capitolo 2

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Cesar mi aveva aspettato veramente. Non ci credevo. Si è comportato come un gentiluomo, mi ha fatto salire in macchina senza vergognarsi di me, senza preoccuparsi se qualcuno ci vedesse insieme.
Adesso siamo entrati in casa sua. Mi chiede se ho voglia di bere qualcosa, ma rifiuto gentilmente.
È palesemente in imbarazzo, si è pentito di avermi portato in casa sua, lo percepisco dalla sua espressione di disagio.
«Senti, se vuoi me ne vado» mi avvicino alla porta e Cesar mi stringe un polso.
«No. Fermo. Non ho detto che devi andartene»
Sospiro e deglutisco, non so che intenzioni abbia.
«Togliti la maschera. Voglio vederti»
Scuoto la testa. «Se mi vuoi, lasciami la maschera addosso»
Non voglio fargli vedere il mio volto. Mi vergogno della mia immagine, anche se adoro essere Rosa. L'ultima volta che qualcuno mi ha tolto la maschera è andata a finire male.
Ci vedo impressa l'immagine di quell'uomo squallido che una sera mi strappò la maschera per poi riempirmi di botte. E quell'uomo era il proprietario di uno strip club dove lavoravo un tempo.
«Di me ti puoi fidare...» cerca di rassicurarmi, ma non gli credo abbastanza.
Quante persone me l'hanno detto, ormai questa frase è viscida per me.
«Cesar è stato un piacere conoscerti, è meglio che me ne vado»
«No» si avvicina di più e le nostre bocche si sfiorano.
«Non ho mai baciato un ragazzo, è la prima volta»
Inizia a baciarmi, è un bacio casto, dolce. Quasi mi dimenticavo di come si baciasse in questo modo.
Si stacca dalle mie labbra dopo pochi secondi e sorride imbarazzato. Si sfila la canotta. Ha un bel fisico, tonico, sicuramente si allena in palestra ogni settimana.
Un altro bacio ancora e poi ci chiudiamo nella sua camera da letto.
«Ti prego, togliti la maschera» mi implora.
«Mai» mormoro baciandogli i pettorali perfetti.
Ci guardiamo negli occhi per un'istante. I suoi occhi scuri mi guardano senza malizia. Mi sembra di rivedermi con quel ragazzo di tre mesi fa che fece scoppiare quella forte lite tra me e mio padre.
«Sei colombiano, giusto?» gli chiedo accarezzandogli il petto con fare sensuale.
Sorride lasciandosi accarezzare. «Si nota così tanto?»
Il suo accento è inconfondibile, l'avevo capito sin dall'inizio.
È bello da morire, accarezzo i suoi capelli riccioli, sono morbidi e profumano di shampoo.
«Cesar!!»
Sento una voce femminile gridare dal piano di sotto. Di scatto il colombiano mi spintona e si alza dal letto rivestendosi frettoloso. «Merda. Devi-devi andartene»
Sento una risata da infante e il mio cuore si strozza per un'istante. Ha una famiglia.
Mi fa scendere velocemente dalle scale tenendomi per mano. «Esci da questa parte, c'è il garage, aprilo senza fare casino e scappa via. Forza!»
Mi spinge facendomi perdere l'equilibrio, lui scappa lasciandomi solo nel corridoio. Non ho tempo per starci male. Subito mi rialzo ed apro la porta vetrata. Il garage è semi aperto, forse è stata la sua ragazza ad aprirlo per entrare con l'auto. Mettendomi a gattoni esco dal garage, graffiandomi pure le ginocchia sul cemento ghiaioso.
Mi sento ridicolo, ho creduto veramente ai suoi occhi. Non c'era nulla in quel nero pece, eppure sono cascato. Mi ha reso vulnerabile con poco.
Maledetto me. Sono tutti uguali.
Scappo goffamente, gli stivali col tacco iniziano ad essere scomodi dopo tante ore addosso.
Una volta uscito dalla sua abitazione chiamo un taxi per ritornare a casa.
A mai più, Cesar.

Sono a casa, mi lavo in fretta e mi rimuovo il make-up. Ritorno ad essere Manuel.
«Buongiorno, che ci fai già sveglia?» dico a zia Clara.
È in cucina che si beve una tazza di caffè fumante, ha delle occhiaie violacee e lo sguardo perso.
«Non puoi più rimanere qui, Manuel. Ti chiedo scusa»
Ed ecco che mi crolla il mondo addosso. «Zia... che è successo?»
«Mi hanno sfrattata. Ho tempo fino a domani per liberare l'appartamento»
Lancia dei fogli sul tavolo e leggo velocemente le prime righe. Pesto un piede a terra incazzato. «Perché non me l'hai detto? Ti avrei aiutato io con i miei soldi!»
Accenna un sorriso e mi posa una mano rugosa sul viso. «Non volevo farti preoccupare. Vedrai che troverai una sistemazione migliore»
«Non è possibile! Me ne succede una dietro l'altra!» grido colpendo il tavolo con un forte pugno.
«Manuel, ti-»
«Sta' zitta! Meglio che me ne vado a dormire che ho avuto una notte di merda» sparisco dalla sua vista e mi chiudo a chiave in camera.
Piango silenzioso a pancia in giù con il cuscino pressato sul viso. È sempre stato questo il mio modo di piangere fin da bambino, non ho mai potuto farmi sentire da nessuno.
Piangere non è da deboli.
Piangere è normale.
Come essere me stesso è normale, anche se tutti dicono il contrario.

SIGNORINA ROSA, non è normale! // Rosa ChemicalDove le storie prendono vita. Scoprilo ora