Ritorno

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Non appena misi piede fuori dall'aereo il mio naso si irrigidì. Non ero più abituato a quelle temperature, né al grigiore del cielo di quella città. Ero stato via a lungo dopotutto, ma meno di quanto avessi sperato.

Purtroppo il dovere mi aveva messo con le spalle al muro. Ma in fondo non posso lamentarmi delle mie scelte, sapevo benissimo che fare l'astrofisico mi avrebbe portato ad una vita di continui traslochi.

Mi limitai a fare spallucce e a rimboccare lo zaino sulle spalle, diretto alla dimora che mi avrebbe ospitato per i mesi successivi.

Anche se in ritardo, decisi di non chiamare il taxi. Avrei voluto prima far colazione in quel delizioso bar che frequentavo da studente, anziché la asettica mensa di un laboratorio. Rimasi deluso nello scoprire che il locale aveva chiuso battenti già da un paio d'anni. Potevo aspettarmelo, non ho mai visto battere uno scontrino da quella cassa.

Peccato, avrei voluto annegare la nostalgia in un cappuccino caldo.

Bzz... Ah si, avevo dimenticato che la macchinetta del caffè fosse così rumorosa. L'intera mensa sembrava congelata nel tempo. Bianca e spoglia, come se non fosse mai stata vissuta, l'intera stanza era immobile. Fatta eccezione per un anonimo orologio da parete, che incessante scandiva, il passare dei secondi.

Nessuno aveva ancora notato la mia presenza nella struttura. Così decisi di annunciarla in maniera creativa. Scivolai per i corridoi, diretto alla sala comunicazioni. Come mi aspettavo la trovai completamente incustodita, così accesi l'altoparlante e feci un bel respiro.

«A-a-attenzione, è stata rilasciata una taglia sulla testa del Dottor Peterson, a-a-attenzione, una taglia è stata rilasciata sulla testa del Dottor Peterson, vivo o morto, ripeto, vivo o morto, preferibilmente morto!»

Tirai indietro la sedia facendomi spazio per poggiare i piedi sulla scrivania. Adagiai una sigaretta fra le mie labbra e aspirai soddisfatto. Non mi preoccupai della cenere che cadeva a terra, ma fumai ancora qualche tiro prima che la porta si spalancasse con fragore.

«Nichilista figlio di puttana!» Esclamò il dottore.

«Vedo che non hai perso la tua eleganza, solo i capelli. Avrei messo una taglia su di loro se l'avessi saputo.» Nonostante le sopracciglia arcuate, un timido sorriso si disegnò sul viso dell'uomo.

«Idiota, alza quel culo dalla sedia, c'è un motivo se ti abbiamo fatto venire fin qui.» Disse, muovendo frettolosamente la mano in un invito.

«Ah si? Pensavo di mancarti, pensa un po.»

Il suo passo era così svelto che il camice gli volteggiava dietro le caviglie, trasmettendo un misto di ansia ed eccitazione. Non sembrava il solo ad essere su di giri, anche gli altri scienziati si muovevano frenetici per la struttura. Qualcuno urlava addirittura, non che fosse cosa insolita dopotutto.

Arrivato nel laboratorio, fui accolto da una luce intermittente.

«Si, lo so, i neon sono quasi andati. Togliti immediatamente quel sorrisetto dalla faccia. Non sono un elettricista!»

«Ehi, smettetela voi due.» Disse una calda voce femminile, senza distogliere lo sguardo dal monitor.

«Così si fa? Manco un saluto prima di tornare a rimproverarmi?» Udendo quelle parole le spalle della figura si irrigidirono, per poi voltarsi in uno scatto.

«Me l'aspettavo fossi tu. Sono pochi i fisici abbastanza infantili da giocare con i ripetitori.» Continuò lei con superiorità.

«Beh se è per questo ci sono anche pochi fisici così formosi, dottoressa Blanc.» Risposi io.

«Tsk, il solito cascamorto.»

Il fascino della donna non aveva risentito del tempo, come immuni, le sue gambe offuscate da un paio collant continuavano ad attirare la mia attenzione più del dovuto.

Mi avvicinai silenziosamente alla postazione della donna, cercando di non far scivolare lo sguardo nella sua scollatura. Così da osservare l'oggetto dei suoi studi.

«Quindi... è questa l'anomalia.»


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⏰ Ultimo aggiornamento: Feb 21, 2023 ⏰

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