QUESTA NON È UNA FAVOLA DISNEY

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"Questa non è una favola Disney" di @BlondeAttitude_

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C'era una volta. 

C'era una volta una favola che narrava di una bella principessa tenuta in scacco da un temibile drago e di un principe, dall'armatura scintillante, che accorreva in gran carriera per salvarla. E i due vivevano insieme, felici e contenti, in un mondo immaginario e giusto, in cui gli eroi si battevano per nobili fini e i malvagi venivano resi innocui a colpi di verità. Forse c'era davvero, da qualche parte, lontano lontano, un posto così.

Questa, però, è tutta un'altra storia.

C'era una volta e, quasi sicuramente, c'è ancora.

C'è ancora una ragazza; che rifiuta di arrendersi alla solitudine, alla miseria di una vita che la mastica ogni giorno senza mai inghiottirla del tutto; che ride, fatta di Prozac, sul sagrato di una chiesa. C'è ancora un ragazzo; con il cuore più pestato della faccia, l'animo in guerra, che anela e rigurgita amore in un unico spasmo; che sbatte in faccia al mondo la sua maschera di apatia, rimanendone intossicato, giorno dopo giorno.

C'è la loro voglia di vivere, vivere così tanto e tanto forte, che fa male da morire. Così come vedere uno dei pochi rifugi, Lo Shelter, che si sbriciola davanti ai loro occhi.

Avevamo solo nove anni e già guardavamo andare in frantumi la nostra "Isola che non c'è". Per tutti era solo un edificio fatiscente, per noi era la nostra intera infanzia a cui stavamo silenziosamente dicendo addio, io singhiozzando tanto da sussultare, Luca con la migliore delle sue maschere di apatia.

Luca e Pulce. Nati e cresciuti nel Blocco Chernobyl, in uno di quei quartieri di periferia che fanno storia a sé. Dove lo squallore ha le proprie regole, ma mai alcuna punizione per chi calpesta i sogni altrui. Dove la vita scorre con i suoi tempi, dilatati o accelerati all'inverosimile, a seconda di quante pasticche ti cali o in quanto alcol affoghi. Una periferia che ti mostra i suoi ninnoli da quattro soldi; come una vecchia puttana ti sventolerebbe sotto al naso la sua mercanzia avariata, spacciandotela per una promessa di evasione. Eppure, nessuno esce mai del tutto dal perimetro avvelenato del Blocco; perché quando nasci contornato dalla miseria umana, per quanto tu fugga, ti rimarrà sempre appicciata addosso.

Lo sa bene Pulce.

Prima di allora credevo che gli anni migliori della nostra vita avrebbero avuto il sapore dolce del the alla pesca, il profumo dei ciliegi in fiore e i colori di un graffio di Keith Haring. Non mi aspettavo quello di rum scadente, sigarette e cinquanta sfumature di lividi.

Lo sa, mentre col fiato corto e le gambe tremanti, cerca di fare lo slalom tra le trappole disseminate in ogni dove. La scuola, se così può chiamarsi l'istituto professionale alberghiero dove sia lei che Luca passano il tempo, consumando sigarette nei bagni e consumando l'adolescenza sentendosi ripetere di essere "cause perse". È storia vecchia, in fondo, perché questo vengono considerati i giovani della periferia; soggetti per cui non valga la pena impegnarsi, ai quali formazione e cultura starebbero male addosso, stonerebbero, come una borsa di Chanel su un senzatetto.

Lo sa bene Luca. Che dietro lo sguardo malandrino e il sorriso accattivante di chi è consapevole di usare il fascino come un'arma, nasconde un passato avvilente e un presente ancora più dirimente. Luca può contare solo su se stesso per racimolare qualche soldo e affronta i problemi con la sfacciataggine tipica di chi crede di aver tutto il tempo del mondo, per prendersi la propria rivincita. Invece a questa vita strozzina non bisogna mai dare credito e, di certo, non si deve mai chiedere nulla in prestito. Perché i debiti che contrai con te stesso per la promessa di un futuro diverso, li pagherai sempre al caro prezzo della dignità.

In "Questa non è una favola Disney" sono i luoghi stessi che parlano. Il ristorante da rivista patinata, in cui Pulce svolge un tirocinio obbligato senza essere retribuita. La piscina comunale, ormai da tempo abbandonata, covo di vandali o spacciatori (o entrambe le cose insieme). La salita del parchetto la domenica pomeriggio. I luoghi urlano. La rabbia, l'indignazione e lo sconforto, degli anni sprecati ad annasparci dentro, a sbracciarsi per afferrare una qualche logora corda di salvataggio, seppur illusoria. E non ascoltarli è maledettamente difficile. Come lo è per Pulce ignorare il fatto di essere bloccata su una giostra infernale che non gira mai dalla parte sperata. Verso Luca. Verso il riscatto che, di nuovo, sembra esserle stato negato, con un ultimo colpo di coda del destino.

E le lacrime non macchiano, in questa storia, solo perché si disperdono nella spirale malata di una società, che mette sempre davanti a tutto e tutti il profitto, i soldi e il godimento personale. Che ti risucchia, come i mulinelli sul fondo del lago. Ti si aggancia alle caviglie e ti tira giù. Non importa quanto lotti e gridi e maledici te stesso o l'infamia del mondo. Perché il mondo non ti ascolta. Il mondo non ti vede. Il mondo se ne frega. E in quel lago ci stai tu. Solo. Sempre.

Da questa consapevolezza, dolorosa ma necessaria, Pulce inizia a cambiare punto di vista o, per meglio dire, realizza lucidamente ciò che in fondo ha sempre saputo: poco importa che tu sia la principessa o la sguattera del reame, se vuoi davvero salvarti non devi aspettare alcun principe, non devi aspettare nessuno.

Perché se dal Blocco Chernobyl principi e cavalli bianchi stanno alla larga, i mostri al contrario eccedono e sono quelli più temibili. Quelli che girano in doppio petto e Rolex autentici; quelli che nascondono odio e ferocia dietro chili di botox; quelli che promettono e illudono e pensano che bastino i soldi per compensare azioni vili e pensieri abietti.

Qualcosa, forse, rimane. Come la terra sotto alle unghie dopo che si è scavato. Come i disegni tracciati dai fondi di caffè nella tazza sbeccata. Come i tatuaggi sbiaditi, con cui Pulce mette a frutto l'unico dono che il fato le ha dato, la bravura nel disegno.

Qualcosa che aveva a che fare con i ricordi passati, con le speranze di due bambini che avevano trovato rifugio l'uno nell'altra da una vita che da soli faceva sempre un po' schifo, fagioli da piantare, molliche da seguire, case di marzapane da assaggiare insieme dallo stesso piatto. C'era la voglia di credere ancora alle favole in mezzo a quegli schiocchi di labbra, a quella collisione di denti, intreccio di lingue; la voglia di credere che un lieto fine fosse possibile, in fondo.

Se sia possibile o no, il lieto fine, lascio scoprirlo a voi o a chiunque decida di avventurarsi nella lettura di "Questa non è una favola Disney"; di perdersi nel cuore di Pulce, troppo vero per non soffrire delle brutture che la contornano e troppo indurito per credere alle favole; di fare un giro sullo skate assieme a Luca, che ha il potere di rendere tollerabile anche lo schifo e, al tempo stesso, demolire con mezza parola ogni buon proposito; di lasciarsi "contaminare" dalle vite di personaggi vividi e profondamente umani e dalla loro realtà, favolisticamente decadente.

Se sia possibile o no, il lieto fine, lascio scoprirlo a voi o a chiunque decida di avventurarsi nella lettura di "Questa non è una favola Disney"; di perdersi nel cuore di Pulce, troppo vero per non soffrire delle brutture che la contornano e tro...

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