8. - the worst thing you've ever heard

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Nonostante io abbia passato la maggior parte della mia adolescenza a stretto contatto con i January Blues, non ho mai avuto la loro cultura musicale.
Adriano si lamentava sempre che non esploravo mai altri generi, che mi limitavo al pop commerciale e alle canzoncine strappalacrime che ascoltavo quando lui non c'era perché sapevo che le avrebbe odiate.

Gli rispondevo quasi sempre di farsi i fatti suoi, di tornare ad ascoltare le sue rockband e i suoi generi alternativi, che io alla mia musica pop commerciale ci tenevo e non poco.

Quando aspettavo il pullman alla fermata, prima di incontrare gli altri, nelle mie orecchie c'erano Taylor Swift e Lorde. Qualche band qua e là, i Fleetwood Mac soprattutto, perché se c'era qualcosa che Luca mi aveva lasciato era l'amore per Stevie Nicks.
A volte ascoltavo anche i Dire Straits, i Pink Floyd, perché mi ricordavano la mia infanzia e i lunghi giri in macchina con papà, quando ancora era la mia persona preferita nell'universo e sognavo di diventare brava e intelligente come lui.

Ma in genere, la musica non era il mio forte.
Mi nutrivo di libri, di parole scritte su carta, di profumo di pagine sia vecchie che nuove e frasi che scrivevo ovunque pur di non dimenticarmele.
Avevo una conoscenza della letteratura che derivava un po' dai miei studi e un po' da mio padre.
Se c'era una cosa che si poteva dire di Fabrizio Galimberti, era che ai suoi libri ci teneva e io avevo passato ore ed ore della mia vita nel suo studio a scorrere le dita sulle parole di Dante, Dostoevskij, Flaubert, Woolf.

Con gli anni avevo inizio a crearmi una biblioteca che fossa mia personale, perché mio padre era alla fine più storico che letterato e libri erano sparsi ovunque in camera mia.
Nei cassetti avevo nascosto quaderni ricoperti di pagine e pagine d'inchiostro, nelle note del mio telefono c'erano papiri di storie che non sapevo se avrei mai scritto o meno.

Non dicevo ai miei amici che mi piaceva scrivere, che nella mia testa giravano costantemente idee per storie nuove.
Sapevano tutti che ero brava, che scrivere temi su temi era l'unica gioia che la scuola mi dava, ma non avevo mai confessato a nessuno cosa c'era davvero in quei quaderni.
Neanche Adriano lo sapeva, ma aveva una mezza idea.
Forse fu per questo che iniziò a mandarmi i testi delle canzoni e a chiedermi di ricontrollarle.

Quell'afosa mattina di fine maggio, il cellulare mi vibrò in tasca mentre osservavo il bicchierino della macchinetta della scuola riempirsi di caffè macchiato.
Sapevo che era Adriano, perché chi altri ignorava palesemente le lezioni per stare al telefono e buttare giù quelle maledette canzoni che negli anni successivi avrei cercato di ignorare con scarsi risultati?

Sospirai quando lessi il suo messaggio, l'ennesima foto con la sua grafia terribile a zampa di gallina che illuminava lo schermo del telefono.
Non gli risposi, ignorandolo, ma lui si fece solo più insistente.
Presi in mano il bicchierino e scocciata, cercando di non piangere di nuovo, gli replicai che ero in classe e che gli avrei risposto dopo e ignorai i seguenti messaggi che mi mandò.

Accanto a me, Sveva alzò un sopracciglio.
Altre persone sarebbero state zitte, ma non era nella natura di Sveva farsi gli affari suoi, non lo era mai stato.

"Adri?" Mi domandò, sorseggiando il suo cappuccino mentre mi sedetti accanto a lei sulle scale del secondo piano del nostro liceo, sospirando pesantemente.
Non c'era nemmeno bisogno di chiederlo, davvero, solo Adriano riusciva a suscitare certe reazioni in me.

"Mh-mh." Replicai e Sveva appoggiò la testa sulla mia spalla per qualche secondo.
"Ne avete parlato?" Domandò di nuovo e mi irriggidì. Bevvi il latte macchiato solo per fare qualcosa, bruciandomi la lingua in silenzio.

Esattamente come avevo previsto, io e Adriano avevamo commesso un grave errore a passare una notte insieme.
Ero andata a casa sua per dormire, ma non chiusi occhio per tutta la notte.

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