Ogni emozione positiva che avevo provato nei confronti della scuola che frequentavo sparì nel giro di due mesi.
A novembre del mio primo anno al liceo classico stavo già iniziando a sentire il peso della fatica e delle varie delusioni che avrebbero orientato tutte le mie decisioni future.Non mi piaceva il greco, non mi piaceva il latino, la matematica che facevamo era basilare e io comunque non la capivo.
Per me, che avevo passato la mia intera vita a studiare il minimo necessario ed ottenere il massimo dei risultati, quella scuola era una sorta di incubo diventato realtà.I miei voti diventarono presto una sfilza di insufficienze, una serie di incudini che dovevo portarmi sulle spalle e che mi facevano sprofondare sempre di più nella miseria.
Sveva si ritrovava più o meno nella mia stessa situazione - io avevo la media più alta in latino, lei in greco, io mi salvavo con voti alti in materie come italiano, inglese, storia, lei invece mi batteva in scienze e matematica.
Pietro, a differenza di noi, se la cavava alla grande.
Lo chiamavano Perfetto per un motivo, ed era che per lui la scuola sembrava quasi un gioco.
Le versioni tradotte da lui erano sempre le migliori della classe, la media più alta era la sua e se avevi domande su una traduzione difficile Pietro era la persona giusta da cui andare.Per colpa del mio orgoglio non riuscivo mai a chiedergli niente: preferivo continuare ad andare male piuttosto che domandare aiuto a chiunque, figuriamoci a quello che era diventato uno dei miei migliori amici.
I miei primi due anni delle superiori furono terribili: non sapevo dove sbattere la testa, andavo avanti ad inerzia e ad ogni versione insufficiente sentivo la mia solita rabbia cieca farsi sempre più spazio dentro di me.
Iniziai a perdere la testa al terzo anno.
Fu un processo lento, perché per i primi due anni ero stata troppo piccola per rendermi conto di come quella scuola mi stesse ammazzando, di come io e la mia necessità di dimostrare quanto ero brava, quanto ero intelligente mi stessero distruggendo.Stavo sveglia fino alle due di notte per riuscire a studiare tutta quella mole di informazioni che dovevo immagazzinare e dormivo sì e no quattro ore.
Mi svegliavo tutte le mattine con gli strilli di mia madre che mi rimbombavano nelle orecchie perché Marco andava tirato giù dal letto a calci e mio padre che correva in giro per tutta la casa perché perdeva fogli importanti ovunque.La casa era più tranquilla da quando zia Alina e Celeste si erano trasferite in un piccolo appartamento assieme al padre di mia cugina (mia zia aveva scelto di dargli una seconda possibilità: papà diceva che non sarebbero durati neanche sei mesi, visto il carattere di lui) ma mia madre era abbastanza nevrotica da riempire con le sue continue lamentele tutti quei silenzi che mia zia e mia cugina avevano lasciato.
Passavo cinque ore della mia giornata a tentare di tenere gli occhi aperti e sperare di non portare a casa l'ennesima insufficienza, ma era uno stile di vita che non potevo portare avanti.
Era fisicamente impossibile vivere così.Nel weekend non avevo la forza di uscire, quindi la mia vita sociale si era ridotta a zero.
I miei amici li potevo contare sulle dita di una mano: Sveva, Pietro e Adriano.
Certo, con Adriano dovevo contare anche quel ficcanaso maledetto di Nico, gli altri due scemi nella band e Dolly, ma non erano miei amici, a quei tempi, no?Ero legata a loro da Adriano, visto che non uscivo quasi mai e stavo sempre con la testa sui libri, lui invece continuava a fare il fancazzista e gironzolare per casa mia come se fosse sua: passavo più tempo da sola con lui che con altri.
Mentre mi disperavo per i miei voti e consideravo quotidianamente l'idea di abbandonare la scuola per salvare la mia salute mentale, Adriano viveva la sua esperienza scolastica con una spensieratezza che gli invidiavo.
Non gliene fregava niente.
Al primo anno si era preso tre debiti, al secondo pure e al terzo andava meglio, ma sicuro si sarebbe dovuto fare qualche recupero durante l'estate perché ormai aveva l'abbonamento.
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January Blues
General FictionNessuno sapeva chi fosse Indigo, la musa dei January Blues, la famosissima band del momento che dominava la classifiche e riempiva gli stadi. Nessuno riusciva a trovare l'identità di quella ragazza dagli occhi scuri per cui i quattro componenti del...