Si blocca all’entrata subito dopo aver udito le mie parole. Serra le labbra e assume un’espressione offesa. Sembra farsi più piccola come a volersi proteggere per poi prendere un profondo respiro e avanzare. Cammina spedita fino alla panca davanti a me sulla quale si siede. Ha un blocco in mano e una penna nell’altra.
- Sono venuta perché ho delle cose da dirle - spiega con un tono deciso.
Annuisco invitandola a continuare. Stringe il quaderno talmente forte da stropicciarlo.
- Prima cosa, sono tornata solo adesso perché avevo saputo che aveva un compagno di stanza e non volevo infastidirla -
- Esattamente cosa le fa pensare che non mi stia infastidendo semplicemente venendo a farmi visita? - la interrompo.
Il suo viso, all’udire di quelle parole, si colora di un rosso acceso, sgrana gli occhi e rimane con la bocca leggermente aperta.
- Su non faccia così… -
Non si muove. I suoi occhi viaggiano lungo la parete alle mie spalle senza mai azzardarsi ad avvicinarsi al mio sguardo.
Sbuffo. Mi alzo andandole incontro. Vengo distratto da un fazzoletto situato accanto a lei sulla panca.
Direi di approfittarne per metterla finalmente a tacere e…
Una voce. Un ricordo.
Grazie…
Il mio viso assume un’espressione cupa. La osservo un po’. I suoi occhi attirano la mia attenzione, sono talmente truccati che mi è difficile vedere l’iride. Sembra quasi li voglia nascondere agli altri. Sospiro e le poggio una mano sulla spalla rivolgendole un mezzo sorriso.
Scuote la testa.
- C-comunque i-io sarei qui p-per un motivo in p-particolare - balbetta timidamente.
Annuisco fissandola negli occhi e torno a sedermi. Deglutisce.
- Io sono qui per sapere il motivo per il quale è in carcere, non mi interessa il crimine che ha commesso, il mio obiettivo è scoprire cosa l’ha portato a fare tutto questo - dice tutto d’un fiato alzandosi.
Si ferma a guardarmi per un po’ probabilmente in attesa di una qualche mia reazione.
Sospiro annoiato e mi sdraio.
Questa, una completa sconosciuta, piombata nella mia cella senza nemmeno dire il suo nome, vuole sapere perché sono finito in carcere. Perché ho ucciso… Perché l’ho fatto… Perché…
Beh, perché non dirglielo.
Mi avvicino a lei.
- Pensavo fosse venuta qui per imparare cosa fosse la realtà, peccato, avrebbe potuto essermi utile, alcune lezioni sarebbero state divertenti - le sussurro.
Cercando di sfuggirmi cade sulla panca. Mi spinge lontano da sé con un calcio, tuttavia non mi smuove di un millimetro.
- Ops, ha fallito, dopotutto non penso sappia fare altro, non comprende le mie lezioni, non riesce a capire quando deve starsi zitta e non riesce ad ottenere quello che vuole… -
Le prendo la mano osservando attentamente l’anello.
Chi l’avrebbe mai detto… Dopo tutti questi anni…
- Chissà cosa trova in lei il suo ragazzo… Forse è attratto solo dal fisico, lei che dice? -
Respira con affanno. Sorrido. Indietreggio e lei si alza.
- Dopotutto la sua compagnia non mi dispiace più di tant… -
- IO sono venuta da LEI per farle delle domande, sono qui per aiutarla ad uscire da questa situazione. E lei? Sa solo minacciarmi e sminuirmi - alzo un sopracciglio - Non mi sembra di essere qui per questo, perciò adesso la smetta di comportarsi così e veda di essere più maturo! - dice mentre mi tira uno schiaffo.
Le fermo il polso poco distante dal mio volto. Lo stringo nel pugno visibilmente irritato. Si è permessa di interrompermi, ha provato a tirarmi uno schiaffo. Non mi piacciono le persone che mi parlano sopra, né quelle che provano a picchiarmi. Dimena il braccio cercando di liberarlo. Rimango immobile. I suoi occhi si fanno lucidi.
- La prego, mi lasci il polso… - mi implora soffocando un grido.
Continuo a guardarla negli occhi senza mollare la presa, anzi aumentando la stretta. Sento qualche scricchiolio. Le sue ossa.
- Lei è una fottuta puttana! Nessuno l’ha invitata in questa stanza e lei ha avuto il coraggio di venire. Non solo, crede di avere il diritto di pormi domande personali con la presunzione di aiutarmi - reprimo una risata - Aiutarmi… Ci ha mai pensato che potrei non volere il suo aiuto? No eh? Pensa che tutti debbano vederla come lei… Che atteggiamento egoista… -
- L-la prego, m-mi fa male - si limita a dire cominciando a singhiozzare.
Dai mettile fuori uso il braccio, poi fai la stessa cosa con il resto e…
Nuovamente quella voce.
Grazie…
Sgrano gli occhi mollandola. Mi si blocca il respiro. La donna indietreggia massaggiandosi il polso. Mi volto portando una mano alla fronte.
Cosa stavo facendo? Non mi sembra il caso di fratturare le ossa ad un’ospite. Passerei i guai.
Sospiro.
- G-grazie - sussurra debolmente la ragazza tra un singhiozzo e l’altro.
Mi volto di scatto. Quella parola…
La guardo per pochi secondi. Mi siedo di fronte a lei.
- È strana - commento a bassa voce.
Alza lo sguardo verso di me e sorride. Ora che ci penso non l’avevo mai vista sorridere.
Strano non l’abbia mai fatto prima d’ora. Ma sinceramente non mi interessa più di tanto.
Qualche ciuffo biondo della sua acconciatura le è calato sul collo, se ne accorge subito e, con qualche forcina, li rimette in ordine.
Chissà se Nathan sta sentendo tutto qui accanto… Certo che anche lui è strano. Eppure ha sorriso subito. Probabilmente perché non poteva vedermi. Mm… Alla fine sono tutti strani, tutti normali, tutti con problemi. Perché mi stupisco ancora?
Qualcuno bussa alla porta. Nemmeno il tempo di rispondere che sento quel fastidioso cigolio sempre accompagnato dall’entrata nella cella da persone altrettanto indesiderate.
- Mi scusi signorina, l’orario delle visite è finito, deve uscire - dice un uomo sull’uscio.
Lei si volta verso la guardia, mentre io approfitto di questo momento per analizzarla. Ha ancora gli occhi leggermente lucidi.
Veramente si è messa a piangere per quello? Non pensavo fosse così infantile…
Sbuffo annoiato.
Certo che anche io… Non è da me agire così d'istinto.
Colpa di quell'anello…
Di quella firma sull'abito…
Si volta verso di me e si alza. Faccio la stessa cosa.
- Quindi devo andare, tornerò nel pomeriggio - mi dice tendendomi la mano.
Noto come stia nascondendo il polso ancora arrossato a causa della mia stretta.
Sta mascherando ciò che ho fatto ad una guardia? Perché?
Mi siedo e faccio cenno con la testa di andarsene. Indietreggia di poco e si avvia verso la porta, allungando la manica del cappotto per nascondere il polso. Sorride alla guardia la quale ricambia il sorriso. Successivamente sbatte la porta e io torno ad essere solo nella mia cella.
Non per molto.
- Finalmente se n’è andata… Non ne potevo più nemmeno io - afferma una voce ovattata.
E io che pensavo di essere solo. Mi volto nella direzione verso la quale dovrebbe trovarsi Nathan.
Non rispondo.
- Come al solito sei di molte parole vedo… -
Sospiro.
- Sai, a certa gente piace stare da soli ogni tanto… -
- Pure gentile, non poteva capitarmi un vicino di cella migliore, sarà divertente pranzare con te - esclama probabilmente sorridendo.
Ah giusto, il pranzo…
La porta si riapre. Appare la stessa guardia di prima, tuttavia adesso non sorride.
- È ora di pranzo, devi uscire -
Mi alzo dalla panca e mi avvio verso la porta.
Odio andare a mensa. È piena di persone stupide e aggressive. Noto Nathan già seduto ad un tavolo con qualche altra persona. Mi allontano e vado a sedermi ad un tavolo poco distante. Guardo il mio pranzo. Dovrei mangiare… Nessuno mi obbliga.
Non ha un aspetto molto invitante.
Una mano mi tasta le spalle.
- Eccoti, finalmente ti ho trovato. Ho dovuto provare con quasi ogni persona presente prima di trovarti - scherza Nathan.
Si siede accanto a me.
Sbuffo.
A quanto pare quello che ho visto non era Nathan…
- Sarai anche strano, ma non lo faresti mai - commento.
- Oseresti darmi dello strano? - domanda fingendo un pianto.
Mi volto verso di lui rimanendo in silenzio.
- Ok, lo ammetto, ho chiesto ad una guardia di aiutarmi a trovarti -
Continuo a guardarlo. Non sembra turbato. Sta dicendo la verità…
- Un bel po’ fastidiosa quella, non trovi? - dice riferendosi alla donna.
- Infantile - correggo.
- Cosa vuole da te? - chiede.
- Sapere perché sono qui e aiutarmi -
Reprimo una risata.
Aiutarmi? Sembra veramente una battuta.
- E perché saresti qui? - domanda curioso.
- Affari miei - rispondo sinceramente.
- Bene, mi piacciono le persone oneste - sorride Nathan - beh, avrai tutto il tempo che devi scontare per trovare la voglia di raccontarmelo -
- Non credo, probabilmente uscirai di qui prima di me -
- Mi staresti augurando di morire giovane? - chiede.
Lo osservo attentamente. La gente è così spaventata dalla morte… Invece lui ci scherza su come se non lo spaventasse affatto.
Sorrido.
- Mi piaci -
Nathan sussulta leggermente. Si sistema gli occhiali che gli erano caduti sul naso. A pensarci è la prima volta che li porta mentre sta con me. Per quale motivo dovrebbe portarli? È cieco e non credo ne esistano alcuni che ridiano la vista.
- Come mai indossi degli occhiali? -
- Beh, sarò in prigione, ma niente mi vieta di rimorchiare. Potrei sempre trovare l’amore della mia vita -
Lo guardo perplesso.
- Sai che le donne si trovano in un carcere a parte, vero? - chiedo.
Si volta verso di me sorridendo.
- Sì, ma le donne sono troppo semplici per me, certo rimangono splendide, tuttavia gli uomini sono molto più interessanti - spiega.
- Mm… Cieco e bisessuale, un bersaglio perfetto per la società - commento.
- Beh, in realtà tutto ciò che faccio è fare un favore agli altri, gli levo possibili rivali: me e il mio futuro ragazzo -
- Sì, e a cosa servirebbero gli occhiali? -
- Mi sembra ovvio, a rendermi molto più attraente -
Sospiro.
- Tuttavia questo porta molte ragazze a circondarmi, facendomi complimenti su quanto gli occhiali mettano in evidenza i miei “bellissimi occhi” - dice mimando le virgolette con le dita.
Il cibo mi va di traverso mentre cerco di trattenere una risata.
- Ironico, no? Beh, come quando fanno commenti su cosa mi farebbero, non me lo dicono in faccia, non tutte almeno, la maggior parte sono troppo timide per farlo, io le sento, m… -
- Perché non chiedi loro di smetterla? - lo interrompo.
- Non ho mai detto mi desse fastidio - lo guardo perplesso - Mi spiego. Io adoro stuzzicare le donne, hanno reazioni uniche - si ferma voltandosi verso di me - Non pensi la stessa cosa? -
- Preferisco sfinire le persone a livello psicologico - rispondo mangiando quella specie di insalata che ci danno.
Nathan fissa il tavolo pensieroso.
- Nahh, le donne quando sono traumatizzate no… - dice sussurrando talmente a bassa voce da rendere indecifrabile l’ultima parte della frase.
- Mm… Sì, così sono molto meglio - dice infine.
Si alza. Troppo velocemente, poiché spinge indietro la sedia sulla quale era seduto con una forza tale da farla arrivare al tavolo dietro il nostro. L’uomo seduto lì sussulta. Si alza voltandosi verso Nathan. Conosco quello, sempre pronto a minacciare…
Continuo a concentrarmi sulla mia specie di pranzo.
- Ehi tu! - grida l’uomo.
Noto Nathan voltarsi con la coda dell’occhio.
- Io? - chiede ingenuamente.
- Sì, cosa cazzo ti è saltato in mente lanciandomi addosso la sedia? Vuoi fare una brutta fine per caso? - lo minaccia.
Nathan sorride.
- Ohh tesoro, guarda che io non sono attratto dagli uomini decrepiti come te, inoltre ho uno mille volte meglio seduto qui accanto - lo provoca forzando una voce femminile.
Mi alzo per andarmene con Nathan prima che la situazione peggiori.
- Dai andiamocene, meglio che tu non finisca in situazioni di cui poi potresti pentirti -
L’uomo si volta verso di me incazzato.
- Non mi faccio problemi a sistemare pure te, sai? - dice rivolgendosi a me.
Alzo un sopracciglio. Mi si avvicina.
- Tutti hanno paura di te, ma sinceramente sembri innocuo. E se ti rispedissi da dove vieni? Forse quel posto ti manca. Al bambino manca casa sua poverino… -
- Vedi di smetterla -
Prendo il braccio di Nathan e faccio per allontanarmi, tuttavia vengo interrotto.
- Ma chi ti credi di essere? Solo perché sei rinchiuso qui per un macabro omicidio pensi di poter dettare le regole? Tu non hai idea di cosa ho fatto là fuori, potrei ridurti in pezzi senza nemmeno sforzarmi! -
Le sue parole mi fanno perdere il poco autocontrollo che mi è rimasto.
Io non ho idea di cosa scusa!?
L’aspetto dell’uomo mi appare sempre più invitante.
Perché dovrei lasciarlo andare?
Mi volto di scatto e gli sferro un pugno in pancia facendolo cadere a terra. Mi avvicino per guardarlo poggiando un piede sul suo petto. Sorrido.
Patetico… Ultimamente mi annoio a fare tutti i giorni la stessa cosa, vediamo se riesce a farmi divertire.
Tra l'altro il cibo della mensa è veramente immangiabile…
Faccio pressione con la gamba per rompergli le costole e farlo soffrire un po’. Comincio a sentire le ossa scricchiolare e l’uomo dimenarsi.
- Aspetta! Fermati! - mi implora.
Le sue parole risultano nulle alle mie orecchie.
Sarai buonissimo.
- La prego si fermi! -
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False Speranze
Ficción GeneralSolo quando avrai imparato ad accettare il fatto di odiarti potrai iniziare ad amarti.