazioni, e provava una sorta di disprezzo intenso e radicato nei confronti della specie maschile cisgender.
A Diana piaceva tanto Agata.
Certe volte si domandò se volesse baciarla.
Non successe mai, però.
Si sentiva come se avesse una sorella che l'avrebbe protetta a costo di alzare le mani e finire in galera.
Agata sapeva tantissime curiosità inquietanti sulla prigione, probabilmente era per questo che Diana sognava sempre di parlarle attraverso un vetro antiproiettile, nelle case di reclusione. Diana la sognava vestita di arancione, nonostante Agata stessa le avesse spiegato che i carcerati in Italia non avessero divise o uniformi, perché viste come disumanizzanti.

— Comunque, prima stavo girando su Instagram, ed ho trovato una pubblicità di un articolo spaziale. Mi sembra nel tuo campo d'interesse, te lo volevo fare vedere.
Agata cambiò discorso, spostandosi i capelli scuri dietro l'orecchio e passandosi le dita sulla frangetta cortissima.
Lei studiava Filosofia, ma le interessava sempre sentire Diana parlare. Anche lei leggeva letteratura russa, ed aveva la casa altrettanto disseminata di libri. Anche se di tipi diversi, rispetto a Diana. Inoltre Agata aveva una tendenza innata a criticare i gusti letterari degli altri, rendendola particolarmente insopportabile in determinati momenti.
Aveva letto Dostoevskij, Tolstoj, talvolta leggiucchiava qualche poesie della Cvetaeva, dell'Achmatova, ma non le piacevano particolarmente i poeti russi dello stesso periodo delle nominate in precedenza.

— Sì? Di che parlava? Che rivista era?
Chiese Diana distratta, mentre portava alle labbra il cucchiaino sporco di schiuma, una volta riemerso dal cappuccino di soia.
— Moda alternativa nell'Unione Sovietica, roba pazza, punk abbestia. C'è da impazzire! Eccola qui, Italingrado? Minchia, che nome di merda.

Gli occhi di Diana ripresero attenzione, il suo sguardo si fece preoccupato, ed il cuore le balzò in petto.
— So chi sono.
Sibilò, cercando di raggiungere il polso di Agata per potere afferrare il suo cellulare, e leggere da sola l'articolo. Iniziò a scorrere freneticamente nella pagina, per leggere le fonti.

Era il suo libro.
Quello che si era ammazzata di fatica per trovare, quello che leggeva ovunque, ma che per colpa del lavoro e dello studio, non poteva mai finire.
— Mi hanno copiata. È quel libro di cui ti parlavo. Per cui ho speso un'infinità di tempo, che mi portavo ovunque.
Lo disse senza neanche aprire le labbra, scorrendo l'articolo e leggendo le parole in grassetto, mentre scuoteva la testa incredula.
— Cazzo.
Sbottò Agata, incrociando le braccia.
— Me l'ha visto all'università, è stata Clara. Lo ha scritto lei.
— Spaccala di mazzate
— Agata, smettila.
— Diresti mai ad un pesce di smettere di nuotare?!
— Agata, vaffanculo.

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