capitolo 3

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Sono davanti alla porta di casa di mio padre. Serro gli occhi, sospiro afflitto. So che ha cambiato serratura, ma provo comunque a bussare dato che ci sono le luci accese.
Busso un paio di volte e sento i suoi passi avvicinarsi.
Apri questa porta, papà. Ti prego.
Non mi sono nemmeno messo un filo di trucco, persino i miei vestiti sono un po' più sobri. Indosso una semplice giacca nera in pelle abbinata a dei jeans. Pur di non farlo arrabbiare.
«So che sei tu, Manuel»
Mi starà guardando dalla videocamera.
«Ciao, papà. Puoi aprire la porta, per favore?» chiedo gentilmente.
Ha aperto, lo vedo dinnanzi a me. Mi guarda con un ghigno beffardo. Il suo sorriso da stronzo mi fa credere che io abbia qualcosa che non va, poi capisco che stava guardando le mie unghie smaltate.
«È smalto nero, papà. Lo mettono tutti ormai» mi giustifico, anche se non c'è nulla da giustificare.
«Che cosa vuoi, Manuel?» mi chiede scocciato tenendo la porta semichiusa da una catenina.
«Non posso più stare da zia Clara. Volevo solo ritornare a casa» tengo stretto il bordo della porta per non fargli chiudere quest'ultima. So che vuole mandarmi via.
«Togli quella mano»
«Per favore» lo supplico tirando la porta verso di me.
«Tesoro, chi ha bussato?»
Spalanco gli occhi. C'è una donna in casa mia, non credo sia mia madre, per quel poco che ricordo lei ha una voce diversa.
«Tranquilla, Marina. Hanno sbagliato indirizzo» chiude lentamente lasciandomi come un disgraziato qui fuori.
Sbuffo e ritento. Suono il campanello ripetutamente.
Questa volta la porta si apre completamente. E non è stato mio padre ad aprire. È stata Marina, immagino sia la sua nuova compagna.
«Roberto, vieni! È ancora qui il ragazzo» si gira per guardare mio padre arrivare avanti a pugni chiusi. È furioso.
«Ti avevo detto di non aprire!» grida.
Mi dispiace che tratti male la sua donna, fa così anche con me. Marina sussulta al grido e poi porta gli occhi su di me. Ha dei bei occhi, sono azzurri e ha i capelli raccolti da una lunga treccia.
«Non importa, scusate il disturbo...»
«Aspetta! Tesoro, è tuo figlio?»
Mi fermo restando girato di spalle.
«No, è nessuno. Non lo conosco»
Quanto è brutto sentirsi il nulla, vero? Ma io non mi sento nessuno, sono Manuel, sono Rosa, sono il ragazzo che sopravvive alle urla di un padre incapace di amare il proprio figlio.
«Non è vero!» tuono voltandomi verso di loro. «Sono suo figlio»
Marina resta a bocca aperta. Mi guarda con occhi dispiaciuti, vorrebbe tanto che io entrassi in casa.
Le sorrido, non c'entra nulla quella donna, non ce l'ho a morte con lei.
«Basta, ho visto troppo! Entra e non fiatare» dice spazientito mio padre.
Se non fosse stato per la sua compagna, molto probabilmente sarei già stato cacciato via.
«L'ho fatto solo per lei, muoviti a trovarti una sistemazione» mi sussurra minaccioso all'orecchio afferrandomi bruscamente la giacca.
«Io devo andare al lavoro ora. Voglio che resti in camera tua e non fiati. Marina, mi raccomando. Qualsiasi cosa chiamami»
La bacia fugace e se ne va sorpassandomi, come se fossi invisibile.
Adesso siamo solo io e Marina, non mi sento per niente in imbarazzo. Sono contento che mio padre abbia una compagna, ma penso anche a quanto sarebbe stato bello avere una madre.
«Scusalo, è solo molto nervoso, lavora molto ultimamente» esordisce con un sorriso rassicurante.
«Non andiamo d'accordo, non ti preoccupare» ricambio il sorriso.
«Comunque sono Marina, piacere... tu sei Manuel, giusto?»
Annuisco e ci stringiamo la mano.
È emozionata, sembra una donna davvero sensibile.
«Ecco chi era quel bel bambino nelle fotografie in salotto»
Mio padre è contraddittorio, tiene le foto che ci ritraggono assieme in bella vista sulla credenza. Non le ha mai tolte, ma non significa che gli manco. A lui non gliene importa nulla di me.
«Già, sono io... comunque sei una bellissima donna»
«Oh, grazie infinite. Sei bello anche tu. Assomigli molto a tuo padre!»
Abbasso lo sguardo e faccio sparire il sorriso dal mio volto, odio assomigliare anche esteticamente a lui. «Grazie» dico irrigidito.
«Sai, ho una figlia. Ma ho sempre desiderato un maschietto!» esclama. «Guarda, lei è Serena. Carina, vero?»
È orgogliosa di sua figlia. Osservo la foto dal suo cellulare. È bellissima anche lei, ha gli stessi occhi della madre. Nella foto sorride felice, tiene in mano un mazzo di fiori colorati. «È molto bella, complimenti»
«Si era appena laureata qui. Domani finalmente torna dall'Australia. Sarebbe bello se vi conosceste!» esclama entusiasta.
Ha capito che c'è del disagio in me, anche se non voglio farlo trasparire, si nota la mia tristezza negli occhi. Sono un po' stanco di fingere che vada sempre tutto bene. «Volentieri» sorrido, seppure non me ne frega niente di conoscere sua figlia.
«Ora ti lascio tranquillo, vado a stendere il bucato che la lavatrice ha finito. Qualsiasi cosa sono qui» mi accarezza una gota per poi lasciarmi da solo. Dev'essere una bravissima madre.
Entro in camera mia, puzza di chiuso. Non è mai stata aperta da quando sono andato via tre mesi fa.
Spalanco le finestre per far arieggiare la stanza e mi siedo sul letto cigolante.
Mi rassegno sapendo che dovrò andarmene via un'altra volta, nel frattempo mi godo questa giornata in casa mia. Indirizzo lo sguardo sullo stereo colmo di polvere, mi alzo dal letto per accenderlo. Spazzo la polvere con le mani ed inserisco un mio vecchio cd che comprai molti anni fa. È un album del mio gruppo preferito di sempre, i My Chemical Romance.
Quanti ricordi con questo cd, alzavo il volume al massimo con mio padre che mi strillava di spegnere. Non condivideva nessuna mia passione, come tutt'ora. Ricordo che da ragazzino mi piaceva tanto scrivere, sognavo di diventare un rapper, un'artista. Che sciocco, non ho mai creduto in me a quei tempi per colpa delle oppressioni di mio padre. Di me è rimasto solo Rosa Chemical, un'artista sprecato, che non ha mai iniziato una carriera.

Mi sono addormentato ascoltando il cd, ho dormito quattro ore, realizzo di essere veramente stanco. Era da tanto tempo che non dormivo così bene.
Mi stiracchio e vado a spegnere lo stereo. È sera tardi, devo andare a lavorare.
Esco dalla stanza, c'è troppo silenzio, non c'è nessuno in casa.
Mi accorgo di un post-it appiccicato sull'anta del frigo. Lo prendo e leggo.
Sono uscita a cena con tuo padre, non ho voluto disturbarti perché stavi dormendo come un angioletto.
Ti lascio il mio numero se avrai bisogno di me.
Un bacio,
Marina”
Io che ho bisogno di una persona? Impossibile. Non ho mai chiesto aiuto a nessuno. È molto premurosa con me senza conoscermi, chissà cosa ci trova di speciale in me. Mi infilo il bigliettino nella tasca dei jeans, lo conservo apprezzando il suo gesto carino.
Vado al bagno a prepararmi per questa sera, me ne approfitto siccome sono solo in casa.
Mi trucco e pettino i capelli all'indietro. Oggi non indosserò nessuna parrucca.
Ho sfumato la matita nera sulle palpebre per creare makeup stile dark e per concludere ho rimpolpato le mie labbra con un semplice lucidalabbra.
Mi infilo i miei stivali ed esco di casa.
«Ma dove vai vestito così?»
Non credevo fossero di ritorno nello stesso momento in cui ho aperto la porta.
«Vai ad una festa?» chiede sorridendo nervosamente Marina.
«Sto uscendo papà» mi scosto e li sorpasso a passi veloci.
«Sì, bravo. Vai a farti scopare dagli uomini!» grida. «Sei sempre il solito frocio, Manuel. Non cambierai mai!»
Chiudo gli occhi e lascio scivolare via le sue parole taglienti, oramai ci sono abituato, ma fanno sempre male come la prima volta.

SIGNORINA ROSA, non è normale! // Rosa ChemicalDove le storie prendono vita. Scoprilo ora