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"Tutto questo non è più possibile", sentenziò Simone quella mattina.

Era il terzo giorno di permanenza alla tenuta del signor Ferro, quella settimana.
Preceduta certamente da altri soggiorni che ufficialmente testimoniavano un'amicizia forte tra due gentiluomini ben conosciuti del luogo, ma ufficiosamente erano ben altro.
E gli unici testimoni di quel altro erano i due giovani che stavano seduti su sedioline di vimini candide sotto al portico della tenuta quel giorno deserta, sotto al sole caldo della primavera inoltrata.

"Questo cosa?", chiese quindi Manuel, la voce impastata di calma imperturbabile, gli occhi socchiusi a godersi il calore del sole e le dita che, lascive vagavano sul polso scoperto del giovane seduto accanto a lui, il cui torso era coperto solo da una candida camicia.
Non si accorgeva, con le palpebre abbassate, che Simone scrutava proprio quelle dita, così attaccate alla sua pelle da sentirle anche quando non erano lì; anche quando, in casa dei suoi genitori, si chiudeva nella sua stanza e le sentiva percorrere sentieri già conosciuti ed esplorati, talmente ne era familiare ormai quel tocco.
Pensava e ripensava alle stesse cose dal giorno prima, immagini che si ripresentavano alla mente come sermoni di una chiesa.

Scostò il polso, e sentì freddo.

"Questo, voi, io- noi."

Manuel sollevò finalmente le palpebre e diresse il suo sguardo indagatore su quel viso che ormai vedeva sempre, in veglia e sonno.

"Che volete dire?"

Il corvino si alzò dalla sedia con veemenza, il vimini scricchiolò leggermente sotto il peso delle sue dita, e prese a camminare nervosamente per il portico. Era talmente agitato che Manuel fu tentato di prendergli la mano, per calmarlo, ma invece si ritrovò a stringere le sue stesse dita per frenarsi, in quello che sarebbe stato un contatto sicuramente poco apprezzato.

"Che deve finire, lo sapete. Avete avuto ciò che desideravate, a cosa serve ignorare l'inevitabile? Tranquillizzatevi, perché non dirò a nessuno di tutto questo."

Il nobile sgranò gli occhi, interdetto, e solo allora si alzò svelto dalla sedia, lasciando la tazza che prima stringeva nell'altra mano, piena a metà a tintinnare sul suo piattino.

"Non riesco a capire di cosa stiate parlando."

Simone lo guardò negli occhi con due pozzi profondi e acquosi, ferito chissà da quale lama che Manuel cercava e ricercava, senza mai trovarne il fendente.

"Non riuscite? Pensate forse che io sia uno sprovveduto qualsiasi? Che avrei aspettato che foste voi a lasciarmi qui?"

Manuel scattò con impeto in avanti, verso di lui, e quella volta non frenò le dita che, avide, andarono a stringersi sui suoi polsi, come a volerne accertare l'appartenenza.

"Di cosa state parlando?"

Gli occhi di Simone si allargarono ancora e come ogni parte di lui erano talmente trasparenti che, come coltre di lino, lasciavano intravedere la tempesta silente che vi si celava dietro.

"Parlo del contratto d'affitto che ho trovato sul vostro tavolo ieri! Lo avete lasciato perché lo vedessi e decidessi di mia sponte d'andarmene? Lo sto facendo! Quel contratto riporta inchiostro su carta che voi lascerete questa città alla fine del mese! Ma sapete-" si staccò con violenza dalla presa di un Manuel attonito, consumato dalla confusione e dalla frustrazione a tal punto da non riuscire ad interromperlo "Avrei dovuto saperlo" gli occhi ora ridotti a due fessure, Simone caricò la lingua di veleno come non aveva mai fatto, ma forse era una dote innata, ereditata da sua madre già nel calore del suo grembo "Avrei dovuto immaginarlo che voi foste solo vento, che arriva, distrugge tutto ciò che trova sul suo cammino, e poi svanisce, e lascia solo campi incolti, aridi, dove non può più crescere nulla."

Nella misura in cui la sua natura glielo permetteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora