L'ordine e il disordine

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Nella camera di Simone c'è un ordine quasi maniacale.

Le lenzuola del letto – nuove di zecca, color giallo paglierino – sono piegate alla perfezione sotto la trapunta marrone, lasciata invece un po' più libera a coprirle.

La superficie del comodino presenta l'essenziale: un bicchiere d'acqua per la notte, la sveglia, il cellulare in carica e un pacco di fazzolettini.

L'armadio, invece, è diviso per stagioni e colori. Sono pochi i vestiti che possiede – quelli che lo fanno sentire comodo –, per questo non è obbligato a fare nessun cambio di stagione, e quella disposizione funzionale sembra essere diventata una delle cose che lo tranquillizza di più.

Poi, ci sono le mensole piene di trofei di consolazione, di secondi e terzi posti, traguardi di uno sport che non ha più avuto la forza di recuperare ma che non fanno che ricordargli quanto prima sembrasse forte almeno un po'.

I poster, l'unica cosa a rendere quella stanza caotica, adesso non ci sono più. Hanno iniziato a dargli fastidio le orecchie piegate là dove la colla s'era ormai consumata o dove lo scotch – a furia di catturare polvere – aveva perso la sua forza. Maledirli ad ogni risveglio non era una piacevole abitudine, per cui è stato costretto a fare un lavoraccio per toglierli e ridipingere le pareti, recuperandone l'intonaco scrostato.

La scrivania non è molto ampia, ma funzionale. Una lampada, un portapenne, un pc, un vano dove mettere libri e quaderni di scuola, e tre cassetti dedicati ognuno ad una cosa diversa.

Altri mobili e piccoli scaffali costeggiano quelle pareti, ogni spazio porta in sé oggetti di una stessa famiglia, perché nella mente di Simone quello è l'unico metodo per trovare tutto subito.

In quella stanza sembra esserci tutto l'ordine che da quasi un anno è venuto a mancare nella sua vita, grazie a folate di vento troppo forti che l'hanno colto impreparato, debole, con le gambe già a tremare e nessun terreno abbastanza duro per sostenergli le piante dei piedi.

Il primo soffio, il ritorno di un padre assente che si riappropria della sua vita e della sua istruzione.

Il secondo soffio, la confusione e la scoperta della sua omosessualità.

Il terzo soffio, il brivido di disobbedire.

Il quarto soffio, la pelle calda, i baci e i gemiti di Manuel.

Il quinto soffio, tu per me manco esisti.

Il sesto soffio, sacrificarsi per amore.

Il settimo soffio, Jacopo Balestra.

L'ottavo soffio, le bugie.

Il nono soffio, le pasticche e l'alcool che avrebbe voluto lo uccidessero capaci di fargli solo un po' male fuori.

Il decimo soffio: la terapia per il male dentro è importante, ma dopo mesi di costante cammino i dolori alle gambe si fanno sentire. 

Non deve andare per forza tutto meglio oggi, c'è sempre domani per recuperare. 

L'undicesimo soffio è lo sbuffo che fuoriesce dalle sue labbra quando apre l'ultimo cassetto, quello dedicato alle scartoffie varie, e ripone nell'angolo apposito l'ultimo invito super pacchiano ricevuto per l'ennesimo diciottesimo della classe – quello di Matteo, tenutosi un mese e mezzo prima –, completamente dimenticato sul fondo dello zaino, sotto la fitta pila di libri e quaderni che è costretto a portare perché Manuel non fa che dimenticarli.

Anche se, alla fine, quando è troppo pesante lo zaino glielo porta lui.

Vorrebbe dare fuoco ad ognuno di quei cartoncini – che sembrano tingersi esclusivamente di rosa, nero e oro – eppure in lui prevale sempre la necessità di metterli in ordine assieme agli altri, perché è così che ha bisogno di gestire le sue cose, per non dimenticare, per tenere tutto sott'occhio e in ordine, contrastando i tumulti interiori che ancora si porta dietro.

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